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domenica 24 aprile 2022

Amori difficili

 

"Forse passerà [...] una mattina, a salutare. Solo a salutare, niente di importante. Non servirebbe a niente comunque, perché lei lo sa benissimo, lo sa bene quanto lui che è l'amore, imperfetto e disordinato, a tenerli separati, proprio mentre in qualche modo li unisce [...]."

La citazione, tratta dal romanzo "Gente senza storia" di Judith Guest (Traduzione di Masolino d'Amico, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1977, pg. 277; da questo romanzo è stato tratto il film di Robert Redford  "Gente comune" del 1980), si riferisce alle difficoltà relazionali tra una madre e un figlio coinvolti in una tragedia familiare, ovvero la morte del figlio primogenito, amatissimo dalla madre e modello di riferimento per il fratello. Evidenzia la necessità, in alcuni casi, di rimanere lontani, anche se ci si vuole bene, perché restando vicini si soffrirebbe troppo.


E' una situazione che può riguardare non solo le relazioni tra madri e figli, ma tutte le tipologie di relazione, comprese quelle amicali.

L'amore verso gli altri non è sempre lineare, chiaro, perfetto.

A volte è complicato, doloroso, difficile. Al punto da richiedere una separazione, per evitare di continuare a farsi del male.

sabato 28 dicembre 2019

Il pianto di Rachele e la strage degli innocenti: le responsabilità degli adulti

Muoiono. Cadono sulle strade, impregnate del loro sangue, spesso nei fine settimana, all'alba di una domenica mattina, al termine di una notte da sballo, fatta non più solo di luci stroboscopiche e musica ad altissimo volume ma spesso di pasticche a basso costo e di facile consumo e fiumi di alcol, e corse in automobile e rincorse alla ricerca di un senso di questa vita, di questa storia "anche se questa storia un senso non ce l'ha" come canta Vasco.
Spesso hanno tra i 15 e i 25 anni. Giovani, giovanissimi, che a volte non hanno nemmeno fatto in tempo a diventare anagraficamente adulti.
E noi, adulti attoniti, versiamo lacrime e imprechiamo contro un destino crudele e una società violenta, sbagliata, ingiusta.
Così, spesso, dimentichiamo, noi adulti, che la società è l'insieme di noi tutti.
Noi tutti che abbiamo accettato di rendere facile ciò che un tempo era proibito (anche se lo si faceva ugualmente), che abbiamo disimparato a dire "No", nell'illusione di rendere la vita più facile, senza complicazioni, senza traumi, senza difficoltà.
E invece il bello della vita sta proprio nello sfidarla, nel superare gli ostacoli, nell'affrontare le difficoltà e vincerle. 
Sembra che l'abbiamo dimenticato, noi adulti. Così, ai più giovani, non resta che cercare la sfida: nell'auto lanciata a gran velocità, nella nebbia di un cervello impasticcato, nella giostra di incontri sessuali consumati come un drink. Incapaci di emozioni, perché le emozioni vanno apprese e vanno insegnate, anche se fanno paura, anche se fanno male, anche se rendono fragili ed insicuri, come fragile ed insicura è l'umanità tutta.
Riappropriamoci delle emozioni. Riappropriamoci del pianto, non quello della sofferenza e del dolore di Rachele che piange per le vittime di una cultura falsa e illusoria, ma del pianto di gioia, quello di Filumena Marturano che scopre per la prima volta la forza e la bellezza dell'amore.

domenica 24 novembre 2019

C'è ancora tanto da fare

La cultura alla quale apparteniamo - come ogni altra cultura - si serve di tutti i mezzi a sua disposizione per ottenere dagli individui dei due sessi il comportamento più adeguato ai valori che le preme conservare e trasmettere: fra questi anche il 'mito' della "naturale" superiorità maschile contrapposta alla "naturale" inferiorità femminile. In realtà non esistono qualità "maschili" e qualità "femminili", ma solo "qualità umane". L'operazione da compiere dunque "non è di formare le bambine a immagine e somiglianza dei maschi, ma di restituire a ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene". (Elena Gianini Belotti: «Dalla parte delle bambine» - Feltrinelli – 1973)



