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venerdì 14 aprile 2023

Selezione e formazione dei docenti

  Da sempre è questo uno degli argomenti che più mi stanno a cuore e mi appassionano, in virtù anche della considerazione sociale (a volte pessima) di cui gli stessi insegnanti godono.

Quello dell'insegnante è un mestiere delicato e complesso, un mestiere che richiede, perché possa essere esercitato al meglio, una predisposizione particolare, un amore e una passione che solo se si sta bene con sé stessi permettono di poter lavorare serenamente.

Tuttavia sembra che tale aspetto, che spesso viene sottolineato, non venga poi tenuto in conto quando si tratta di creare le condizioni di accesso alla professione docente.

Il possesso di un determinato titolo di studio, diploma o laurea che sia, permette a chiunque di inserirsi nelle graduatorie di disponibilità per le supplenze: è da questo momento che si creano le file di aspiranti docenti precari che alla prima chiamata di supplenza si ritrovano ad entrare in classe portandosi appresso come esperienza solo quella vissuta qualche anno prima sui banchi di scuola come studente.

Certo, ci sono anche supplenti che alla prima esperienza hanno superato concorsi, hanno svolto attività specifiche di insegnamento in tirocinio o hanno compiuto studi specifici legati alla professione docente.

La maggior parte, tuttavia, spesso impara a svolgere questo mestiere sulla pelle degli studenti. Ciò non significa che per questo non si diventi comunque un buon insegnante. Il problema però è che spesso si diventa insegnanti per caso, perché inizialmente l'accesso, seppur precario, alla professione non prevede una selezione che per le altre professioni è invece richiesta. Si creano aspettative di concorsi, ordinari e/o riservati, che restano tali per anni e anni e anni, in una situazione di precarietà logorante sia per chi la vive sia per chi la subisce e purtroppo, a volte, ne paga le conseguenze.

Conoscere una disciplina non necessariamente significa saperla trasmettere; vivere in contatto quotidiano con persone in fase di crescita richiede una disponibilità empatica e, al tempo stesso, una autorevolezza che non si possono sicuramente misurare con un concorso ordinario che tende a puntare sul nozionismo e non ad osservare le competenze relazionali e le modalità operative e didattiche del candidato.

Una formazione iniziale specifica per la professione insegnante potrebbe prevedere un corso abilitante almeno biennale comprensivo di tirocinio da svolgere presso un istituto statale il cui titolo permetta di inserirsi in graduatorie valide per le supplenze e per l'immissione in ruolo.

La formazione dovrebbe poi nel corso del tempo continuare in servizio visto il continuo mutamento delle generazioni e la necessità di adottare strategie didattiche efficaci e personalizzate.

Infine, sarebbe opportuno che si considerasse l'importanza di svolgere tale lavoro in serenità, prevedendo, laddove ve ne sia la necessità, il distacco dall'attività in classe a contatto con gli studenti per svolgere tutoraggio o altre mansioni che attualmente gravano sulle spalle dei docenti volontari (pochi) sempre presenti e spesso esauriti e stressati.


sabato 11 giugno 2022

Da numero a fantasma: il dramma della dispersione scolastica

 Fantasmi, è vero. O, più semplicemente, come si diceva una volta, numeri. Sorprende che nella scuola, soprattutto in certi indirizzi di scuole, non ci si renda conto del dramma che noi tutti, e in primo luogo i più giovani (mi riferisco ai bambini e, soprattutto, agli adolescenti) abbiamo vissuto negli ultimi due anni. La scuola è diventata così lo specchio di un fallimento educativo che già era presente prima della diffusione della pandemia e che con la pandemia ha mostrato tutte le sue criticità: una scuola a volte esageratamente selettiva che non è stata capace di far emergere le potenzialità di ciascuno degli studenti che gli erano stati affidati e, d'altra parte, una scuola fin troppo lassista, ugualmente incapace di trasmettere passione, conoscenza, entusiasmo per la vita e per il sapere. Una scuola con docenti spesso disillusi o trasformati in meri burocrati, impegnati a compilare moduli e a formulare discorsi in cui non ci si crede. Una scuola che a volte, tuttavia, resiste, e lo fa con chi, maestro, insegnante, genitore, dirigente, operatore o collaboratore a qualunque titolo nella scuola, continua a credere che gli studenti abbiano il diritto di avere almeno un maestro, un insegnante che segnerà il percorso della loro vita per sempre, che trasmetterà loro la passione per la conoscenza, per il sapere, per la vita, e che sarà capace di mostrare a ciascuno il proprio talento. Ci sono questi docenti, ci sono queste scuole ed è nel loro entusiasmo e nella loro passione che bisogna riporre le speranze, nonostante tutto.

giovedì 17 marzo 2022

Docente psicologo?

