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martedì 24 luglio 2018

"Tutta colpa dei genitori"

Pubblicato da Mondadori nell'ottobre 2010, "Tutta colpa dei genitori" è il terzo libro scritto dall'ottima collega Antonella Landi, conosciuta nel periodo in cui insegnò nella bergamasca.
E' possibile ascoltare la presentazione del testo, sempre attualissimo, cliccando il link indicato. Particolarmente interessante la lettura dei brani dedicati allo studente insolente (pagine 130 - 132 del testo).




domenica 22 luglio 2018

L'ultimo baluardo


Sempre più spesso, psicologi e pedagogisti invitano la scuola a resistere come ultimo baluardo contro una società sempre più sfaccettata che si nutre di false illusioni, di arroganza, di ignoranza, di certezze assolute mirate a raccogliere il consenso di chi, sempre meno, è abituato a pensare.
E la scuola degli insegnanti che nella scuola credono davvero cerca di resistere, nonostante tutto, incoraggiando gli studenti a discutere, a pensare, ad ascoltare, a non dar mai nulla per scontato, a non credere a tutto ciò che viene detto prima di averlo analizzato, confrontato, approfondito.
Tocca alla scuola il compito di resistere, nonostante tutto, anche valorizzando attraverso una didattica delle emozioni, l'attività in classe.
Contro l'analfabetismo emotivo, Ulisse Mariani e Rosanna Schiralli con il format Didattica delle emozioni propongono per la scuola una serie di obiettivi:
una scuola che, prima di insegnare, educhi
- prima di informare, formi
  - che, prima di integrare, interagisca
 - che, prima di diventare tecnologica, si apra alla modernità 
 - che, prima di accogliere e rispettare, si faccia rispettare
 - che, prima di cadere nella trappola del buonismo, sappia mettere regole, limiti e confini       
 - che, prima di trasformarsi in un contenitore sterile, sia luogo di studio, impegno e passioni 
 - che, prima di essere derubata di ogni risorsa, sia spazio sacro e da proteggere
 - che, prima di invitarli a ripetere la lezione, aiuti i giovani a narrarsi
 - che, ancora prima delle lettere e dei numeri, recuperi codici di linguaggio emozionale.

Soltanto così, unendo il passato al futuro, la scuola può dare senso e avere senso.

(Citazioni tratte dal testo di Ulisse Mariani e Rosanna Schiralli: Intelligenza emotiva a scuola - Percorso formativo per l'intervento con gli alunni, Erickson, Trento, 2012, pagine 129 - 130)


Contro l’analfabetismo emotivo:
la che, prima di insegnare, educhi

 prima di informare, formi

che, prima di integrare, interagisca


che, prima di diventare tecnologica, si apra alla modernità



lunedì 9 luglio 2018

17, 20, 24, 69, tombola!

Sinceramente, ne ho abbastanza di chi continua a lamentarsi di essere passato di ruolo dopo 10, 15, 20 anni di precariato: era (ed è) il meccanismo delle supplenze e di immissione in ruolo che ha reso (e rende) una prassi tutto ciò. Si consideri che tra gli anni '80 e la fine degli anni '90 i concorsi sono rimasti bloccati per anni. Contemporaneamente si permetteva di inserirsi nelle graduatorie di supplenza, accettando, in certi casi, come unico titolo quello di studio, che non necessariamente attestava la preparazione per una professione tanto importante e delicata quale è quella dell'insegnante.
Quando io, nel 2005, sono entrata in ruolo, dopo 17 anni di precariato, c'erano con me colleghi che avevo frequentato per decenni, invecchiando con loro, incontrandoli annualmente in occasione delle nomine annuali di supplenza. 
Lo scorso anno, in occasione della discussione in Comitato di Valutazione, la maggior parte dei colleghi che terminavano il loro periodo di prova per l'immissione in ruolo, aveva alle spalle un periodo di precariato oscillante tra gli 11 e i 18 anni.
Negli ultimi anni, anche per l'intervento della Commissione di Giustizia europea, a seguito di continui ricorsi, il periodo di precariato si è notevolmente accorciato. La verità è che non si sarebbe dovuto, decenni fa, mettere in atto un meccanismo tanto perverso e umiliante per tutti coloro che nella scuola lavorano o che della scuola fanno parte.
Il problema vero è che, tuttavia, attualmente sento lamentarsi persone che alle spalle hanno un periodo brevissimo di precariato e che ambirebbero ad entrare nei ruoli di docente della scuola pubblica non per passione ed amore per questo mestiere ma per garantirsi il posto fisso, magari nello stesso luogo in cui sono nati. Non è un segreto per nessuno che le maggiori opportunità di esercitare questo mestiere sono al Nord e non è un caso che molti, me compresa, subito dopo la laurea si sono inseriti nelle graduatorie di supplenza delle province del settentrione.  Ecco, io costoro, se potessi, li inviterei a provare altri mestieri: con la scuola e con gli studenti non si scherza: non sono pacchi e non sono timbri o pratiche di cui occuparsi come in un ufficio.