"[...] Abbiamo bisogno di forti voci e di salde immagini femminili
che confliggano con la tradizione patriarcale che forgia e intrappola donne e uomini in stereotipi che soffocano le relazioni, gli affetti, i sentimenti e le emozioni. Non abbiamo bisogno di passare alle giovani generazioni l'immaginario standard di donne fragili e uomini duri, o al massimo buoni perché protettivi (protettori?). Fragili lo siamo tutte e tutti, è la natura umana. Insieme, fragili e forti, volta per volta, alla ricerca di un equilibrio difficile, nel quale sono presenti momenti di incertezza, ma mai, mai e in nessun caso, dove la violenza sia prevista, tollerata, giustificata." (Monica Lanfranco: "Crescere uomini, Erickson, Trento, 2019, Pag. 34)

mercoledì 6 novembre 2019

Ciò che non si doveva dire (e che ancora si preferisce non dire)

A Taranto, come recita la mia carta d'identità, ci sono nata, per quanto vi abbia vissuto poco.

Non ho mai amato Taranto. Mai. Ho sempre respirato a fatica la sua aria infetta, pesante, che lasciava, lo ricordo bene, un tappeto di polvere nera sul balcone della casa di mia nonna, dove trascorrevo, a volte, le mie vacanze estive.
Erano gli anni '60 - '70.
Nel frattempo l'aria diventava sempre più irrespirabile. Un numero sempre maggiore di residenti (anche tra i miei parenti) si ammalava. Moriva.
Ma Taranto accettava. L'Italsider (come molti, fino a qualche tempo fa continuavano a chiamare quella che sarebbe diventata l'Ilva e attualmente Arcelor Mittal) dava lavoro ai tarantini della città e della provincia. Di fronte al lavoro si chiudeva un occhio. Anche due. 
In qualche caso si ricorreva all'amico sindacalista, al parroco, a chi poteva garantire un'assunzione. Il sistema clientelare si autoalimentava creando l'illusione del benessere. 
E non importava se un lavoro, quel lavoro, avrebbe potuto chiedere in cambio la propria salute, la propria vita.

Poi è accaduto qualcosa. La magistratura, finalmente, dopo cinquant'anni, ha sollevato il caso Ilva, e così si è cominciato a parlare di ciò che, almeno a Taranto, tutti sapevano ma nessuno aveva voglia parlarne.
Perché certe cose non si possono (e/o non si vogliono) dire.

domenica 9 dicembre 2018

Noi e il '68

In principio era il sogno di una quasi sessantenne, insegnante, che fin da bambina ha imparato a sognare e a credere nella forza dei suoi sogni. 
Poi,  dopo averlo condiviso con studenti, colleghi, con il Dirigente Scolastico del suo Istituto, quel sogno è diventato un progetto da realizzare consentendo di sviluppare abilità e competenze trattando un argomento, il Sessantotto, che, compreso nei manuali di storia, spesso non viene nemmeno affrontato.
Ricorrendo anche a una delle tecniche (I laboratori di ricerca) della "Didattica delle emozioni" (il format elaborato da Ulisse Mariani e Rosanna Schiralli), il progetto si propone, attraverso l’organizzazione di un evento da presentare anche all'esterno dell’Istituto, coinvolgendo il territorio, di offrire la possibilità di ripensare e riflettere su un anno, il 1968, che ha cambiato la politica, il costume, la cultura, i comportamenti delle persone: praticamente tutto. 
L'evento "Noi e il '68" è un viaggio virtuale da vivere da chi c'era e, soprattutto, da chi non c'era,  nel tentativo di restituire alle giovani generazioni la bellezza della passione, dell'immaginazione e del sogno.