 Sinceramente, ritengo che i due ruoli, quello del docente e quello dello psicologo, debbano essere assolutamente distinti poiché distinte ne sono le funzioni. Indubbiamente un insegnante deve sapere ascoltare uno studente, ne deve comprendere le difficoltà nell'approccio allo studio ma non deve trasformarsi nello psicologo che lo aiuta a guardarsi in sé stesso e a relazionarsi con sé stesso, con gli altri, con la realtà che lo circonda. Il compito del docente è quello di trasmettere l'amore per lo studio e per le discipline insegnate, stimolare la curiosità e il dubbio ma non trasformarsi in uno psicologo o in un confessore, rischiando di fallire in entrambi i ruoli, quello del docente e quello, appunto, dello psicologo.

venerdì 6 novembre 2020

La scuola non si ferma


 La scuola non si ferma. Non si è mai fermata, da quando, tra fine febbraio e l'inizio di marzo, i docenti, magari ultracinquantenni, hanno reimparato il loro mestiere, sperimentando modalità di insegnamento cui mai avrebbero pensato di approdare. Improvvisamente G-Suite, Classroom, Drive, Moduli, Meet, sono diventati familiari anche a coloro che, in precedenza, non sapevano nemmeno da dove si accendesse un computer.

La scuola non si ferma, non si è mai fermata, checché ne pensassero coloro che hanno accusato la classe docente di aver usufruito di un lunghissimo periodo di vacanza a partire dal marzo scorso. C'è chi, tra gli insegnanti, bisogna ammetterlo, ha davvero goduto di un lungo periodo di vacanza: lo sanno i loro studenti, le famiglie, ma anche i colleghi e i dirigenti. Ma è ingiusto pensare che sia stato per tutti, per molti, così. La scuola non ha chiuso e non chiuderà. Per questo, adesso, andare a scuola, per i docenti, per continuare a far lezione in un'aula vuota, è dare un segnale: quello di chi esercita un mestiere essenziale, che si pone al servizio delle menti più giovani al fine di farle crescere, seppur in una condizione di difficoltà. Una sfida che, da sempre, i docenti sono disposti ad accettare.

venerdì 11 ottobre 2019

Libertà


“La vostra libertà è di scegliere entro i limiti delle poche possibilità che vi danno, cioè di ballare un twist o un madison, ma non di ballare o pensare; non di ballare o regnare e essere padroni del vostro voto, del vostro pensiero; non di ballare oppure vincere discussioni; non di ballare o convincere le persone con cui parlate.
Purtroppo la mia previsione è che sarete pecore, che vi piegherete completamente alle usanze, che vi vestirete come vuole la moda, che passerete il tempo come vuole la moda. Ma mi dite che soddisfazione ci trovate ad accettare una situazione simile? Ribellatevi! Ne avete l'età. Studiate, pensate, chiedete consiglio a me, inventate qualcosa per sortire da questa situazione in cui siete e poter arrivare al punto di fare realmente, con una libera scelta vostra, le cose che vi par giusto fare. Per me sarebbe una umiliazione tremenda se uno mi domandasse: <<Cosa stai facendo? Perché lo stai facendo?>> e dovessi restare a bocca aperta senza rispondere. E educo i miei ragazzi così, a saper dire in qualunque momento della loro vita, cosa fanno e perché lo fanno.”
(Citazione tratta da: Don Lorenzo Milani: "Una lezione alla scuola di Barbiana", a cura di Michele Gesualdi, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 2004, pagg. 30 - 31; Lezione ad un gruppo di ragazze della scuola media di Borgo S. Lorenzo salite a Barbiana nel Carnevale 1965)