venerdì 29 giugno 2018

Compagno di scuola


Per molti della mia generazione è stata una delle canzoni di riferimento. C’era chi pensava con disprezzo al “Compagno di scuola” evocato nella canzone cui, tanti giuravano, mai avrebbero assomigliato. Sbagliavano, come spesso succede.
E molti di noi, attualmente, conoscono perfettamente quelli che davvero non sono diventati “Compagni di scuola” e quelli che lo sono diventati ma non lo riconoscono e disprezzano gli altri, identici a loro.




Antonello Venditti: “Compagno di scuola”

Da “Lilly” (1975)


Davanti alla scuola tanta gente
otto e venti, prima campana
"e spegni quella sigaretta"
e migliaia di gambe e di occhiali
di corsa sulle scale.
Le otto e mezza, tutti in piedi
il presidente, la croce e il professore
che ti legge sempre la stessa storia
nello stesso modo, sullo stesso libro, con le stesse parole

da quarant'anni di onesta professione.
Ma le domande non hanno mai avuto
una risposta chiara.
E la Divina Commedia, sempre più commedia
al punto che ancora oggi io non so
se Dante era un uomo libero, un fallito o un servo di partito

un servo di partito.
Ma Paolo e Francesca, quelli io me li ricordo bene
perché, ditemi, chi non si è mai innamorato
di quella del primo banco,
la più carina, la più cretina,
cretino tu, che rideva sempre
proprio quando il tuo amore aveva le stesse parole,
gli stessi respiri del libro che leggevi di nascosto
sotto il banco.
Mezzogiorno, tutto scompare,
"avanti! tutti al bar".
Dove Nietzsche e Marx si davano la mano
e parlavano insieme dell'ultima festa
e del vestito nuovo, buono, fatto apposta
e sempre di quella ragazza che filava tutti (meno che te)
e le assemblee, i cineforum, i dibattiti
mai concessi allora
e le fughe vigliacche davanti al cancello
e le botte nel cortile e nel corridoio,
primi vagiti di un '68
ancora lungo da venire e troppo breve, da dimenticare!
E il tuo impegno che cresceva sempre più forte in te...
"Compagno di scuola, compagno di niente
ti sei salvato dal fumo delle barricate?
Compagno di scuola, compagno per niente
ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?”




lunedì 7 maggio 2018

Emozionarsi, ancora. Anche a scuola.