domenica 25 novembre 2018

C'è ancora tanto da fare

Non sono solo le minacce, le urla, i pedinamenti, le botte, gli assassini. Le donne sono vittime di violenza ogni volta che sentono il peso di una cultura soffocante che le costringe a tacere, a mediare, ad accettare sopportando, quotidianamente, di essere quello che non sono.
Sono vittime di violenza quando nascondono i propri sentimenti più veri in nome di un modello femminile che le vuole pazienti, dolci, delicate, altruiste, pronte a sacrificare sempre sé stesse  e i propri desideri per favorire quelli dei figli, dei partner, dei genitori e di chiunque altro si aspetta da loro che sì, lo faranno, perché è sempre stato così.
Sono vittime di violenza quando si sentono schiacciare dal senso di colpa ogni volta che si concedono una serata con le amiche o un paio d'ore di libertà per pensare solo ed esclusivamente a sé stesse, financo quando, per motivi di lavoro, devono trattenersi più a lungo in ufficio mentre a nessun uomo salterebbe in mente di sentirsi in colpa per una partita a calcetto con gli amici o per essersi trattenuto in ufficio più a lungo per motivi di lavoro.
Dietro il femminicidio c'è il retaggio di una cultura dura a morire, di una cultura che non accetta che le donne siano considerate persone che possono dire NO, ribellarsi, andarsene, cambiare idea e che, soprattutto, pensino innanzi tutto a sé stesse, a volersi bene, ad essere egoiste, di quel sano egoismo cui ciascun individuo ha diritto.
Ecco perché non basta un segno rosso sul viso in segno di solidarietà ed attenzione. Ecco perché non bastano cortei, manifestazioni e giornate dedicate.
Ecco perché c'è ancora tanto da fare.

domenica 11 novembre 2018

Sogni cancellati



Ci sono state alcune generazioni di giovani, quelli del '68 o degli anni successivi, che chiedevano per sé "l'impossibile", che difendevano "l'immaginazione al potere", che rovesciarono un sistema in nome di una libertà che esigevano per sé stessi, attaccando tutti i modelli sociali e familiari tradizionali.

In nome di quella libertà, molti, come l'aria, andavano, venivano, amavano, odiavano, mettevano al mondo figli di cui ugualmente rispettavano la libertà, tentando di evitare che provassero frustrazioni, dispiaceri e brutture della vita quotidiana.
Quei figli, cresciuti come Narciso, secondo la definizione di Gustavo Pietropolli Charmet (in "Fragile e spavaldo - Ritratto dell'adolescente di oggi", Editori Laterza, Roma - Bari, 2008) si ritrovavano poi adolescenti, ovvero in un'età per definizione critica e complessa, sprovveduti e dunque fragili in una realtà che non si sentivano, e non si sentono, in grado di affrontare, spaventati e impauriti, dato che nessuno aveva fornito loro gli strumenti adeguati per affrontarla.
Così, i docenti di Lettere delle scuole superiori, se una ventina di anni fa, assegnando come prova di produzione testuale un racconto d'invenzione, si ritrovavano a leggere storie simpatiche, piene di curiosità e di gusto per la vita, con solo qualche eccezione in cui la vicenda narrata si concludeva drammaticamente, attualmente, assegnando lo stesso tipo di prova, si ritrovano a leggere nella stragrande maggioranza dei casi, storie con un finale tragico in cui il/la protagonista, solitamente in età adolescenziale, soccombe suicidandosi, vittima di bullismo e cyberbullismo.

Quasi ci si trova a pensare che molti di quei giovani che volevano l'impossibile e che sognavano per  sé un futuro radioso, quello stesso futuro  lo hanno rubato ai loro figli, cancellando sogni, curiosità e fiducia nell'avvenire.

mercoledì 31 ottobre 2018

Il vizio della memoria - "Io so"

"Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
[...]
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. [...]
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
[...]
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
(Tratto da "Corriere della Sera", 14 novembre 1974 -
"Cos'è questo golpe? Io so"
di Pier Paolo Pasolini)


lunedì 29 ottobre 2018

Obiettori di coscienza e piccole storie ignobili

A chi si ostina a tuonare contro la 194, sarebbe opportuno ricordare che l'aborto è sempre esistito. La 194 del 1978 è stata solo (e finalmente, nonostante le sue imperfezioni) la legge che lo ha regolamentato, nel tentativo di evitare che le donne delle classi più povere o le minorenni morissero di setticemia sotto i ferri da calza delle mammane. Noi che c'eravamo ce lo ricordiamo e vorremmo che tutti ricordassero che tanti obiettori di coscienza erano in precedenza proprio coloro che, clandestinamente e compensati con ricche parcelle, praticavano gli aborti clandestini.
Quegli stessi aborti clandestini evocati da Francesco Guccini nel 1976 con "Piccola storia ignobile".



