venerdì 29 aprile 2016

"La legge morale dentro di me"

Nessun divieto, nessun controllo, anche tempestivo ed esteso, potrà mai aver effetto contro la corruzione e il malaffare finché, ciascuno, individualmente, non inizierà a maturare l'idea che comportarsi correttamente rispettando sé stesso e gli altri è comunque la scelta più saggia.
Finché ci saranno individui disposti a vendersi e a chiudere un occhio (per avidità, per interesse, per ambizione personale o per qualunque altro motivo) di fronte alle ingiustizie, esisteranno la corruzione, la truffa, il malaffare.
Se per ambizione si è propensi ad acquistare titoli di studio, a vincere gare, appalti o quant'altro immeritatamente, senza sentir propria la legge morale di cui parlava Kant, a nulla varranno proibizioni o punizioni. 
Il male occorre sconfiggerlo innanzi tutto dentro di noi.

sabato 23 aprile 2016

Traffico

Mi chiedo: ma gli assessori al traffico (o chi per loro) delle località italiane, quando dispongono in merito alla regolazione dei semafori o alla circolazione di veicoli o pedoni, con riferimento anche al tracciato delle piste ciclabili, si rendono conto che siamo in Italia e non in un Paese del Nord Europa?
Quotidianamente, per quel che mi riguarda, mi rispondo che no, non ne sono consapevoli.
Non si spiegherebbe altrimenti per quale motivo si ostinino a tracciare piste ciclabili in cui pedoni e ciclisti si ritrovano a condividere, con disagio, la stessa corsia e molti pedoni, attraversando le strisce pedonali regolate da un semaforo all'incrocio tra due strade, si ritrovino regolarmente a rischiare la vita dato che il segnale verde di attraversamento scatta contemporaneamente con quello degli automobilisti che, emuli dei piloti di Formula 1, partono in quarta dimentichi dei pedoni che potrebbero essere da loro investiti.

venerdì 15 aprile 2016

Il fascino del monitoraggio (ovvero: della valutazione del sistema scolastico)

Da sempre mi occupo di valutazione e autovalutazione nella scuola, pertanto non mi hanno turbato affatto le indicazioni della legge 107/2015 che introduce (finalmente, direi!) un processo di valutazione e autovalutazione del sistema scolastico.
Qualunque azione, comprese quelle educative, necessitano, a mio avviso, di una analisi e di una riflessione che ne valutino i risultati, al fine di migliorare continuamente l'azione stessa.
Di fronte alle perplessità di un certo numero di colleghi, non ho alcuna remora a mettermi in gioco personalmente: già da un po' di anni mi fa piacere che colleghi e dirigenti assistano alle lezioni che svolgo nelle classi e le loro considerazioni, così come quelle che chiedo solitamente agli studenti alla fine dell'anno scolastico, diventano per me occasione di revisione o potenziamento di alcune pratiche didattiche più o meno efficaci.
Proprio in questi giorni, nell'area riservata del sito della scuola in cui insegno attualmente, è possibile per i colleghi partecipare alla compilazione di un questionario finalizzato al monitoraggio dell'efficacia di un progetto da me realizzato. Le risposte finora ricevute mi consentono già di ripensare alla revisione o al potenziamento di alcuni aspetti del progetto stesso.
Trovo che ciò non possa che essere un vantaggio per me stessa e, soprattutto, per l'efficacia delle azioni finalizzate a rendere la scuola, la nostra scuola, sempre migliore.
Io ci credo, fermamente. Se non fosse così, non riuscirei a svolgere serenamente il mestiere d'insegnante.