“Un po’ di coraggio e tanta passione” : sono questi i due ingredienti richiesti per iniziare un programma di Didattica delle emozioni®, il format promosso da Ulisse Mariani e Rosanna Schiralli per sviluppare l’intelligenza emotiva e favorire il benessere a scuola.
Affrontare e gestire le proprie emozioni, da parte soprattutto delle  giovani generazioni che si ritrovano a vivere il vuoto della mancanza di desiderio, soffocate da una quantità di beni materiali e di relazioni virtuali che non possono appagare i più autentici bisogni di vicinanza, intimità, conferma, riconoscimento e sicurezza dell’essere umano, appare, in un’epoca come l’attuale, una vera e propria necessità al fine di affrontare e/o prevenire situazioni di scarsa attenzione e motivazione, apatia, aggressività che sempre più manifestano il malessere e il disagio degli alunni.
La Didattica delle emozioni® consiste nell’introdurre nella consueta azione didattica una serie di procedure, tecniche e strategie atte a sviluppare negli alunni, fin dalla scuola dell’infanzia, la capacità di individuare, gestire e modulare nel modo più opportuno le proprie emozioni.
L’applicazione del format non costituisce un aggravio di impegno per il docente né interferisce con la normale attività didattica; favorisce invece, come sperimentazioni e misurazioni successive su campioni di alunni molto vasti hanno dimostrato, lo sviluppo delle competenze emotive degli alunni, tanto più significative quanto minore è l’età degli alunni stessi.
Rilevante risulta il coinvolgimento del Dirigente Scolastico, dei docenti dell’Istituto e dei genitori con cui va condivisa la validità del format, al fine di una diffusione dello stesso.
L’applicazione delle tecniche proposte dal format ha trovato sempre, laddove sperimentato,  una buona accoglienza tra gli alunni che hanno avuto l’opportunità di esprimere sé stessi e il proprio mondo interiore, sentendosi ascoltati e protagonisti. Proprio per questo è importante che una volta intrapreso, il percorso venga portato avanti almeno fino alla fine dell’anno scolastico per evitare di deludere le aspettative degli alunni stessi.





lunedì 17 luglio 2017

Lezioni di vita: la montagna insegna

La montagna insegna che 
- dopo una salita c'è sempre una discesa (e viceversa)
- passo dopo passo si raggiungono anche le mete più ambiziose
- raggiungere la meta costa fatica e sacrificio ma ne vale, comunque, sempre la pena.


sabato 27 maggio 2017

Sogni rubati


Ci sono state alcune generazioni di giovani, quelli del '68 o degli anni successivi, che chiedevano per sé "l'impossibile", che difendevano "l'immaginazione al potere", che rovesciarono un sistema in nome di una libertà che esigevano per sé stessi, attaccando tutti i modelli sociali e familiari tradizionali.
In nome di quella libertà, molti, come l'aria, andavano, venivano, amavano, odiavano, mettevano al mondo figli di cui ugualmente rispettavano la libertà, tentanto di evitare che provassero frustrazioni, dispiaceri e brutture della vita quotidiana.
Quei figli, cresciuti come Narciso, secondo la definizione di Gustavo Pietropolli Charmet (in "Fragile e spavaldo - Ritratto dell'adolescente di oggi", Editori Laterza, Roma - Bari, 2008) si ritrovavano poi adolescenti, ovvero in un'età per definizione critica e complessa, sprovveduti e dunque fragili in una realtà che non si sentivano, e non si sentono, in grado di affrontare, spaventati e impauriti, dato che nessuno aveva fornito loro gli strumenti adeguati per affrontarla.
Così, i docenti di Lettere delle scuole superiori, se una ventina di anni fa, assegnando come prova di produzione testuale un racconto d'invenzione, si ritrovavano a leggere storie simpatiche, piene di curiosità e di gusto per la vita, con solo qualche eccezione in cui la vicenda narrata si concludeva drammaticamente, attualmente, assegnando lo stesso tipo di prova, si ritrovano a leggere nella stragrande maggioranza dei casi, storie con un finale tragico in cui il/la protagonista, solitamente in età adolescenziale, soccombe suicidandosi, vittima di bullismo e cyberbullismo.
Quasi ci si trova a pensare che chi voleva per sé un futuro radioso, quei giovani, diventati adulti, che sognavano l'impossibile, lo hanno rubato ai loro figli, strappando sogni, curiosità e fiducia nell'avvenire.