"E così ti sei trovata come a un tavolo di marmo desiderando quasi di morire,
presa come un animale macellato stavi urlando, ma quasi l'urlo non sapeva uscire
e così ti sei trovata fra paure e fra rimorsi davvero sola fra le mani altrui,
che pensavi nel sentire nella carne tua quei morsi
di tuo padre, di tua madre e anche di lui,
di tuo padre, di tua madre e anche di lui,
di tuo padre, di tua madre e anche di lui.

Ma che piccola storia ignobile sei venuta a raccontarmi, non vedo proprio cosa posso fare.
Dirti qualche frase usata per provare a consolarti o dirti: "è fatta ormai, non ci pensare".
E' una cosa che non serve a una canzone di successo e non vale due colonne su un giornale,
se tu te la sei voluta cosa vuoi mai farci adesso
e i politici han ben altro a cui pensare
e i politici han ben altro a cui pensare
e i politici han ben altro a cui pensare..."

sabato 27 ottobre 2018

"Libertà è partecipazione"

"La libertà non è star sopra un albero [...] libertà è partecipazione" cantava Giorgio Gaber nei primi anni Settanta.
Cosa significa "libertà è partecipazione"? Significa "essere nel gioco della vita", significa "mettersi in gioco" (citando testualmente le parole di due adolescenti cui è stato chiesto di spiegare il significato della frase).
Ma quanti, davvero, hanno voglia di farlo? Quanti hanno voglia di prendersi le responsabilità che il quotidiano vivere richiede, non solo tra i più giovani, ma anche, e soprattutto, tra gli adulti? 
E' tanto facile lasciarsi guidare, delegare, per poi attribuire le colpe di ciò che va male agli altri, alla società, questo insieme di individui non meglio identificati in cui ci si rifugia, come nel branco.
Ma la società è fatta da ognuno di noi. E se ciascuno di noi, come sostengono i due adolescenti precedentemente citati, si prendesse la responsabilità di mettersi in gioco, di essere nel gioco della vita, senza nascondersi dietro le scelte altrui, forse la società sarebbe migliore.

"Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come un uomo che ha bisogno
Di spaziare con la propria fantasia
E che trova questo spazio
Solamente nella sua democrazia.
Che ha il diritto di votare
E che passa la sua vita a delegare
E nel farsi comandare
Ha trovato la sua nuova libertà."
(Giorgio Gaber: "La libertà")



lunedì 1 ottobre 2018

La bacchetta rossa


Ne era stata subito colpita. Ed ancora adesso la ricordava, sebbene si trattasse di un ricordo sbiadito dal tempo.
Era una bacchetta rossa, appoggiata sulla cattedra della maestra. La intimorì vederla lì, il primo giorno di scuola, in prima elementare (era il primo ottobre del 1967), ed ancor di più la intimorì vederla usare qualche volta sulle dita di qualche compagno di classe un po' indisciplinato.
Poi, non capì bene perché, improvvisamente la bacchetta rossa sparì. 
Sarà stata primavera inoltrata, più o meno, sempre nel corso di quel suo primo anno scolastico.
Solo alcuni anni dopo comprese il motivo per cui la maestra non aveva più sulla cattedra la bacchetta rossa: era "successo il '68"."

(Rielaborazione di un vecchio post, precedentemente pubblicato il 10 gennaio 2008)

giovedì 27 settembre 2018

Vinti e persi

[...] "Oggi il mio pensiero va a tutti i 'vinti', a quelli che non ce l'hanno fatta, a quelli che stanno ancora cercando un buon motivo per andare avanti; questo mestiere ci fa incontrare tante giovani vite, nell'età più difficile; accompagnarle nel periodo in cui ci sono affidate è un grande privilegio e un grande impegno, riuscire a cogliere i loro segnali, le loro richieste di aiuto spesso non è facile ma provarci si può." [...]
Un vecchio post di Cristina mi ha riempito di malinconia e ha fatto pensare anche a me a "tutti i vinti", quelli che non ci sono più e quelli che stanno ancora fuggendo perdendosi nei mondi ovattati (o presunti tali) dell'alcol e delle droghe... Gli sguardi persi, vuoti, spenti, la paura che diventa aggressività verso gli altri e verso sé stessi, le belle menti (perché, ammettiamolo, spesso sono le anime più nobili e più sensibili che finiscono per perdersi) che improvvisamente bruciano la loro creatività, la loro nobiltà, la loro intelligenza e non sono più loro, sono altri che, improvvisamente, ci ritroviamo davanti e non riconosciamo più.
Quanti ne ho incontrati, quanti ne incontrerò, provando ogni volta la stessa sensazione di impotenza, di incapacità di farmi ascoltare, di urlare "Ribellati! Usa la tua mente e vivi le sensazioni che ti attraversano la mente senza mediarle. Affronta le tue paure e condividile con chi ti è vicino e ti vuole bene, perché c'è chi ti è vicino e ti vuole bene, anche se tu non te ne accorgi...".

