lunedì 9 luglio 2018

17, 20, 24, 69, tombola!

Sinceramente, ne ho abbastanza di chi continua a lamentarsi di essere passato di ruolo dopo 10, 15, 20 anni di precariato: era (ed è) il meccanismo delle supplenze e di immissione in ruolo che ha reso (e rende) una prassi tutto ciò. Si consideri che tra gli anni '80 e la fine degli anni '90 i concorsi sono rimasti bloccati per anni. Contemporaneamente si permetteva di inserirsi nelle graduatorie di supplenza, accettando, in certi casi, come unico titolo quello di studio, che non necessariamente attestava la preparazione per una professione tanto importante e delicata quale è quella dell'insegnante.
Quando io, nel 2005, sono entrata in ruolo, dopo 17 anni di precariato, c'erano con me colleghi che avevo frequentato per decenni, invecchiando con loro, incontrandoli annualmente in occasione delle nomine annuali di supplenza. 
Lo scorso anno, in occasione della discussione in Comitato di Valutazione, la maggior parte dei colleghi che terminavano il loro periodo di prova per l'immissione in ruolo, aveva alle spalle un periodo di precariato oscillante tra gli 11 e i 18 anni.
Negli ultimi anni, anche per l'intervento della Commissione di Giustizia europea, a seguito di continui ricorsi, il periodo di precariato si è notevolmente accorciato. La verità è che non si sarebbe dovuto, decenni fa, mettere in atto un meccanismo tanto perverso e umiliante per tutti coloro che nella scuola lavorano o che della scuola fanno parte.
Il problema vero è che, tuttavia, attualmente sento lamentarsi persone che alle spalle hanno un periodo brevissimo di precariato e che ambirebbero ad entrare nei ruoli di docente della scuola pubblica non per passione ed amore per questo mestiere ma per garantirsi il posto fisso, magari nello stesso luogo in cui sono nati. Non è un segreto per nessuno che le maggiori opportunità di esercitare questo mestiere sono al Nord e non è un caso che molti, me compresa, subito dopo la laurea si sono inseriti nelle graduatorie di supplenza delle province del settentrione.  Ecco, io costoro, se potessi, li inviterei a provare altri mestieri: con la scuola e con gli studenti non si scherza: non sono pacchi e non sono timbri o pratiche di cui occuparsi come in un ufficio.

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