domenica 20 gennaio 2019

Esame di Stato 2019

Le novità comunicate dal MIUR a proposito dell'Esame di Stato conclusivo del percorso della scuola secondaria di secondo grado non dovrebbero preoccupare coloro che, già dal 2012, sulla base delle Linee Guida emanate a seguito della Riforma del 2010, hanno cominciato a elaborare ed applicare una didattica delle competenze che privilegiasse un apprendimento attivo e agito da parte dello studente. In fondo, le indicazioni che il MIUR sta continuando a fornire ai docenti e agli studenti dall'inizio dell'anno scolastico in corso si attendevano già dallo scorso anno e sono in linea con quanto indicato negli anni precedenti rispetto a una modalità di insegnamento - apprendimento basato su UDA (Unità di Apprendimento) che coinvolgano discipline diverse, prevedendo attività di team working (lavoro di gruppo) e modalità di valutazione dell'apprendimento stesso che integrino la lezione frontale e la tradizionale interrogazione alla cattedra. Naturalmente, come tutti i cambiamenti, anche questo genera ansia in chi, tra qualche mese, dovrà affrontare l'Esame di Stato, non solo gli studenti (ed eventualmente le loro famiglie), ma anche i docenti.  
Tuttavia, proprio perché si tratta, per gli studenti, di un passaggio significativo verso le responsabilità della vita adulta e per i docenti e i dirigenti scolastici di accompagnare i più giovani in tale processo, può essere opportuno, piuttosto che opporsi aprioristicamente al cambiamento, accertarlo e mettersi nelle condizioni di affrontarlo consapevolmente, sfruttando al meglio le proprie potenzialità.

domenica 9 dicembre 2018

Noi e il '68

In principio era il sogno di una quasi sessantenne, insegnante, che fin da bambina ha imparato a sognare e a credere nella forza dei suoi sogni. 
Poi,  dopo averlo condiviso con studenti, colleghi, con il Dirigente Scolastico del suo Istituto, quel sogno è diventato un progetto da realizzare consentendo di sviluppare abilità e competenze trattando un argomento, il Sessantotto, che, compreso nei manuali di storia, spesso non viene nemmeno affrontato.
Ricorrendo anche a una delle tecniche (I laboratori di ricerca) della "Didattica delle emozioni" (il format elaborato da Ulisse Mariani e Rosanna Schiralli), il progetto si propone, attraverso l’organizzazione di un evento da presentare anche all'esterno dell’Istituto, coinvolgendo il territorio, di offrire la possibilità di ripensare e riflettere su un anno, il 1968, che ha cambiato la politica, il costume, la cultura, i comportamenti delle persone: praticamente tutto. 
L'evento "Noi e il '68" è un viaggio virtuale da vivere da chi c'era e, soprattutto, da chi non c'era,  nel tentativo di restituire alle giovani generazioni la bellezza della passione, dell'immaginazione e del sogno.





giovedì 6 dicembre 2018

Il coraggio di cambiare

Di fronte alla prospettiva di dover cambiare, spesso capita di irrigidirsi. La resistenza al cambiamento, in fondo, altro non è che la paura del nuovo, dell'ignoto che la novità porta con sé, il timore di non essere in grado di affrontare nuove scelte di vita, nuove sfide, nuove condizioni, nuove situazioni.
Investe vari campi, la resistenza al cambiamento: cambiare città, casa, amori, indirizzo di studi, locali frequentati, luoghi di vacanza, metodi di studio. 
O di insegnamento. Di fronte a una proposta didattica innovativa, capita spesso di trovarsi di fronte colleghi, genitori, studenti che si irrigidiscono, temono che non possa funzionare, che andrà necessariamente male. E non importa se il metodo di insegnamento utilizzato fino ad allora sia poco efficace: quel metodo è comunque garantito dall'esperienza, dall'esser stato sempre usato.
Eppure sarebbe interessante mettere a confronto tecniche didattiche differenti, introducendo modalità di insegnamento/apprendimento che stimolino la curiosità, l'interesse, la partecipazione, all'interno di una scuola che in certe occasioni appare sempre uguale a sé stessa, poco stimolate, noiosa, piatta, arida. 
Ben vengano allora docenti innovatori che riescano, salvaguardando la qualità della loro azione didattica, a proporre progetti coinvolgenti e interessanti che richiedono indubbiamente il coraggio di cambiare ma possono indurre quella riforma della scuola che, per quanto più volte evocata, non può essere imposta dall'alto ma solo partire dal basso grazie alla condivisione e all'operatività di chi crede davvero nell'istituzione scolastica.

domenica 11 novembre 2018

Sogni cancellati



Ci sono state alcune generazioni di giovani, quelli del '68 o degli anni successivi, che chiedevano per sé "l'impossibile", che difendevano "l'immaginazione al potere", che rovesciarono un sistema in nome di una libertà che esigevano per sé stessi, attaccando tutti i modelli sociali e familiari tradizionali.