‎(Rielaborazione di un vecchio post già pubblicato il ‎21 ‎novembre ‎2007 sulla piattaforma Splinder)

mercoledì 12 settembre 2018

"La scuola è sacra"

"Sta scherzando?!?!?!?!" mi sono sentita dire da uno studente di quarta quando, per avviare la mia lezione di pianificazione e condivisione del nuovo anno scolastico, ho scritto sulla lavagna, occupandola pienamente, questa frase, usando le lettere maiuscole e chiedendo agli studenti di riportarla sul loro quaderno degli appunti.
Non stavo scherzando, non sto scherzando. La scuola è sacra. Non lo dico io, lo ha detto, tra gli altri, anche don Lorenzo Milani quando affermava:
"La scuola è quel luogo dove si insegnano cose utili, quelle cose che il mondo non insegna, sennò non va bene". (Don Lorenzo Milani: "Una lezione alla scuola di Barbiana", Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 2004, pag.11).
E' un luogo sacro, la scuola, perché è l'Istituzione nella quale si trasmette il sapere, quel sapere che non è mera conoscenza, si badi bene, ma è anche pratica ed esercizio di abilità e competenze.
A scuola si imparano i saperi, si esercitano i saperi, si cambia mentalità ed atteggiamento grazie all'interiorizzazione dei saperi.
Questo significa affermare che "la scuola è sacra".
E' così. Dovrebbe essere così.
Dovrebbe. Non è sempre così.
C'è chi, studenti, genitori, docenti stessi, a volte anche dirigenti, considera la scuola un parcheggio, un circolo ricreativo, un centro sociale, un ufficio postale, un luogo dove incontrare persone su cui scaricare la propria aggressività, la propria frustrazione, la propria miseria intellettuale, la propria insofferenza, il proprio disagio interiore.
La scuola è diventata sempre più un luogo sentito inutile, superato, incerottato, inadeguato.
Non più istituzione verso cui è dovuto rispetto, da parte di tutti, anche di chi a scuola non va più da un pezzo e non ha figli in età scolare.
Un Paese che non investe in Sapere, che non investe sulla Scuola, è destinato a fallire.
E' quanto sta accadendo al nostro misero e disgraziato Paese, in cui sembra si sia perso il senso del rispetto, del decoro, dell'apprezzamento verso chi assume nei confronti di fatti e persone un atteggiamento critico, tipico di chi ha imparato a non emettere giudizi senza conoscere ciò di cui sta parlando, di chi ha imparato a verificare, confrontare, ricercare personalmente, avendone gli strumenti, altre verità, consapevole che non esista un'unica verità, un'unica soluzione, un'unica posizione valida per tutti.
L'omologazione non è un valore fine a se stesso. Il denaro non è un valore fine a se stesso. Ma in quanti, ancora, se ne ricordano?

(Già pubblicato il 18 settembre 2011 su altra piattaforma)

sabato 1 settembre 2018

Buon anno!

