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venerdì 14 aprile 2023

Selezione e formazione dei docenti

  Da sempre è questo uno degli argomenti che più mi stanno a cuore e mi appassionano, in virtù anche della considerazione sociale (a volte pessima) di cui gli stessi insegnanti godono.

Quello dell'insegnante è un mestiere delicato e complesso, un mestiere che richiede, perché possa essere esercitato al meglio, una predisposizione particolare, un amore e una passione che solo se si sta bene con sé stessi permettono di poter lavorare serenamente.

Tuttavia sembra che tale aspetto, che spesso viene sottolineato, non venga poi tenuto in conto quando si tratta di creare le condizioni di accesso alla professione docente.

Il possesso di un determinato titolo di studio, diploma o laurea che sia, permette a chiunque di inserirsi nelle graduatorie di disponibilità per le supplenze: è da questo momento che si creano le file di aspiranti docenti precari che alla prima chiamata di supplenza si ritrovano ad entrare in classe portandosi appresso come esperienza solo quella vissuta qualche anno prima sui banchi di scuola come studente.

Certo, ci sono anche supplenti che alla prima esperienza hanno superato concorsi, hanno svolto attività specifiche di insegnamento in tirocinio o hanno compiuto studi specifici legati alla professione docente.

La maggior parte, tuttavia, spesso impara a svolgere questo mestiere sulla pelle degli studenti. Ciò non significa che per questo non si diventi comunque un buon insegnante. Il problema però è che spesso si diventa insegnanti per caso, perché inizialmente l'accesso, seppur precario, alla professione non prevede una selezione che per le altre professioni è invece richiesta. Si creano aspettative di concorsi, ordinari e/o riservati, che restano tali per anni e anni e anni, in una situazione di precarietà logorante sia per chi la vive sia per chi la subisce e purtroppo, a volte, ne paga le conseguenze.

Conoscere una disciplina non necessariamente significa saperla trasmettere; vivere in contatto quotidiano con persone in fase di crescita richiede una disponibilità empatica e, al tempo stesso, una autorevolezza che non si possono sicuramente misurare con un concorso ordinario che tende a puntare sul nozionismo e non ad osservare le competenze relazionali e le modalità operative e didattiche del candidato.

Una formazione iniziale specifica per la professione insegnante potrebbe prevedere un corso abilitante almeno biennale comprensivo di tirocinio da svolgere presso un istituto statale il cui titolo permetta di inserirsi in graduatorie valide per le supplenze e per l'immissione in ruolo.

La formazione dovrebbe poi nel corso del tempo continuare in servizio visto il continuo mutamento delle generazioni e la necessità di adottare strategie didattiche efficaci e personalizzate.

Infine, sarebbe opportuno che si considerasse l'importanza di svolgere tale lavoro in serenità, prevedendo, laddove ve ne sia la necessità, il distacco dall'attività in classe a contatto con gli studenti per svolgere tutoraggio o altre mansioni che attualmente gravano sulle spalle dei docenti volontari (pochi) sempre presenti e spesso esauriti e stressati.


sabato 11 giugno 2022

Da numero a fantasma: il dramma della dispersione scolastica

 Fantasmi, è vero. O, più semplicemente, come si diceva una volta, numeri. Sorprende che nella scuola, soprattutto in certi indirizzi di scuole, non ci si renda conto del dramma che noi tutti, e in primo luogo i più giovani (mi riferisco ai bambini e, soprattutto, agli adolescenti) abbiamo vissuto negli ultimi due anni. La scuola è diventata così lo specchio di un fallimento educativo che già era presente prima della diffusione della pandemia e che con la pandemia ha mostrato tutte le sue criticità: una scuola a volte esageratamente selettiva che non è stata capace di far emergere le potenzialità di ciascuno degli studenti che gli erano stati affidati e, d'altra parte, una scuola fin troppo lassista, ugualmente incapace di trasmettere passione, conoscenza, entusiasmo per la vita e per il sapere. Una scuola con docenti spesso disillusi o trasformati in meri burocrati, impegnati a compilare moduli e a formulare discorsi in cui non ci si crede. Una scuola che a volte, tuttavia, resiste, e lo fa con chi, maestro, insegnante, genitore, dirigente, operatore o collaboratore a qualunque titolo nella scuola, continua a credere che gli studenti abbiano il diritto di avere almeno un maestro, un insegnante che segnerà il percorso della loro vita per sempre, che trasmetterà loro la passione per la conoscenza, per il sapere, per la vita, e che sarà capace di mostrare a ciascuno il proprio talento. Ci sono questi docenti, ci sono queste scuole ed è nel loro entusiasmo e nella loro passione che bisogna riporre le speranze, nonostante tutto.

giovedì 17 marzo 2022

Docente psicologo?