In nome di quella libertà, molti, come l'aria, andavano, venivano, amavano, odiavano, mettevano al mondo figli di cui ugualmente rispettavano la libertà, tentando di evitare che provassero frustrazioni, dispiaceri e brutture della vita quotidiana.
Quei figli, cresciuti come Narciso, secondo la definizione di Gustavo Pietropolli Charmet (in "Fragile e spavaldo - Ritratto dell'adolescente di oggi", Editori Laterza, Roma - Bari, 2008) si ritrovavano poi adolescenti, ovvero in un'età per definizione critica e complessa, sprovveduti e dunque fragili in una realtà che non si sentivano, e non si sentono, in grado di affrontare, spaventati e impauriti, dato che nessuno aveva fornito loro gli strumenti adeguati per affrontarla.
Così, i docenti di Lettere delle scuole superiori, se una ventina di anni fa, assegnando come prova di produzione testuale un racconto d'invenzione, si ritrovavano a leggere storie simpatiche, piene di curiosità e di gusto per la vita, con solo qualche eccezione in cui la vicenda narrata si concludeva drammaticamente, attualmente, assegnando lo stesso tipo di prova, si ritrovano a leggere nella stragrande maggioranza dei casi, storie con un finale tragico in cui il/la protagonista, solitamente in età adolescenziale, soccombe suicidandosi, vittima di bullismo e cyberbullismo.

Quasi ci si trova a pensare che molti di quei giovani che volevano l'impossibile e che sognavano per  sé un futuro radioso, quello stesso futuro  lo hanno rubato ai loro figli, cancellando sogni, curiosità e fiducia nell'avvenire.

sabato 27 ottobre 2018

"Libertà è partecipazione"

"La libertà non è star sopra un albero [...] libertà è partecipazione" cantava Giorgio Gaber nei primi anni Settanta.
Cosa significa "libertà è partecipazione"? Significa "essere nel gioco della vita", significa "mettersi in gioco" (citando testualmente le parole di due adolescenti cui è stato chiesto di spiegare il significato della frase).
Ma quanti, davvero, hanno voglia di farlo? Quanti hanno voglia di prendersi le responsabilità che il quotidiano vivere richiede, non solo tra i più giovani, ma anche, e soprattutto, tra gli adulti? 
E' tanto facile lasciarsi guidare, delegare, per poi attribuire le colpe di ciò che va male agli altri, alla società, questo insieme di individui non meglio identificati in cui ci si rifugia, come nel branco.
Ma la società è fatta da ognuno di noi. E se ciascuno di noi, come sostengono i due adolescenti precedentemente citati, si prendesse la responsabilità di mettersi in gioco, di essere nel gioco della vita, senza nascondersi dietro le scelte altrui, forse la società sarebbe migliore.

"Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come un uomo che ha bisogno
Di spaziare con la propria fantasia
E che trova questo spazio
Solamente nella sua democrazia.
Che ha il diritto di votare
E che passa la sua vita a delegare
E nel farsi comandare
Ha trovato la sua nuova libertà."
(Giorgio Gaber: "La libertà")



lunedì 1 ottobre 2018

La bacchetta rossa


Ne era stata subito colpita. Ed ancora adesso la ricordava, sebbene si trattasse di un ricordo sbiadito dal tempo.
Era una bacchetta rossa, appoggiata sulla cattedra della maestra. La intimorì vederla lì, il primo giorno di scuola, in prima elementare (era il primo ottobre del 1967), ed ancor di più la intimorì vederla usare qualche volta sulle dita di qualche compagno di classe un po' indisciplinato.
Poi, non capì bene perché, improvvisamente la bacchetta rossa sparì. 
Sarà stata primavera inoltrata, più o meno, sempre nel corso di quel suo primo anno scolastico.
Solo alcuni anni dopo comprese il motivo per cui la maestra non aveva più sulla cattedra la bacchetta rossa: era "successo il '68"."

(Rielaborazione di un vecchio post, precedentemente pubblicato il 10 gennaio 2008)

mercoledì 12 settembre 2018

"La scuola è sacra"