Per chi lavora nella scuola, il vero Capodanno cade il 1° settembre: ci si incontra ed è un continuo augurarsi "Buon anno!" come tutte le altre persone usano fare il 1° gennaio e nei giorni immediatamente successivi. Viviamo scandendo il tempo usando gli anni scolastici e non gli anni solari. Rievochiamo eventi dicendo: "Mi ricordo, è accaduto nell'anno scolastico 1995/96, era giugno (o gennaio, forse) sicuramente era il periodo degli scrutini...".
Chi non lavora nella scuola ignora anche che per molti di noi insegnanti non esiste un vero periodo di vacanza. Non stacchiamo mai: terminato l'orario di lavoro (che non sono, e tengo a sottolinearlo, le sole 18 ore settimanali di lezione e le ore collegiali, caratterizzate da riunioni varie) torniamo a casa e non solo prepariamo le lezioni o correggiamo i compiti degli studenti, ma continuiamo a pensare a come potremmo catturare la loro curiosità proponendo un argomento piuttosto che un altro, la visione di un film, di un documentario o una visita in una particolare località. Durante le vacanze estive (che non durano, e sfatiamo un altro mito, tre mesi!), se ci capita di visitare un museo, un castello, una città, pensiamo subito "Questo potrei proporlo ai miei studenti di quinta (o di quarta, etc.)".
Il nostro mestiere ci prende a tal punto che tutta la nostra vita ne è completamente caratterizzata.
Certo, non per tutti gli insegnanti è così, ma per molti dei colleghi che ho avuto la fortuna di incontrare è proprio così.
Buon 2018/2019!

martedì 21 agosto 2018

Tutto normale, tutto previsto, tutto già descritto

Perché meravigliarsi di fronte agli applausi ai funerali, ai selfie (anche ai funerali) di gente famosa e no, al quarto d'ora di celebrità che non si nega a nessuno, al dolore urlato, anche un po' ipocrita, all'ansia di dire la propria pur non sapendo nulla di ciò di cui si sta parlando? Tutto ciò, in fondo, è figlio del nostro tempo. E senza bisogno di far ricorso a testi di saggi e accademici, lo si può trovare, in modo a volte ironico, anche in testi di canzoni più o meno recenti, come quelle di seguito indicate: "L'esercito del selfie", interpretata da Takagi e Ketra con Lorenzo Fragola e Arisa, del 2017, "Vorrei ma non posto", interpretata da J-AX e Fedez, del 2016, "Occidentali's Karma", interpretata da Francesco Gabbani, del 2017, "Fango e stelle", interpretata da Enrico Ruggeri, del 1996.  


"Siamo l’esercito del selfie 
Di chi si abbronza con l’iPhone 
Ma non abbiamo più contatti 
Soltanto like a un altro post"


https://www.youtube.com/watch?v=FQkaH5ppFek


"E poi, lo sai, non c'è 
Un senso a questo tempo che non dà 
Il giusto peso a quello che viviamo 
Ogni ricordo è più importante condividerlo 
Che viverlo"


https://www.youtube.com/watch?v=yKT_euhimTk

"Tutti tuttologi col web
Coca dei popoli
Oppio dei poveri
AAA cercasi (cerca sì)
Umanità virtuale
Sex appeal (sex appeal)
Comunque vada panta rei
And singing in the rain
Lezioni di Nirvana
C’è il Buddha in fila indiana
Per tutti un’ora d’aria, di gloria
La folla grida un mantra
L’evoluzione inciampa
La scimmia nuda balla
Occidentali’s Karma
Occidentali’s Karma
La scimmia nuda balla
Occidentali’s Karma
Quando la vita si distrae cadono gli uomini"

https://www.youtube.com/watch?v=-OnRxfhbHB4

"Facce sulla carta, telegiornale, 
mani sulla torta, tra gli sconti eccezionali 
e gli applausi ai funerali: animali. 

La commozione, l'indignazione, 

la protesta, la nazione, 
la delazione: che baraccone... 

E nei locali ipnotici, 
nelle vacanze ai tropici, 
la vita piano arranca 
tra una settimana bianca 
e le piccole ambizioni da travet. 

Anch'io sono nel fango 
però guardo su le stelle 
e le vedo così belle, 
perché l'anima è un concetto senza età: 
né famiglia, né bandiera. 
E la mia anima è leggera come me 
che volo via 
con la forza del pensiero. 
E questo mondo per intero non mi avrà: 
io volo. 

E il mondo che scivola è un vecchio serpente: 
niente più persone ma soltanto gente 
lungo la corrente, indolente. 

Appiattiti, imbruttiti; 
siamo stati omologati, 
allineati, arruolati. 