 Sinceramente, ritengo che i due ruoli, quello del docente e quello dello psicologo, debbano essere assolutamente distinti poiché distinte ne sono le funzioni. Indubbiamente un insegnante deve sapere ascoltare uno studente, ne deve comprendere le difficoltà nell'approccio allo studio ma non deve trasformarsi nello psicologo che lo aiuta a guardarsi in sé stesso e a relazionarsi con sé stesso, con gli altri, con la realtà che lo circonda. Il compito del docente è quello di trasmettere l'amore per lo studio e per le discipline insegnate, stimolare la curiosità e il dubbio ma non trasformarsi in uno psicologo o in un confessore, rischiando di fallire in entrambi i ruoli, quello del docente e quello, appunto, dello psicologo.

venerdì 6 novembre 2020

La scuola non si ferma


 La scuola non si ferma. Non si è mai fermata, da quando, tra fine febbraio e l'inizio di marzo, i docenti, magari ultracinquantenni, hanno reimparato il loro mestiere, sperimentando modalità di insegnamento cui mai avrebbero pensato di approdare. Improvvisamente G-Suite, Classroom, Drive, Moduli, Meet, sono diventati familiari anche a coloro che, in precedenza, non sapevano nemmeno da dove si accendesse un computer.

La scuola non si ferma, non si è mai fermata, checché ne pensassero coloro che hanno accusato la classe docente di aver usufruito di un lunghissimo periodo di vacanza a partire dal marzo scorso. C'è chi, tra gli insegnanti, bisogna ammetterlo, ha davvero goduto di un lungo periodo di vacanza: lo sanno i loro studenti, le famiglie, ma anche i colleghi e i dirigenti. Ma è ingiusto pensare che sia stato per tutti, per molti, così. La scuola non ha chiuso e non chiuderà. Per questo, adesso, andare a scuola, per i docenti, per continuare a far lezione in un'aula vuota, è dare un segnale: quello di chi esercita un mestiere essenziale, che si pone al servizio delle menti più giovani al fine di farle crescere, seppur in una condizione di difficoltà. Una sfida che, da sempre, i docenti sono disposti ad accettare.

mercoledì 18 dicembre 2019

#Ediciamolo!

Non me la prendo con i ragazzi. Me la prendo con genitori e adulti che non hanno insegnato o non insegnano loro che esistono gli altri, con cui si convive e che meritano rispetto, lo stesso che si pretende per sé stessi; che le regole, anche se non piacciono, vanno rispettate; che i semafori non servono ad illuminare le città; che, soprattutto, i genitori e gli educatori non sono amici, non possono esserlo, dato che hanno un compito nobile: quello di educare e formare e per svolgerlo non si può, non si deve essere amici.

domenica 24 novembre 2019

C'è ancora tanto da fare

La cultura alla quale apparteniamo - come ogni altra cultura - si serve di tutti i mezzi a sua disposizione per ottenere dagli individui dei due sessi il comportamento più adeguato ai valori che le preme conservare e trasmettere: fra questi anche il 'mito' della "naturale" superiorità maschile contrapposta alla "naturale" inferiorità femminile. In realtà non esistono qualità "maschili" e qualità "femminili", ma solo "qualità umane". L'operazione da compiere dunque "non è di formare le bambine a immagine e somiglianza dei maschi, ma di restituire a ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene". (Elena Gianini Belotti: «Dalla parte delle bambine» - Feltrinelli – 1973)



"[...] Abbiamo bisogno di forti voci e di salde immagini femminili
che confliggano con la tradizione patriarcale che forgia e intrappola donne e uomini in stereotipi che soffocano le relazioni, gli affetti, i sentimenti e le emozioni. Non abbiamo bisogno di passare alle giovani generazioni l'immaginario standard di donne fragili e uomini duri, o al massimo buoni perché protettivi (protettori?). Fragili lo siamo tutte e tutti, è la natura umana. Insieme, fragili e forti, volta per volta, alla ricerca di un equilibrio difficile, nel quale sono presenti momenti di incertezza, ma mai, mai e in nessun caso, dove la violenza sia prevista, tollerata, giustificata." (Monica Lanfranco: "Crescere uomini, Erickson, Trento, 2019, Pag. 34)

mercoledì 6 novembre 2019

Ciò che non si doveva dire (e che ancora si preferisce non dire)

A Taranto, come recita la mia carta d'identità, ci sono nata, per quanto vi abbia vissuto poco.