"Sta scherzando?!?!?!?!" mi sono sentita dire da uno studente di quarta quando, per avviare la mia lezione di pianificazione e condivisione del nuovo anno scolastico, ho scritto sulla lavagna, occupandola pienamente, questa frase, usando le lettere maiuscole e chiedendo agli studenti di riportarla sul loro quaderno degli appunti.
Non stavo scherzando, non sto scherzando. La scuola è sacra. Non lo dico io, lo ha detto, tra gli altri, anche don Lorenzo Milani quando affermava:
"La scuola è quel luogo dove si insegnano cose utili, quelle cose che il mondo non insegna, sennò non va bene". (Don Lorenzo Milani: "Una lezione alla scuola di Barbiana", Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 2004, pag.11).
E' un luogo sacro, la scuola, perché è l'Istituzione nella quale si trasmette il sapere, quel sapere che non è mera conoscenza, si badi bene, ma è anche pratica ed esercizio di abilità e competenze.
A scuola si imparano i saperi, si esercitano i saperi, si cambia mentalità ed atteggiamento grazie all'interiorizzazione dei saperi.
Questo significa affermare che "la scuola è sacra".
E' così. Dovrebbe essere così.
Dovrebbe. Non è sempre così.
C'è chi, studenti, genitori, docenti stessi, a volte anche dirigenti, considera la scuola un parcheggio, un circolo ricreativo, un centro sociale, un ufficio postale, un luogo dove incontrare persone su cui scaricare la propria aggressività, la propria frustrazione, la propria miseria intellettuale, la propria insofferenza, il proprio disagio interiore.
La scuola è diventata sempre più un luogo sentito inutile, superato, incerottato, inadeguato.
Non più istituzione verso cui è dovuto rispetto, da parte di tutti, anche di chi a scuola non va più da un pezzo e non ha figli in età scolare.
Un Paese che non investe in Sapere, che non investe sulla Scuola, è destinato a fallire.
E' quanto sta accadendo al nostro misero e disgraziato Paese, in cui sembra si sia perso il senso del rispetto, del decoro, dell'apprezzamento verso chi assume nei confronti di fatti e persone un atteggiamento critico, tipico di chi ha imparato a non emettere giudizi senza conoscere ciò di cui sta parlando, di chi ha imparato a verificare, confrontare, ricercare personalmente, avendone gli strumenti, altre verità, consapevole che non esista un'unica verità, un'unica soluzione, un'unica posizione valida per tutti.
L'omologazione non è un valore fine a se stesso. Il denaro non è un valore fine a se stesso. Ma in quanti, ancora, se ne ricordano?

(Già pubblicato il 18 settembre 2011 su altra piattaforma)

sabato 1 settembre 2018

Buon anno!

Per chi lavora nella scuola, il vero Capodanno cade il 1° settembre: ci si incontra ed è un continuo augurarsi "Buon anno!" come tutte le altre persone usano fare il 1° gennaio e nei giorni immediatamente successivi. Viviamo scandendo il tempo usando gli anni scolastici e non gli anni solari. Rievochiamo eventi dicendo: "Mi ricordo, è accaduto nell'anno scolastico 1995/96, era giugno (o gennaio, forse) sicuramente era il periodo degli scrutini...".
Chi non lavora nella scuola ignora anche che per molti di noi insegnanti non esiste un vero periodo di vacanza. Non stacchiamo mai: terminato l'orario di lavoro (che non sono, e tengo a sottolinearlo, le sole 18 ore settimanali di lezione e le ore collegiali, caratterizzate da riunioni varie) torniamo a casa e non solo prepariamo le lezioni o correggiamo i compiti degli studenti, ma continuiamo a pensare a come potremmo catturare la loro curiosità proponendo un argomento piuttosto che un altro, la visione di un film, di un documentario o una visita in una particolare località. Durante le vacanze estive (che non durano, e sfatiamo un altro mito, tre mesi!), se ci capita di visitare un museo, un castello, una città, pensiamo subito "Questo potrei proporlo ai miei studenti di quinta (o di quarta, etc.)".
Il nostro mestiere ci prende a tal punto che tutta la nostra vita ne è completamente caratterizzata.
Certo, non per tutti gli insegnanti è così, ma per molti dei colleghi che ho avuto la fortuna di incontrare è proprio così.
Buon 2018/2019!

martedì 24 luglio 2018

"Tutta colpa dei genitori"

Pubblicato da Mondadori nell'ottobre 2010, "Tutta colpa dei genitori" è il terzo libro scritto dall'ottima collega Antonella Landi, conosciuta nel periodo in cui insegnò nella bergamasca.
E' possibile ascoltare la presentazione del testo, sempre attualissimo, cliccando il link indicato. Particolarmente interessante la lettura dei brani dedicati allo studente insolente (pagine 130 - 132 del testo).