E dentro notti inutili 
e lungo giorni immobili, 
la vita si consuma 
più leggera di una piuma 
e si cerca il contenuto 
che non c'è."


https://www.youtube.com/watch?v=cdng_35uGII

domenica 19 agosto 2018

Il senso della vita (e della morte)

Un tempo, nelle giornate di lutto nazionale, tutto si fermava: le serrande si abbassavano, tacevano i programmi radiofonici e televisivi e le emittenti trasmettevano solo notiziari ed, eventualmente, musica sinfonica e requiem.
A ciascuno, soprattutto ai più giovani, appariva chiaramente che, di fronte alla morte, bisognava fermarsi, tacere, meditare, proprio per cogliere il senso dell'inadeguatezza, della fragilità, della precarietà dell'essere umano che proprio così poteva apprezzare ancora di più la grandezza e il valore della vita.
Poi tutto è cambiato. E non è stato solo colpa della diffusa laicizzazione. Perché si può anche non credere o non praticare una fede religiosa ma osservare una legge morale che impedisca di seguire solo il proprio interesse personale ritenendosi onnipotenti. L'onnipotenza non è dell'essere umano, anche se c'è chi è convinto del contrario. 
E di fronte all'imponderabilità della vita e della morte, gli essere umani non possono fare altro, come suggerisce Leopardi ne "La ginestra", che stringersi insieme in una "social catena" che permetta di affrontare le difficoltà e i lutti che la vita porta inevitabilmente con sé. 
Solo affrontando la morte, ammettendone l'esistenza e non negandola o decidendo di ignorarla, si può gustare e apprezzare davvero il senso della vita.


" [...] Così fatti pensieri
quando fien, come fur, palesi al volgo,
e quell'orror che primo
contra l'empia natura
strinse i mortali in social catena,
fia ricondotto in parte
da verace saper, l'onesto e il retto
conversar cittadino,
e giustizia e pietade, altra radice
avranno allor che non superbe fole,
ove fondata probità del volgo
così star suole in piede
quale star può quel ch'ha in error la sede."
(Giacomo Leopardi: "La ginestra o il fiore del deserto", vv. 145 - 157)

domenica 12 agosto 2018

Non sono solo canzonette...

... se, pur parlando d'amore, evidenziano, nemmeno troppo velatamente, un'idea: quella di una donna fragile e insicura che si affida a un uomo di cui è proprietà ("Donna donna mia", canzone del 1979, interpretata da Toto Cutugno) o di una donna che, proprio perché appartiene a un uomo, non può pretendere di lasciarlo ("Io che non vivo", del 1965, interpretata da Pino Donaggio).
Qualcuno potrà osservare che si tratta di canzoni ormai vecchie e legate a una tradizione musicale nazional - popolare da cui si è attualmente lontani.
Ma quella tradizione ha alimentato una cultura di cui, ancora oggi, si fa fatica a liberarsi: un'idea di amore come possesso e non come occasione di affetto che dura nel tempo, libero come un dono incondizionato che nulla pretende in cambio ("Come prima", interpretata nel 1958 da Tony Dallara).

Di seguito, i link e i testi delle canzoni citate.


Tu, che strana davvero tu 
accendi la tua tivù
e non parli, non ridi più
non dirmi che non ti va più 
dai non far quella faccia lì
non è certo finita qui 
un po' fragile, un po' insicura 
non dirmi che non sei più
mia
mia mia mia 
donna donna mia 
mia mia mia mia 
non dirmi che tu 
vuoi andare via 
mia 
nella mente, nel cuore mia 
nei miei sogni e nel tempo mia 
non tremar, non aver paura 
non sei un'avventura e sei mia 
nei tuoi sogni proibiti, mia 
nei miei sogni proibiti, mia 
un po' donna e un po' bambina 
sorridi e mi vieni vicina 

più di questo che vuoi di più 
dimmi cosa ti manca in più' 
un po' fragile, un po' insicura 
ti amo e lo sai che sei mia 
mia mia mia mia 
donna donna mia 
mia mia mia mia 
non dirmi che tu 
vuoi andare via 
mia 

nella mente, nel cuore mia 
nei miei giorni e nel tempo mia 
non tremar, non aver paura 
non sei un'avventura e sei mia 
nei tuoi sogni proibiti, mia 
nei miei sogni proibiti, mia 
un po' donna e un po' bambina 
sorridi e mi vieni vicina


https://www.youtube.com/watch?v=N3W7qlMZTXY

Siamo qui noi soli
come ogni sera
ma tu sei più triste
ed io lo so
perché
forse tu vuoi dirmi
che non sei felice
che io sto cambiando
e tu mi vuoi lasciar