P.S. Questo post è dedicato a tutti i miei studenti, anche del passato, in particolare a chi so che  passa di qui per leggere ciò che scrivo. Grazie, di cuore!


giovedì 18 maggio 2017

Non è una malattia

Sentii parlare di omosessualità, per la prima volta, nel novembre del 1975. Intendo dire che ne sentii parlare in modo serio, senza risolini o battutacce, quelle che tanto piacciono agli uomini di tutte le età.
Il 2 novembre 1975 era stato ucciso Pier Paolo Pasolini e Pino Pelosi, "diciassettenne legato al mondo della prostituzione maschile" (come si legge su "L'Italia del '900 - 1972 - 1975" di Enzo Biagi in collaborazione con Loris Mazzetti, Rizzoli, Milano, 2007, pag. 219), aveva confessato di essere l'assassino.
Io frequentavo la quarta ginnasio. La mia insegnante di lettere ce ne parlò e ci invitò a leggere quotidiani e riviste per documentarci sull'argomento. Già da allora emergevano forti dubbi e interrogativi su quello che potesse essere davvero accaduto. Tuttavia ciò che, soprattutto su certa stampa, si tendeva a mettere in evidenza, erano le abitudini sessuali di Pasolini. Non la sua lucidità e la sua perspicacia intellettuale.
Lo confesso. Io, all'epoca, non leggevo molto i quotidiani, se non la "Gazzetta" locale. Ugualmente, tra i settimanali, mi informavo su "Famiglia Cristiana", "Gente", "Oggi" e (mi vergogno un po' ad ammetterlo adesso, ma è così) "Bolero telefilm", ovvero i giornali che trovavo in casa mia.
Così, quando l'insegnante ci assegnò un tema di attualità sull'argomento ed io, alla luce delle mie fonti, scrissi che, in fondo, bisognava compatire Pasolini perché era malato di omosessualità, mi ritrovai con il compito corretto dall'insegnante che, a margine di tale affermazione, aveva scritto, in rosso e a caratteri cubitali: "Non è provato che l'omosessualità sia una malattia, può essere una libera scelta dell'individuo che asseconda una sua naturale tendenza!".
Restai confusa. Per qualche mese non mi interessai più della questione, anche se, studiando, scoprivo man mano che molti grandi personaggi della storia avevano questa malattia o tendenza, come affermava la mia insegnante: Leonardo da Vinci, Michelangelo, Alessandro Magno, ecc..
Non solo: nell'antichità greca e romana il rapporto più sublime e nobile era considerato proprio quello tra due uomini e non quello tra un uomo e una donna, che si accoppiavano spesso solo per procreare.
Accadde poi che qualche mese più tardi, era la primavera del 1976, il collettivo studentesco organizzò un incontro pomeridiano sull'omosessualità all'interno del nostro istituto. Oltre al preside e agli insegnanti, erano presenti esperti e si annunciava anche la presenza di chi avrebbe fornito la propria testimonianza in proposito.
Come molti, anch'io avevo in mente la macchietta tipica dell'omosessuale: una persona effeminata, volutamente provocatoria e anche un po' ridicola e patetica. Mi aspettavo fosse così la persona che avrebbe parlato della sua esperienza.
Con meraviglia invece scoprii che proprio il giovane uomo più bello e più "maschio", quello che tutte le ragazze avevano notato al suo ingresso, quello che pensavamo fosse un medico o uno psicologo appetibile (non aveva la fede!) era una "checca".
Esordì proprio così: "Salve, mi chiamo Mario e sono una checca."
Proseguì con il racconto della sua vita, quello di chi si sente rifiutato in primo luogo dai genitori ovvero da chi dovrebbe amarlo per quello che è e non per quello che vorrebbe che fosse. E poi una vita ai margini, con il terrore e l'angoscia di chi non riesce e non può essere sé stesso. E allora la frequentazione di certi ambienti marginali e squallidi diventa quasi una necessità, come se ci si volesse punire per la propria diversità, per la propria "malattia". Un dramma individuale, prima che un dramma sociale. Soprattutto perché non ci si sente compresi. Soprattutto perché c'è chi si ostina a dire che si può guarire. O che ci si deve tenere, senza ostentare o fingendo, la propria diversità. Come se la diversità fosse una colpa anziché una ricchezza, un'occasione di confronto per sfuggire all'omologazione.
Questo ho imparato in quel pomeriggio del 1976.
Ho imparato che rispettare gli altri significa rispettare la loro libertà. Un bene prezioso che tutti hanno il diritto di esercitare senza ledere la libertà altrui.
(Post già pubblicato il 6 febbraio 2009 sulla piattaforma Splinder, successivamente sul blog "La panchina in cima al monte" e su questo blog il 10 Gennaio 2016)