domenica 22 luglio 2018

L'ultimo baluardo


Sempre più spesso, psicologi e pedagogisti invitano la scuola a resistere come ultimo baluardo contro una società sempre più sfaccettata che si nutre di false illusioni, di arroganza, di ignoranza, di certezze assolute mirate a raccogliere il consenso di chi, sempre meno, è abituato a pensare.
E la scuola degli insegnanti che nella scuola credono davvero cerca di resistere, nonostante tutto, incoraggiando gli studenti a discutere, a pensare, ad ascoltare, a non dar mai nulla per scontato, a non credere a tutto ciò che viene detto prima di averlo analizzato, confrontato, approfondito.
Tocca alla scuola il compito di resistere, nonostante tutto, anche valorizzando attraverso una didattica delle emozioni, l'attività in classe.
Contro l'analfabetismo emotivo, Ulisse Mariani e Rosanna Schiralli con il format Didattica delle emozioni propongono per la scuola una serie di obiettivi:
una scuola che, prima di insegnare, educhi
- prima di informare, formi
  - che, prima di integrare, interagisca
 - che, prima di diventare tecnologica, si apra alla modernità 
 - che, prima di accogliere e rispettare, si faccia rispettare
 - che, prima di cadere nella trappola del buonismo, sappia mettere regole, limiti e confini       
 - che, prima di trasformarsi in un contenitore sterile, sia luogo di studio, impegno e passioni 
 - che, prima di essere derubata di ogni risorsa, sia spazio sacro e da proteggere
 - che, prima di invitarli a ripetere la lezione, aiuti i giovani a narrarsi
 - che, ancora prima delle lettere e dei numeri, recuperi codici di linguaggio emozionale.

Soltanto così, unendo il passato al futuro, la scuola può dare senso e avere senso.

(Citazioni tratte dal testo di Ulisse Mariani e Rosanna Schiralli: Intelligenza emotiva a scuola - Percorso formativo per l'intervento con gli alunni, Erickson, Trento, 2012, pagine 129 - 130)


Contro l’analfabetismo emotivo:
la che, prima di insegnare, educhi

 prima di informare, formi

che, prima di integrare, interagisca


che, prima di diventare tecnologica, si apra alla modernità



domenica 15 luglio 2018

Condizione e cultura giovanile nella società e nella scuola: riflessioni e considerazioni.

Il relativismo imperante della società italiana contemporanea e l’omologazione massmediatica dei modelli di riferimento rendono sempre più difficoltoso il compito educativo.
Adulti e giovani si trovano, inoltre, spesso sommersi da una valanga di informazioni che travolgono e quasi sempre sovrastano quelle che tradizionalmente vengono trasmesse nelle aule scolastiche.

Accade così che i nostri adolescenti, con cui quotidianamente, come docenti, entriamo in contatto, appaiano lontani, apatici, annoiati di fronte a una “cultura dei libri” che non riconoscono come propria, distante anni-luce da quella che considerano la loro cultura.

La scuola viene spesso vissuta dagli adolescenti con disagio, quel disagio che nasce dalla difficoltà di capire il senso, il valore dei contenuti proposti, in un contesto sociale che dà importanza solo all’apparenza e al denaro. In un’età difficile qual è quella che va dai 13 ai 18 anni, molti finiscono per perdersi, per omologarsi al modello dello studente che non studia ma trascorre le ore scolastiche aspettando l’intervallo o scrivendo sul diario pensieri o slogan che esprimano il proprio mondo interiore, più o meno complesso.

Nelle classi dell’Istituto Professionale (ma succede anche negli altri indirizzi di studio della scuola secondaria superiore) presso cui attualmente insegno Italiano e Storia, capita spesso di trovarsi di fronte alunni così, che ritengono inutile lo studio di alcune materie perché “Il tornio gira anche senza Dante”, come ha esclamato qualche mese fa un mio studente.

La sfida allora, cui i docenti sono chiamati, è quella di aiutare i nostri ragazzi a comprendere che il ruolo della scuola non è quello informativo (in cui al momento risulterebbe perdente, visto il bombardamento di informazioni, per lo più non mediate, cui i nostri giovani sono sottoposti), ma formativo.

La scuola deve offrire a tutti la possibilità di formarsi innanzi tutto come esseri umani, uomini e donne che vivono, amano, pensano con la propria testa,  cittadini responsabili e non solo e unicamente lavoratori.

La scuola, attraverso l’attività dei docenti, può e deve fornire modelli alternativi a quelli imperanti, trasmettendo il gusto per le emozioni vere (e non quelle ad esempio, mediate dall’uso di sostanze stupefacenti, sempre più diffuse, ahimè, tra le nostre giovani generazioni); insegnando a guardarsi dentro e a capire chi si è e ciò che si vuole veramente, senza farsi trascinare per noia o debolezza dalle cosiddette “cattive compagnie”.

In fondo, poi, chi sarebbero le “cattive compagnie”? Dovremmo chiedercelo, noi adulti, e spiegarlo anche ai nostri ragazzi: le “cattive compagnie” sono date dall’unione di chi si è perso, facendosi schiacciare e travolgere da modelli falsi, dai falsi valori imperanti, seguendo la logica del “tutto e subito” o del “perché no?” che ci circonda.

Così, se lo scopo è apparire, “avere”, piuttosto che “essere”, nulla più ha senso, nulla più è sacro. Ugualmente, chi ha ancora speranze, sogni, progetti, teme di essere un alieno, un “non adatto”.