martedì 12 aprile 2016

Maternità e paternità responsabile

Maternità e paternità, tra gli esseri umani, non sono un mero fatto biologico: genitori si diventa e diventarlo implica una forte assunzione di responsabilità.
Bisognerebbe dirlo a tutti i genitori, a quelli che si apprestano a diventarlo, a quelli che lo sono già, magari da vari anni, magari di più figli.
Essere genitore significa accettare, prendersi cura, e, soprattutto, educare i propri figli, fin dal primo vagito.
Credere che un bambino sia troppo piccolo per imporgli delle regole, aspettando il momento giusto, significa andare incontro a difficoltà nel riuscire poi ad imporre la propria autorevolezza.
Un bambino impara (o dovrebbe imparare) in famiglia che esistono luoghi e persone da rispettare, che lui non è al centro del mondo (anche se è convinto di esserlo), che non è un principe e i suoi genitori non sono la sua corte.
Trovo triste e deprecabile vedere bimbi di tre/quattro anni che, per strada, pretendono di vedere immediatamente assecondati i loro capricci, urlando e volendo averla sempre vinta.
Molti genitori acconsentono, a volte per stanchezza, a volte perché pensano che c'è tempo per insegnare ai loro pargoli come si sta al mondo. Sbagliano. Forse si ritroveranno a gestire adolescenti riottosi e maleducati, ingestibili e, peggio ancora, già dediti ad abitudini nocive e rischiose per sé e per gli altri.
Educare è un impegno gravoso che deve essere assunto con grande consapevolezza. Non è come comprare "Cicciobello" nel negozio di giocattoli ed accantonarlo in uno stanzino quando non si ha più voglia di giocarci.
Illudersi che tutto rimanga come prima, che ci si possa permettere uscite o frequentazioni non adatte ai ritmi dei più piccoli, è una delle tante utopie di cui ci si è alimentati negli ultimi anni.
(Già pubblicato su altra piattaforma il 15 ottobre 2011)

Educazione

1) Uscendo di casa, mentre apro il cancello d'ingresso del condominio, incrocio una ragazzetta che contemporaneamente sta arrivando per entrare. Spalancando io il cancello, la tipa si infila senza dire né grazie, né prego, né arrivederci o similia.
2) Camminando sul marciapiedi, incrocio una ragazzetta (un'altra, non quella di cui sopra) che sta tranquillamente circolando in bicicletta e si scoccia anche un po' perché io le intralcio il cammino. Le faccio notare (sono o non sono una rompiscatole?) che la pista ciclabile è esattamente sul marciapiedi opposto e che, visto che c'è, sarebbe anche il caso di sfruttarla. La tipa mi guarda infastidita e scocciata.
Cari genitori, ma voi insegnate l'educazione ai vostri figli?

domenica 10 aprile 2016

H 24

Lo sviluppo e la diffusione sempre maggiore delle nuove tecnologie richiedono un ripensamento sulle condizioni lavorative che, soprattutto per certe mansioni, rischiano di diventare una vera e propria schiavitù per il lavoratore che, dotato di smartphone, finisce per essere, 24 ore su 24, a completa disposizione del datore di lavoro, dei clienti o di tutti coloro che, avendo bisogno di contattarlo, si sentono autorizzati a farlo in qualunque momento della giornata.

 Così, lo studente che ha necessità di un chiarimento,  non esita a contattare l'insegnante e ugualmente farà il datore o il collega di lavoro, senza farsi scrupolo di considerare che, come tutti, il periodo di riposo per ciascuno di noi è un diritto, oltre che un dovere. Staccare il cervello dalle fatiche quotidiane, dalle incombenze lavorative, è una vera e propria necessità. Le vacanze, le ferie, sono state pensate proprio per questo. Non si può pensare di lavorare 365 giorni all'anno per 24 ore su 24. Il lavoro intellettuale rischia di diventare un lavoro a tempo pieno che non si interrompe mai e non contempla giorni festivi e feste comandate.

"Se una radio è libera..."