giovedì 6 aprile 2017

Parlare al cuore

Da tempo, ormai, psicologi e pedagogisti sostengono che, per favorire l'apprendimento degli studenti, in particolare degli adolescenti, occorre che il docente parli al loro cuore, sia in grado, cioè, di incuriosirli, di emozionarli, di appassionarli, trasmettendo loro non solo i contenuti della sua disciplina ma il suo amore per la disciplina e per i contenuti che insegna.
Ciascuno di noi ha sperimentato quanto sia importante che i docenti stabiliscano un clima di apprendimento sereno, che stimoli la motivazione e, che, soprattutto, sia in grado di appassionare gli studenti, quasi seducendoli con la propria passione.
Parlare al cuore può farlo solo chi parla col cuore.

lunedì 6 marzo 2017

Come in amore (e lo sostiene anche Galimberti!)

Leggo che Umberto Galimberti (http://wisesociety.it/incontri/umberto-galimberti-la-nostra-societa-ad-alto-tasso-di-psicopatia-non-e-adatta-a-fare-figli/) sostiene che la scuola può rimediare alle carenze affettive vissute in famiglia trasmettendo i suoi contenuti con passione, facendo leva sulle emozioni degli studenti ed insegnando loro ad appassionarsi.

Qualcosa del genere aveva già scritto Antonella Landi, in un suo articolo pubblicato il 10 settembre 2011 sulle pagine fiorentine del "Corriere della Sera" dedicate a "I quaderni della Profe", la sua rubrica settimanale, esprimendosi così: "A scuola è come in amore: bisogna essere in due a voler far funzionare il giochino.".


Altrimenti, avevo aggiunto io qualche tempo dopo, in occasione di una delle più memorabili sfuriate che mi sia capitato di fare agli studenti, diventa masturbazione. Masturbazione intellettuale, ma sempre masturbazione è.



In quell'occasione, loro, gli studenti, apprezzarono. Chiesero di scrivere la frase sulla lavagna.
Ci eravamo chiariti. Ci eravamo rappacificati.
Stavano seguendo attentamente, prendendo diligentemente gli appunti per prepararsi alla prossima verifica scritta. E anch'io procedevo in modo spedito e preciso, attenta ad ogni dubbio o richiesta che provenisse da loro.
Ci eravamo chiesti reciprocamente scusa e sembrava che nulla, in precedenza, fosse accaduto.



Proprio come succede dopo un litigio tra innamorati. Proprio come succede in amore.

giovedì 30 giugno 2016

Papaveri rossi


Papaveri rossi. Per denunciare chi sostiene che "in fondo se l'è cercata". Per denunciare chi afferma che "è stata una ragazzata". Per denunciare chi sostiene che "in fondo l'amava e non voleva perderla". Per esprimere tutto il mio disprezzo, la mia rabbia, la mia ribellione, il mio disgusto. Per affermare ci sono, che ho lottato e comunque ancora lotto per me, per tutte le donne e per tutti gli uomini che, liberi da pregiudizi e false credenze, credono ancora che possa esistere un mondo migliore.

domenica 22 maggio 2016

Lacrime nerazzurre

Vivessi cent'anni, so già che sempre ricorderò la data del 22 Maggio. Il destino, il fato o chi per lui, ha deciso che fosse per me una data significativa. Mi ha riservato dolori e gioie il 22 Maggio. 
La gioia, inenarrabile, avvolgente, totale è stata quella che la pazza Inter mi ha regalato, in diretta da Madrid, la sera del 22 Maggio 2010. 
Due giorni dopo, il 24 Maggio, su "La panchina in cima al monte" pubblicai "Lacrime nerazzurre".