Non ho mai amato Taranto. Mai. Ho sempre respirato a fatica la sua aria infetta, pesante, che lasciava, lo ricordo bene, un tappeto di polvere nera sul balcone della casa di mia nonna, dove trascorrevo, a volte, le mie vacanze estive.
Erano gli anni '60 - '70.
Nel frattempo l'aria diventava sempre più irrespirabile. Un numero sempre maggiore di residenti (anche tra i miei parenti) si ammalava. Moriva.
Ma Taranto accettava. L'Italsider (come molti, fino a qualche tempo fa continuavano a chiamare quella che sarebbe diventata l'Ilva e attualmente Arcelor Mittal) dava lavoro ai tarantini della città e della provincia. Di fronte al lavoro si chiudeva un occhio. Anche due. 
In qualche caso si ricorreva all'amico sindacalista, al parroco, a chi poteva garantire un'assunzione. Il sistema clientelare si autoalimentava creando l'illusione del benessere. 
E non importava se un lavoro, quel lavoro, avrebbe potuto chiedere in cambio la propria salute, la propria vita.

Poi è accaduto qualcosa. La magistratura, finalmente, dopo cinquant'anni, ha sollevato il caso Ilva, e così si è cominciato a parlare di ciò che, almeno a Taranto, tutti sapevano ma nessuno aveva voglia parlarne.
Perché certe cose non si possono (e/o non si vogliono) dire.

sabato 26 gennaio 2019

"Essere felici - Il cinema insegna"

“Io penso che la felicità è quando ti vai a prendere quello che c’è di grande nella vita, anche se devi superare tantissimi ostacoli e difficoltà. Quindi la felicità è una cosa che se proprio la vuoi te la devi andare a prendere. A questa cosa ci penso molto spesso, perché io delle volte mi sento solo e disperato, ma altre volte sento proprio di essere felice.
E non ho detto allegro, contento, sereno, ho proprio detto felice!
Di solito però gli altri, le persone normali, vogliono che stai in difesa, che fai catenaccio, è come se non ci credono che ci sono le cose grandi da andarsi a prendere in attacco. In difesa uno soffre meno, ma non so se può davvero essere felice.
[…] Una cosa molto importante per essere felici sono le persone speciali, una persona speciale è quella che ti fa capire che in attacco ci sono le cose grandi e che stare in difesa è un peccato. Oppure sei tu che gli fai capire che in attacco ci sono le cose grandi e allora sei molto felice di farglielo capire.

Io ci provo ad essere felice, costi quello che costi. Certo, mica si può essere felici di tutto, però forse basta esserlo di qualcosa, che poi quel qualcosa illumina tutto il resto… e siamo salvi.” (Tratto dalla sceneggiatura del film “Banana” di  Andrea Jublin. Italia, 2015)


domenica 20 gennaio 2019

Esame di Stato 2019

Le novità comunicate dal MIUR a proposito dell'Esame di Stato conclusivo del percorso della scuola secondaria di secondo grado non dovrebbero preoccupare coloro che, già dal 2012, sulla base delle Linee Guida emanate a seguito della Riforma del 2010, hanno cominciato a elaborare ed applicare una didattica delle competenze che privilegiasse un apprendimento attivo e agito da parte dello studente. In fondo, le indicazioni che il MIUR sta continuando a fornire ai docenti e agli studenti dall'inizio dell'anno scolastico in corso si attendevano già dallo scorso anno e sono in linea con quanto indicato negli anni precedenti rispetto a una modalità di insegnamento - apprendimento basato su UDA (Unità di Apprendimento) che coinvolgano discipline diverse, prevedendo attività di team working (lavoro di gruppo) e modalità di valutazione dell'apprendimento stesso che integrino la lezione frontale e la tradizionale interrogazione alla cattedra. Naturalmente, come tutti i cambiamenti, anche questo genera ansia in chi, tra qualche mese, dovrà affrontare l'Esame di Stato, non solo gli studenti (ed eventualmente le loro famiglie), ma anche i docenti.  
Tuttavia, proprio perché si tratta, per gli studenti, di un passaggio significativo verso le responsabilità della vita adulta e per i docenti e i dirigenti scolastici di accompagnare i più giovani in tale processo, può essere opportuno, piuttosto che opporsi aprioristicamente al cambiamento, accertarlo e mettersi nelle condizioni di affrontarlo consapevolmente, sfruttando al meglio le proprie potenzialità.