Questo non si riferisce a tutti, naturalmente. Ci sono giovani, ragazzi e ragazze, che si dedicano ad attività di volontariato di diverso tipo, attività di cui vanno fieri, o che sono solidali con i loro compagni aiutandoli a fare i compiti o coinvolgendoli nei loro hobby.



I nostri ragazzi hanno bisogno di credere. Hanno bisogno di una società adulta che dia loro delle regole certe. Che dia loro una speranza per un futuro che sembra già perduto.

“Ai suoi tempi era diverso, era tutto più certo” mi è stato detto dai miei studenti di quarta, nel momento in cui li invitavo a studiare per sé stessi, per il gusto di imparare e, magari, anche per realizzare i propri progetti, i propri sogni.

C’è, nella maggior parte dei nostri ragazzi, tanto scetticismo, tanta rassegnazione, una sorta di disillusione diffusa, spesso maschera di una voglia di credere nonostante la mancanza di punti di riferimento solidi e precisi della società contemporanea.

Per questo oggi educare è così difficile. I nostri ragazzi hanno bisogno di modelli coerenti che siano loro di esempio. Non possiamo trasmettere loro messaggi ambigui, ambivalenti. Non possiamo pretendere che credano in ciò in cui noi non crediamo.

“Uno potrà essere laico fin che vuole, ma se nulla è sacro, se tutto è manipolabile, comprabile, vendibile, allora la vita nostra è molto precaria e non vale molto.”

Il docente deve trasmettere ideali, valori, insegnando ad accettare sé stessi e i propri limiti, in un impegno costante che porti alla valorizzazione di ciascuno degli studenti di cui si occupa.

Ciò significa ascoltare gli studenti, le loro ansie, le loro difficoltà; insegnare ad esprimere emozioni e a non vergognarsene; concretamente può anche significare, come mi è capitato qualche mese fa in una classe quarta, passare due ore a discutere sulle aspettative reciproche e ritrovarsi poi più solidali, uniti in un obiettivo comune che non è solo quello disciplinare, ma è soprattutto quello formativo. 

Ascoltare, dunque. In una società che va di corsa e non è disposta a fermarsi ad ascoltare, i nostri ragazzi devono trovare nella scuola gli spazi per essere ascoltati (esigenza che il legislatore ha accolto con  la legge 309/1990 e l’istituzione dei CIC, centri di informazione e consulenza, volta a prevenire il fenomeno delle tossicodipendenze) e ascoltare, scoprendo il gusto di essere,  di sapere, di comunicare, arrivando ad apprezzare “quei beni di verità e umanità […] che possano aprire orizzonti e alimentare a lungo la vita, al di là dell’effimero”. " 

lunedì 9 luglio 2018

Oltre l'apparenza e il pregiudizio

Quotidianamente, a volte senza rendersene conto, accade di avere dell'altro, qualunque età abbia, a qualunque genere appartenga, un'idea fondata su un pregiudizio o che anche solo si limita a basarsi su un pregiudizio.
Gli stereotipi della "Bella uguale stupida" (che, negli ultimi decenni ha coinvolto anche gli uomini "Belli uguale stupidi"), o quello del milanese lavoratore indefesso e del romano fannullone nonché tutti gli altri giudizi stereotipati o che si limitano a fermarsi alle apparenze senza indagare oltre, caratterizzano buona parte delle credenze del genere umano.
Fermarsi all'apparenza o limitarsi ad accettare gli stereotipi e le categorie definite facilita la definizione di quanto e di chi ci sta intorno ma non ci aiuta a conoscere il mondo, non ci aiuta a conoscere gli altri e, forse, nemmeno noi stessi.
Andare oltre l'apparenza dovrebbe essere l'obiettivo di ciascuno di noi per conoscere ed apprezzare tutti coloro che ci stanno intorno, al di là delle false opinioni e certezze di cui, alcuni, continuano a nutrirsi.
La famiglia e soprattutto la scuola possono fare molto. 
E sarebbe un traguardo riuscire a far sì che, nel giro di pochi anni, non ci si trovi ancora di fronte a tabelle di raccolta di idee che degli uomini e delle donne riportino certe definizioni.


STEREOTIPI E PREGIUDIZI DI GENERE
IN UNA PAROLA


DEFINIZIONI DATE DA UOMINI 
DEFINIZIONI DATE DA DONNE
UOMINI
DONNE
UOMINI
DONNE
EGOISTI
RISOLUTE
STUPIDI
COMPLESSE
ONESTI
LUNATICHE
INCOMPRENSIBILI
PARANOICHE
NOBILTA’ D’ANIMO
BELLEZZA
EGOISTI (2)
SENSIBILI (4)
VERI AMICI
SENSUALE
IMMATURI
DETERMINATE (2)

17, 20, 24, 69, tombola!