"Le lacrime del Capitano, quelle del Chucu, dello Special One, del Principe, di coloro che sugli spalti piangevano di gioia per un'emozione attesa per decenni, un sogno che sembrava dover rimanere tale ed invece diventava realtà in una splendida serata di maggio.
Le mie lacrime di gioia per questa squadra che ho imparato ad amare in età adulta, seguendo il fratello che, lui sì, l'aveva scelta fin da bambino. A me l'Inter era piaciuta perché soffriva, perché ci provava e non vinceva, perché inseguiva un sogno. Mi piaceva pensare che quel sogno si sarebbe realizzato e che la sofferenza, tanta, si sarebbe trasformata in una felicità intensa, indescrivibile, fortissima.
Una felicità maturata dopo anni di sfottò, di delusioni e sconfitte cocenti, di lacrime di amarezza, il derby perso 6 a 0, il 5 maggio 2002, l'esclusione dalla Champions a favore del Milan senza aver mai perso, i "Non vincete mai!", i cori come "Interista chiacchierone bravo sotto l'ombrellone ... [... ] e come l'anno scorso e come l'anno prima [...]", "Interista diventi pazzo!" e quant'altro.
Eppure ci credevo davvero, lo sentivo nel profondo del cuore che sarebbe capitato. Perché ero convinta anch'io, con Jim Morrison, che "A volte il vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato".
Così, mentre continuo a piangere di gioia, penso che sia valsa la pena sopportare tanta sofferenza per provare, adesso, il dolce sapore del trionfo."

https://vimeo.com/11960846?ref=fb-share&1

domenica 10 aprile 2016

"Se una radio è libera..."

"Bastarono i nostri quindici anni.
Bastò un trasmettitore da 5 watt preso a centomila lire.
Bastò un vecchio giradischi Philips, un microfono da dieci carte e un mixerino con due fader.
Bastò l'estro di un amico diciassettenne che faceva l'Istituto tecnico.
Bastò una stanza di casa sua e un'antennazza sui suoi tetti.
E avemmo la nostra radio."
(Luciano Ligabue: "Fuori e dentro il borgo", Baldini & Castoldi, Milano, 1997, pg. 80)

"<<Ecco.>>
<<Ecco cosa?>>
<<Novantanove megahertz.>>
<<Cosa?>>
<<E' la frequenza, la nostra frequenza.>>
<<Vuoi dire, che...>>
<<Siamo in onda.>>
[...]
Quella era Radiopirata, la più piccola radio dell'universo. Trasmetteva sui 99 megahertz. Non ce ne sarebbe stata mai più una uguale."
(Francesco Carofiglio: "Radiopirata", Marsilio Editori S.p.A., Venezia, 2011, pg. 150, pg. 152)



https://www.youtube.com/watch?v=xzlqv1ZFUyY



giovedì 17 marzo 2016

Come in amore


Fu Antonella Landi, collega stimata, collaboratrice, tra l'altro, di varie testate giornalistiche, a scrivere in un suo articolo pubblicato sulle pagine fiorentine del "Corriere della Sera" dedicate a "I quaderni della Profe", la sua rubrica settimanale: "A scuola è come in amore: bisogna essere in due a voler far funzionare il giochino.".
Altrimenti, aggiunsi io qualche tempo dopo, in occasione di una delle più memorabili sfuriate che mi sia capitato di fare agli studenti, diventa masturbazione. Masturbazione intellettuale, ma sempre masturbazione è.
Loro, gli studenti, in quell'occasione, apprezzarono. Chiesero di scrivere la frase sulla lavagna.
Ci eravamo chiariti. Ci eravamo rappacificati.
Seguirono poi attentamente la lezione, prendendo diligentemente gli appunti per prepararsi alla prossima verifica scritta. E anch'io procedetti in modo spedito e preciso, attenta ad ogni dubbio o richiesta che provenisse da loro.
Ci eravamo chiesti reciprocamente scusa e sembrava che nulla, in precedenza, fosse accaduto.
Proprio come succede dopo un litigio tra innamorati.