giovedì 6 dicembre 2018

Il coraggio di cambiare

Di fronte alla prospettiva di dover cambiare, spesso capita di irrigidirsi. La resistenza al cambiamento, in fondo, altro non è che la paura del nuovo, dell'ignoto che la novità porta con sé, il timore di non essere in grado di affrontare nuove scelte di vita, nuove sfide, nuove condizioni, nuove situazioni.
Investe vari campi, la resistenza al cambiamento: cambiare città, casa, amori, indirizzo di studi, locali frequentati, luoghi di vacanza, metodi di studio. 
O di insegnamento. Di fronte a una proposta didattica innovativa, capita spesso di trovarsi di fronte colleghi, genitori, studenti che si irrigidiscono, temono che non possa funzionare, che andrà necessariamente male. E non importa se il metodo di insegnamento utilizzato fino ad allora sia poco efficace: quel metodo è comunque garantito dall'esperienza, dall'esser stato sempre usato.
Eppure sarebbe interessante mettere a confronto tecniche didattiche differenti, introducendo modalità di insegnamento/apprendimento che stimolino la curiosità, l'interesse, la partecipazione, all'interno di una scuola che in certe occasioni appare sempre uguale a sé stessa, poco stimolate, noiosa, piatta, arida. 
Ben vengano allora docenti innovatori che riescano, salvaguardando la qualità della loro azione didattica, a proporre progetti coinvolgenti e interessanti che richiedono indubbiamente il coraggio di cambiare ma possono indurre quella riforma della scuola che, per quanto più volte evocata, non può essere imposta dall'alto ma solo partire dal basso grazie alla condivisione e all'operatività di chi crede davvero nell'istituzione scolastica.

domenica 25 novembre 2018

C'è ancora tanto da fare

Non sono solo le minacce, le urla, i pedinamenti, le botte, gli assassini. Le donne sono vittime di violenza ogni volta che sentono il peso di una cultura soffocante che le costringe a tacere, a mediare, ad accettare sopportando, quotidianamente, di essere quello che non sono.
Sono vittime di violenza quando nascondono i propri sentimenti più veri in nome di un modello femminile che le vuole pazienti, dolci, delicate, altruiste, pronte a sacrificare sempre sé stesse  e i propri desideri per favorire quelli dei figli, dei partner, dei genitori e di chiunque altro si aspetta da loro che sì, lo faranno, perché è sempre stato così.
Sono vittime di violenza quando si sentono schiacciare dal senso di colpa ogni volta che si concedono una serata con le amiche o un paio d'ore di libertà per pensare solo ed esclusivamente a sé stesse, financo quando, per motivi di lavoro, devono trattenersi più a lungo in ufficio mentre a nessun uomo salterebbe in mente di sentirsi in colpa per una partita a calcetto con gli amici o per essersi trattenuto in ufficio più a lungo per motivi di lavoro.
Dietro il femminicidio c'è il retaggio di una cultura dura a morire, di una cultura che non accetta che le donne siano considerate persone che possono dire NO, ribellarsi, andarsene, cambiare idea e che, soprattutto, pensino innanzi tutto a sé stesse, a volersi bene, ad essere egoiste, di quel sano egoismo cui ciascun individuo ha diritto.
Ecco perché non basta un segno rosso sul viso in segno di solidarietà ed attenzione. Ecco perché non bastano cortei, manifestazioni e giornate dedicate.
Ecco perché c'è ancora tanto da fare.

domenica 11 novembre 2018

Sogni cancellati



Ci sono state alcune generazioni di giovani, quelli del '68 o degli anni successivi, che chiedevano per sé "l'impossibile", che difendevano "l'immaginazione al potere", che rovesciarono un sistema in nome di una libertà che esigevano per sé stessi, attaccando tutti i modelli sociali e familiari tradizionali.