"Bastarono i nostri quindici anni.
Bastò un trasmettitore da 5 watt preso a centomila lire.
Bastò un vecchio giradischi Philips, un microfono da dieci carte e un mixerino con due fader.
Bastò l'estro di un amico diciassettenne che faceva l'Istituto tecnico.
Bastò una stanza di casa sua e un'antennazza sui suoi tetti.
E avemmo la nostra radio."
(Luciano Ligabue: "Fuori e dentro il borgo", Baldini & Castoldi, Milano, 1997, pg. 80)

"<<Ecco.>>
<<Ecco cosa?>>
<<Novantanove megahertz.>>
<<Cosa?>>
<<E' la frequenza, la nostra frequenza.>>
<<Vuoi dire, che...>>
<<Siamo in onda.>>
[...]
Quella era Radiopirata, la più piccola radio dell'universo. Trasmetteva sui 99 megahertz. Non ce ne sarebbe stata mai più una uguale."
(Francesco Carofiglio: "Radiopirata", Marsilio Editori S.p.A., Venezia, 2011, pg. 150, pg. 152)



https://www.youtube.com/watch?v=xzlqv1ZFUyY



venerdì 8 aprile 2016

Quelli che non si lasciano stare

Bruno e Freccia a Radio Raptus International – Quelli che non si lasciano stare 

Bruno: E’ sabato notte e in questo momento molti di voi avranno
            di meglio da fare che stare ad ascoltare noi alla radio…
            Molti avranno anche di peggio da fare… Molti se la stanno             spassando di sicuro, ma sono convinto che tanti di voi che, guarda caso, avranno diciotto - vent’anni sono lì che non si lasciano stare neanche a quest’ora di sabato.
             Io non so com’era avere diciotto - vent’anni negli anni ’50 o ’60. So cosa vuol dire, per me e per tanti che conosco, averli adesso. ‘Sto 1977 è un gran casino. C’è un gran movimento in  giro. Non so dire se è bello o brutto… però… però… è…veloce.
            Ci sono le bombe, c’è il movimento studentesco, ci sono le radio libere, ci sono i genitori che sempre di più sono come tu giuri che non sarai mai.
            Ci sono le utopie, ci sono le religioni… e ci sono, appunto, quelli che non si lasciano stare.
Freccia: … vuoi dire che tocca a me?
Bruno:  Secondo me sì.
             Ci sono i buchi. E in mezzo a tutto questo c’è il nostro bisogno di saperne di più. Stiamo viaggiando senza cartina… o con una cartina illeggibile.
             E secondo me è arrivato il momento che questa cartina ce la facciamo noi… E una volta fatta la facciamo circolare.
Freccia: Si dicono un sacco di stronzate sull’eroina.
Bruno:  Vero. Te ad esempio, come hai cominciato?
Freccia: Io mi sono lasciato cominciare… E’ stata una tipa a farmi provare. A me non sarebbe mai venuto in mente di infilarmi un ago in vena.
Bruno:  E perché hai lasciato che lei lo facesse?
Freccia:Probabilmente quella volta più che chiedermi “perché” mi
             sono chiesto “perché no?”.
Bruno:  E com’è stato?
Freccia: Be’, quella volta lì bellissimo. Mi è arrivata una gran botta
              e sono sparite di colpo tutte le stronzate. Un gran calore e poi… come tanti orgasmi che provavo tutt’insieme lungo la              schiena, sulle gambe, dappertutto.
Bruno:  E poi?
Freccia: E poi ho fatto come fanno tutti, cioè mi sono detto: mi
             buco una volta o due ancora, tanto smetto quando mi pare.
Bruno:  Ed è andata così?
Freccia: No, mi sa che non va mai così. Io, almeno, dopo un paio
             di volte c’ero dentro.
Bruno:   Cioè?
Freccia: (un po’ secco) Cioè… cioè devi rubare hai capito? Perché
              non te la regala nessuno, capito?                Comunque
              dopo un po’ smette anche di darti piacere. Però stai male
              se non ti buchi, allora  ti fai solo per essere normale. Comunque alla fine diventa una cosa tra te e lei. Il resto non conta più un cazzo.
Bruno:    Come sei riuscito a smettere?
Freccia:  Cagandomi addosso.    Cagandomi addosso, con lo
              stomaco che mi si spaccava e il cuore a mille. Gran botte
              di caldo e poi di freddo e una paura bestia di morire di  
             dolore. Ho passato dieci giorni in un letto che continuavo a
             sporcare e che una persona continuava a   pulire. Se non
             era per lei sicuramente non ne venivo fuori.
             Però sai, non so se posso dire di avere proprio smesso.
             Cioè, sì! Da qualche mese non mi faccio più però forse è
             meglio se non ci penso troppo.
Bruno:  E adesso pensi che valesse la pena chiedersi quel
            “perché no?” la sera che hai fatto il primo buco?
Freccia: Questa è una domanda del cazzo.
Bruno: E allora su questa domanda del cazzo chiudiamo “Ora
            d’aria”. Stanotte abbiamo parlato di buchi. O meglio dei
            buchi che si è fatto uno. Non sappiamo se è così per tutti
            ma adesso, forse, ne sappiamo un po’ di più. Buonanotte.