La verità è che, come già Don Milani aveva affermato, il mestiere dell'insegnante va fatto con amore. Altrimenti è meglio non farlo.

sabato 6 febbraio 2016

Folle passione

Non è follia la mia, sostiene l'amica del cuore, ma passione.
Passione ed amore per la vita, curiosità, interesse ed attenzione, desiderio. E' il bisogno di essere nelle cose e di non farsi travolgere dalle stesse. E' la voglia di vivere che sempre, anche nei momenti più oscuri, che pur necessariamente si attraversano, non manca mai e trova sempre un appiglio cui aggrapparsi, per ritrovarsi poi ad assaporare la bellezza e la gioia di essere, di esserci.

(Già pubblicato su altra piattaforma il 29 settembre 2011)

sabato 16 gennaio 2016

Credere

CREDO: IL MONOLOGO DI FRECCIA
(TRATTO DAL FILM “RADIOFRECCIA” DI LUCIANO LIGABUE – 1999)


“Oggi ho avuto una discussione con un amico. Lui è uno di quelli bravi. Bravi a credere a quello in cui gli dicono di credere. Lui dice che se uno non crede in certe cose non crede in niente. Be’, non è vero. Anch’io credo. Credo nelle rovesciate di Bonimba, e nei riff di Keith Richards. Credo al doppio suono di campanello del padrone di casa, che vuole l'affitto ogni primo del mese… Credo che ognuno di noi si meriterebbe un padre e una madre che siano decenti con lui almeno finché non si sta in piedi. Credo che un'Inter come quella di Corso, Mazzola e Suarez non ci sarà mai più, ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa.

Credo che non sia tutto qua, però prima di credere in qualcos'altro bisogna fare i conti con quello che c'è qua.
E allora mi sa che crederò prima o poi in qualche Dio. Credo che, se mai avrò una famiglia, sarà dura tirare avanti con trecento mila al mese, però credo anche che se non leccherò culi come fa il mio caporeparto,  difficilmente cambieranno le cose.

Credo che c'ho un buco grosso dentro, ma credo che il rock and roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro, le stronzate con gli amici… ogni tanto questo buco me lo riempiono. Credo che la voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso… e credo che da te stesso non ci scappi nemmeno se sei Eddie Merckx. Credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perché comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri.


Credo che per credere, certi momenti, ti serva molta energia.”


(Antonio Leotti - Luciano Ligabue: “Radiofreccia – La sceneggiatura, le foto, e altro ancora”, Fandango Libri, Roma, 1999, pgg. 57-58)




Luciano Ligabue                          (Tratto da Radiofreccia –  colonna sonora originale - 1998)


 HO PERSO LE PAROLE

HO PERSO LE PAROLE                                             
EPPURE CE LE AVEVO QUA UN ATTIMO FA                    
DOVEVO DIRE COSE                                          
COSE CHE SAI                                                    
CHE TI DOVEVO                                                   
CHE TI DOVREI
HO PERSO LE PAROLE
PUÒ DARSI CHE ABBIA PERSO SOLO LE MIE BUGIE
SI SON NASCOSTE BENE
FORSE PERÒ
SEMPLICEMENTE
NON ERAN MIE

CREDI
CREDICI UN PO’
METTI INSIEME UN CUORE E PROVA A SENTIRE E DOPO
CREDI
CREDICI UN PO’ DI PIÙ DI PIÙ
DAVVERO
SEI BELLA CHE FAI MALE
SEI BELLA CHE SI BALLA SOLO COME VUOI TU
NON SERVONO PAROLE
SO CHE LO SAI
LE MIE PAROLE NON SERVON PIÙ
MA HO PERSO LE PAROLE
E VORREI CHE TI BASTASSE SOLO QUELLO CHE HO
IO MI FARÒ CAPIRE
ANCHE DA TE
SE ASCOLTI BENE SE ASCOLTI UN PO’