In nome di quella libertà, molti, come l'aria, andavano, venivano, amavano, odiavano, mettevano al mondo figli di cui ugualmente rispettavano la libertà, tentando di evitare che provassero frustrazioni, dispiaceri e brutture della vita quotidiana.
Quei figli, cresciuti come Narciso, secondo la definizione di Gustavo Pietropolli Charmet (in "Fragile e spavaldo - Ritratto dell'adolescente di oggi", Editori Laterza, Roma - Bari, 2008) si ritrovavano poi adolescenti, ovvero in un'età per definizione critica e complessa, sprovveduti e dunque fragili in una realtà che non si sentivano, e non si sentono, in grado di affrontare, spaventati e impauriti, dato che nessuno aveva fornito loro gli strumenti adeguati per affrontarla.
Così, i docenti di Lettere delle scuole superiori, se una ventina di anni fa, assegnando come prova di produzione testuale un racconto d'invenzione, si ritrovavano a leggere storie simpatiche, piene di curiosità e di gusto per la vita, con solo qualche eccezione in cui la vicenda narrata si concludeva drammaticamente, attualmente, assegnando lo stesso tipo di prova, si ritrovano a leggere nella stragrande maggioranza dei casi, storie con un finale tragico in cui il/la protagonista, solitamente in età adolescenziale, soccombe suicidandosi, vittima di bullismo e cyberbullismo.

Quasi ci si trova a pensare che molti di quei giovani che volevano l'impossibile e che sognavano per  sé un futuro radioso, quello stesso futuro  lo hanno rubato ai loro figli, cancellando sogni, curiosità e fiducia nell'avvenire.

mercoledì 31 ottobre 2018

Il vizio della memoria - "Io so"

"Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
[...]
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. [...]
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
[...]
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
(Tratto da "Corriere della Sera", 14 novembre 1974 -
"Cos'è questo golpe? Io so"
di Pier Paolo Pasolini)


lunedì 29 ottobre 2018

Obiettori di coscienza e piccole storie ignobili

A chi si ostina a tuonare contro la 194, sarebbe opportuno ricordare che l'aborto è sempre esistito. La 194 del 1978 è stata solo (e finalmente, nonostante le sue imperfezioni) la legge che lo ha regolamentato, nel tentativo di evitare che le donne delle classi più povere o le minorenni morissero di setticemia sotto i ferri da calza delle mammane. Noi che c'eravamo ce lo ricordiamo e vorremmo che tutti ricordassero che tanti obiettori di coscienza erano in precedenza proprio coloro che, clandestinamente e compensati con ricche parcelle, praticavano gli aborti clandestini.
Quegli stessi aborti clandestini evocati da Francesco Guccini nel 1976 con "Piccola storia ignobile".



"E così ti sei trovata come a un tavolo di marmo desiderando quasi di morire,
presa come un animale macellato stavi urlando, ma quasi l'urlo non sapeva uscire
e così ti sei trovata fra paure e fra rimorsi davvero sola fra le mani altrui,
che pensavi nel sentire nella carne tua quei morsi
di tuo padre, di tua madre e anche di lui,
di tuo padre, di tua madre e anche di lui,
di tuo padre, di tua madre e anche di lui.

Ma che piccola storia ignobile sei venuta a raccontarmi, non vedo proprio cosa posso fare.
Dirti qualche frase usata per provare a consolarti o dirti: "è fatta ormai, non ci pensare".
E' una cosa che non serve a una canzone di successo e non vale due colonne su un giornale,
se tu te la sei voluta cosa vuoi mai farci adesso
e i politici han ben altro a cui pensare
e i politici han ben altro a cui pensare
e i politici han ben altro a cui pensare..."

sabato 27 ottobre 2018

"Libertà è partecipazione"

"La libertà non è star sopra un albero [...] libertà è partecipazione" cantava Giorgio Gaber nei primi anni Settanta.
Cosa significa "libertà è partecipazione"? Significa "essere nel gioco della vita", significa "mettersi in gioco" (citando testualmente le parole di due adolescenti cui è stato chiesto di spiegare il significato della frase).
Ma quanti, davvero, hanno voglia di farlo? Quanti hanno voglia di prendersi le responsabilità che il quotidiano vivere richiede, non solo tra i più giovani, ma anche, e soprattutto, tra gli adulti? 
E' tanto facile lasciarsi guidare, delegare, per poi attribuire le colpe di ciò che va male agli altri, alla società, questo insieme di individui non meglio identificati in cui ci si rifugia, come nel branco.
Ma la società è fatta da ognuno di noi. E se ciascuno di noi, come sostengono i due adolescenti precedentemente citati, si prendesse la responsabilità di mettersi in gioco, di essere nel gioco della vita, senza nascondersi dietro le scelte altrui, forse la società sarebbe migliore.

"Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come un uomo che ha bisogno
Di spaziare con la propria fantasia
E che trova questo spazio
Solamente nella sua democrazia.
Che ha il diritto di votare
E che passa la sua vita a delegare
E nel farsi comandare
Ha trovato la sua nuova libertà."
(Giorgio Gaber: "La libertà")



venerdì 19 ottobre 2018

Un drone ci salverà (?)

Di fronte alle continue violazioni delle regole della civile convivenza che ciascun essere umano, grazie anche alla sua immaginazione, alla sua  creatività e alla forza del suo pensiero quotidianamente compie, si potrebbe ipotizzare che il comportamento umano venga regolato, controllato ed eventualmente sanzionato da un drone che, per esempio, potrebbe intervenire ogni volta che una regola venisse infranta.
L'intervento potrebbe avere diverse tipologie: per esempio, il ritardo dello studente nell'entrare in aula potrebbe essere segnalato da una sirena che sottolinei, magari anche in modo fastidioso, il mancato rispetto della puntualità.
Oppure, tutti coloro che ritengono che i semafori siano collocati nelle nostre strade per illuminarle, potrebbero essere bloccati (più o meno violentemente) qualora non rispettino il rosso (pedoni, ciclisti o automobilisti che siano).
Sarebbe un mondo più ordinato. Forse non migliore. Comunque senza cuore, oltre che senza cervello.

mercoledì 10 ottobre 2018

Per sempre

Giura che lo ama. 

Che resteranno insieme per sempre. 

Che da quando lo ha incontrato, la sua vita ha avuto, finalmente, un senso.

Hanno festeggiato il loro anniversario con un video pubblicato su un social network, affinché tutti sapessero dell'importanza del loro amore.
Ho sorriso e ho provato tenerezza e timore guardando quel video. Loro hanno 16 anni.
Io quasi 60.
E ho imparato che gli amori giovanili spesso svaniscono, con la stessa immediatezza con cui sono nati.
(Rielaborazione di un vecchio post già pubblicato sulla piattaforma Splinder)

lunedì 1 ottobre 2018

La bacchetta rossa


Ne era stata subito colpita. Ed ancora adesso la ricordava, sebbene si trattasse di un ricordo sbiadito dal tempo.
Era una bacchetta rossa, appoggiata sulla cattedra della maestra. La intimorì vederla lì, il primo giorno di scuola, in prima elementare (era il primo ottobre del 1967), ed ancor di più la intimorì vederla usare qualche volta sulle dita di qualche compagno di classe un po' indisciplinato.
Poi, non capì bene perché, improvvisamente la bacchetta rossa sparì. 
Sarà stata primavera inoltrata, più o meno, sempre nel corso di quel suo primo anno scolastico.
Solo alcuni anni dopo comprese il motivo per cui la maestra non aveva più sulla cattedra la bacchetta rossa: era "successo il '68"."

(Rielaborazione di un vecchio post, precedentemente pubblicato il 10 gennaio 2008)

domenica 16 settembre 2018

L'esigenza di fare figli

"In Italia abbiamo l'esigenza di fare figli": ammettiamo che sia questa la vera esigenza.
Ma per fare figli sarebbe necessario che un Paese creasse le condizioni perché le coppie possano decidere di mettere al mondo un figlio. Sarebbe cioè almeno necessario:
- creare opportunità di lavoro stabili per tutti, uomini e donne. Con un lavorio precario, e miseramente retribuito, è difficile decidere di affittare o comprare casa, sposarsi o anche solo convivere, progettare a lungo termine;
- creare strutture che consentano alle donne di lavorare alle stesse condizioni degli uomini, ovvero asili nido e scuole d'infanzia pubblici, a basso costo, aperti 24 ore su 24 (come saggiamente hanno cominciato a fare alcune catene di supermercati, consapevoli del fatto che ci sono lavoratori turnisti). E' finito il tempo in cui esistevano famiglie allargate in cui i bambini venivano affidati a vecchie zie e nonni, vivendo tutti insieme nelle cascine o nelle masserie. E' finito il tempo in cui si ritiene che compito delle donne sia quello di fare e allevare figli;
- smettere di pensare che le pensioni dei nonni possano essere utilizzate per aiutare economicamente figli e nipoti. Ugualmente bisognerebbe smettere di considerare i nonni come baby sitter a tempo pieno completamente gratuiti.
Siamo nel XXI secolo, non nel XIX. La società è cambiata, le persone, gli individui sono cambiati.
Sarebbe il caso di rendersene conto, una volta per tutte.