Sinceramente, ne ho abbastanza di chi continua a lamentarsi di essere passato di ruolo dopo 10, 15, 20 anni di precariato: era (ed è) il meccanismo delle supplenze e di immissione in ruolo che ha reso (e rende) una prassi tutto ciò. Si consideri che tra gli anni '80 e la fine degli anni '90 i concorsi sono rimasti bloccati per anni. Contemporaneamente si permetteva di inserirsi nelle graduatorie di supplenza, accettando, in certi casi, come unico titolo quello di studio, che non necessariamente attestava la preparazione per una professione tanto importante e delicata quale è quella dell'insegnante.
Quando io, nel 2005, sono entrata in ruolo, dopo 17 anni di precariato, c'erano con me colleghi che avevo frequentato per decenni, invecchiando con loro, incontrandoli annualmente in occasione delle nomine annuali di supplenza. 
Lo scorso anno, in occasione della discussione in Comitato di Valutazione, la maggior parte dei colleghi che terminavano il loro periodo di prova per l'immissione in ruolo, aveva alle spalle un periodo di precariato oscillante tra gli 11 e i 18 anni.
Negli ultimi anni, anche per l'intervento della Commissione di Giustizia europea, a seguito di continui ricorsi, il periodo di precariato si è notevolmente accorciato. La verità è che non si sarebbe dovuto, decenni fa, mettere in atto un meccanismo tanto perverso e umiliante per tutti coloro che nella scuola lavorano o che della scuola fanno parte.
Il problema vero è che, tuttavia, attualmente sento lamentarsi persone che alle spalle hanno un periodo brevissimo di precariato e che ambirebbero ad entrare nei ruoli di docente della scuola pubblica non per passione ed amore per questo mestiere ma per garantirsi il posto fisso, magari nello stesso luogo in cui sono nati. Non è un segreto per nessuno che le maggiori opportunità di esercitare questo mestiere sono al Nord e non è un caso che molti, me compresa, subito dopo la laurea si sono inseriti nelle graduatorie di supplenza delle province del settentrione.  Ecco, io costoro, se potessi, li inviterei a provare altri mestieri: con la scuola e con gli studenti non si scherza: non sono pacchi e non sono timbri o pratiche di cui occuparsi come in un ufficio.

domenica 8 luglio 2018

Quelli del professionale

Quante volte è capitato di dover assistere all'autodenigrazione da parte degli studenti degli istituti professionali!
 
"Profe, non siamo al liceo, noi siamo del professionale!"
"Profe, è inutile, perde tempo, queste cose non le capiremo mai!"
"Profe, non siamo capaci, non riusciamo, profe, lasciamo perdere!!!"
Spesso, l'atteggiamento autodenigratorio è dettato dalla paura di imbattersi in un insuccesso, l'ennesimo della loro storia scolastica, fatta di frasi ascoltate da docenti o presunti tali che li hanno feriti, offesi con quelle che sarebbero dovute essere battute divertenti quali "Non capisci proprio niente!" oppure "Lo sapevo che non avresti capito nulla, la scuola non è proprio per te!".
A volte, invece, l'autodenigrazione è il tentativo di non impegnarsi, di bighellonare piuttosto che approfittare dell'opportunità di imparare che la scuola italiana, seppur malandata, può offrire.
In fondo, che gli studenti giochino al ribasso ci può anche stare.
Ciò che trovo inammissibile e assolutamente censurabile è invece l'atteggiamento di quegli insegnanti, di diverso ordine e grado, che di fronte alle difficoltà degli alunni degli istituti professionali esclamano: "Ma è chiaro che abbiamo difficoltà, sono i peggiori provenienti dalle elementari e dalle medie!"
Spiegatemi una cosa, cari colleghi che così vi esprimete. Peggiori si nasce o si diventa?
Troppo comodo insegnare a chi ha buone capacità e ottima volontà. Ma la sfida, come ci ha insegnato Don Milani, è insegnare a Gianni, non a Pierino del dottore.
"Se si perde loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. É un ospedale che cura i sani e respinge i malati." (Scuola di Barbiana: "Lettera a una professoressa", Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, I edizione 1967, pg. 20)
(Rielaborazione di un vecchio post pubblicato sulla piattaforma Splinder il ‎3 ‎ottobre ‎2008 e postato su Sala Docenti il 27 ottobre 2012)