CREDI
CREDICI UN PO’ SEI SU RADIOFRECCIA GUARDATI IN FACCIA E DOPO
CREDI
CREDICI UN PO’ DI PIÙ DI PIÙ
DAVVERO
HO PERSO LE PAROLE
OPPURE SONO LORO CHE PERDONO ME
IO SO CHE DOVREI DIRE
COSE CHE SAI
CHE TI DOVEVO, CHE TI DOVREI
MA HO PERSO LE PAROLE
CHE BELLO SE BASTASSE SOLO QUELLO CHE HO
MI POSSO FAR CAPIRE ANCHE DA TE SE ASCOLTI BENE SE ASCOLTI UN PO’

CREDI CREDICI UN PO’ METTI INSIEME UN CUORE E PROVA A SENTIRE E DOPO

CREDI CREDICI UN PO’ DI PIÙ DI PIÙ
DI PIÙ DAVVERO

CREDI CREDICI UN PO’ SEI SU RADIO FRECCIA GUARDATI IN FACCIA E DOPO CREDI


 https://www.youtube.com/watch?v=pLXBoRkPM7E

venerdì 15 gennaio 2016

"Libertà è partecipazione"

Indubbiamente è importante partecipare, manifestando magari anche in piazza per far valere ciò in cui si crede.
La vera rivoluzione, tuttavia, la si fa agendo quotidianamente secondo gli stessi principi per cui si è manifestato. 
E' la quotidianità individuale che legittima le scelte di ciascuno e dell'intero sistema di cui si fa parte.
Solo così si può affermare di aver davvero partecipato.
E di essere davvero liberi. Coerentemente liberi.

martedì 12 gennaio 2016

Cose utili e inutili

Io ripartirei da qui. Dall'affermazione di Don Lorenzo Milani "La scuola è quel luogo dove si insegnano cose utili, quelle cose che il mondo non insegna, sennò non va bene." riportata in "Una lezione alla scuola di Barbiana" (Don Lorenzo Milani: "Una lezione alla scuola di Barbiana", a cura di Michele Gesualdi, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 2004, pg.11).
E' indubbio che quelle che cinquant'anni fa Don Milani riteneva "cose inutili" attualmente possano essere considerate utilissime, o viceversa.
In generale, riprendendo la citazione del priore di Barbiana, devono considerarsi cose utili "quelle cose che il mondo non insegna".
Attualmente sono tantissime le cose che il mondo non insegna: il rispetto per sè stessi e per gli altri, la passione, la curiosità vera, l'arte di saper aspettare, la bellezza, il sacrificio.
A scuola ci si può (anzi, a mio avviso si deve) dedicare al ballo, alla musica, al teatro etc., a patto che non lo si faccia seguendo mode e fenomeni culturali di basso profilo (che potrebbero al limite essere analizzati per la loro capacità di attrarre le masse).
La scuola che auspico è quella che dia a tutti la possibilità di crescere, di scoprire sé stessi e le proprie potenzialità, di formarsi come persona nel senso più completo del termine, imparando a non farsi schiacciare dalle mode, dalla massa che tutto omologa e appiattisce.

‎(Vecchio post, già pubblicato sulla piattaforma Splinder da Critolao il ‎17 ‎giugno ‎2008 ma oggi come allora attualissimo)

domenica 3 gennaio 2016

Per sempre

Giura che lo ama. Che resteranno insieme per sempre. Che da quando lo ha incontrato, la sua vita ha avuto, finalmente, un senso.
Hanno festeggiato il loro anniversario con un video pubblicato su un social network, affinché tutti sapessero dell'importanza del loro amore.
Ho sorriso e ho provato tenerezza e timore guardando quel video. Loro hanno 16 anni.
Io quasi 55.
E ho imparato che gli amori giovanili spesso svaniscono, con la stessa immediatezza con cui sono nati.
(Già pubblicato sul blog "Sala Docenti")