Io che non vivo
più di un'ora senza te
come posso stare una vita
senza te
sei mia
sei mia
mai niente lo sai
separarci un giorno potrà

Vieni qui ascoltami
io ti voglio bene
te ne prego fermati
ancora insieme a me

Io che non vivo
più di un'ora senza te
come posso stare una vita
senza te
sei mia
sei mia
mai niente lo sai
separarci un giorno potrà
Io che non vivo
più di un'ora senza te
come posso stare una vita
senza te
sei mia
sei mia

Io che non vivo
più di un'ora senza te
come posso stare una vita

senza te
sei mia
sei mia
sei mia





Come prima, più di prima t'amerò 
Per la vita, la mia vita ti darò 
Sembra un sogno rivederti, accarezzarti 
le tue mani, fra le mani stringere ancor 

Il mio mondo, tutto il mondo sei per me 
a nessuno voglio bene come a te 
Ogni giorno, ogni istante, dolcemente ti dirò 
«Come prima, più di prima t'amerò» 

Come prima, più di prima t'amerò 
Per la vita, la mia vita ti darò 
Ogni giorno, ogni istante, dolcemente ti dirò 
«Come prima, più di prima t'amerò»  


mercoledì 25 luglio 2018

Ripartire dall'essenziale

"Mi domando: [...] (i miei figli) sapranno che fare quando si troveranno al buio? Capiranno da dove può arrivare la luce della salvezza, da quale parte guardare? Ecco quello che dovremmo chiederci, noi genitori: se il nostro tempo sta lasciando loro qualcosa, se stiamo trasmettendo un patrimonio morale. Per riconquistare i nostri figli è da qui che dobbiamo ripartire: dall'essenziale." (Antonio Polito: "Riprendiamoci i nostri figli - La solitudine dei padri e la generazione senza eredità", Marsilio - Nodi, Venezia, 2017, Pagina 173)

domenica 22 luglio 2018

L'ultimo baluardo


Sempre più spesso, psicologi e pedagogisti invitano la scuola a resistere come ultimo baluardo contro una società sempre più sfaccettata che si nutre di false illusioni, di arroganza, di ignoranza, di certezze assolute mirate a raccogliere il consenso di chi, sempre meno, è abituato a pensare.
E la scuola degli insegnanti che nella scuola credono davvero cerca di resistere, nonostante tutto, incoraggiando gli studenti a discutere, a pensare, ad ascoltare, a non dar mai nulla per scontato, a non credere a tutto ciò che viene detto prima di averlo analizzato, confrontato, approfondito.
Tocca alla scuola il compito di resistere, nonostante tutto, anche valorizzando attraverso una didattica delle emozioni, l'attività in classe.
Contro l'analfabetismo emotivo, Ulisse Mariani e Rosanna Schiralli con il format Didattica delle emozioni propongono per la scuola una serie di obiettivi:
una scuola che, prima di insegnare, educhi
- prima di informare, formi
  - che, prima di integrare, interagisca
 - che, prima di diventare tecnologica, si apra alla modernità 
 - che, prima di accogliere e rispettare, si faccia rispettare
 - che, prima di cadere nella trappola del buonismo, sappia mettere regole, limiti e confini       
 - che, prima di trasformarsi in un contenitore sterile, sia luogo di studio, impegno e passioni 
 - che, prima di essere derubata di ogni risorsa, sia spazio sacro e da proteggere
 - che, prima di invitarli a ripetere la lezione, aiuti i giovani a narrarsi
 - che, ancora prima delle lettere e dei numeri, recuperi codici di linguaggio emozionale.

Soltanto così, unendo il passato al futuro, la scuola può dare senso e avere senso.

(Citazioni tratte dal testo di Ulisse Mariani e Rosanna Schiralli: Intelligenza emotiva a scuola - Percorso formativo per l'intervento con gli alunni, Erickson, Trento, 2012, pagine 129 - 130)


Contro l’analfabetismo emotivo:
la che, prima di insegnare, educhi

 prima di informare, formi

che, prima di integrare, interagisca


che, prima di diventare tecnologica, si apra alla modernità