 (Brani tratti da: “Antonio Leotti – Luciano Ligabue: “Radiofreccia”, Fandango Libri, 1999, pgg. 117, 118, 121)



martedì 5 aprile 2016

Non siete credibili!

Lo continuo a sentire, benché ormai non me lo dicano più da qualche anno.
"Non siete credibili!" continuavano a ripetere gli studenti della quinta decimata anche agli Esami di Stato.
Lo ripetevano, in particolare, il capo-coro, interista e fan di Materazzi, e il suo amico dal quaderno perfetto.
Sostenevano che noi adulti, docenti in particolare, continuassimo a minacciarli di punizioni che mai avrebbero ricevuto.
"Non lo vede, profe? Noi non abbiamo mai studiato, abbiamo sempre fatto ciò che ci pareva eppure siamo qui, in quinta. In cambio non abbiamo imparato nulla ma a noi, e anche a voi, ci sembra, non importa niente."
E continuavano elencando i disservizi di cui erano stati vittime all'interno del sistema scolastico, evidenziando con ferocia tutte le lacune degli insegnanti, o presunti tali, che avevano incontrato nel corso della loro carriera (chiamiamola così) scolastica.
Non riuscivano a spiegarsi perché mi disperassi al posto loro. "Andrà tutto bene, come è sempre stato. Questa scuola qui fa schifo, profe!".
Si sbagliavano, naturalmente. Ed a un certo punto il Consiglio di Classe decise di fare sul serio. Si unirono alla punizione anche i colleghi che con loro erano stati amiconi fino a quel momento.
Pagarono soprattutto i più fragili. Non che non se lo fossero meritato, per carità.
Sicuramente però, i 52 studenti che si erano iscritti in prima, ripartiti in due diverse classi, avevano altre aspettative: non pensavano certo che, cinque anni dopo, solo 10 di loro avrebbero superato l'Esame di Stato.
Con loro la scuola aveva fallito, mettendo in discussione la propria credibilità.

(Già pubblicato su altra piattaforma il 15 ottobre 2010)

sabato 2 aprile 2016

Il principe dorme qui

Era scritto proprio così su una mattonella decorativa di ceramica esposta nella vetrina di un negozio di souvenir di una località umbra: "Il principe dorme qui". Il tutto arricchito dall'immagine di un bambino immerso nel sonno. Destinata, presumo, la mattonella in questione, ad essere appesa all'esterno della porta della camera del "principe".
Povero principe, adorato, coccolato, ossequiato come una divinità, ancora prima di emettere il suo primo vagito. E, crescendo, ancora più coccolato e accusato, lui che mai ha imposto ad altri di essere in tal modo trattato, di tirannia. 
"In casa ormai comanda lui." affermano, quasi con orgoglio, quella madre, quel padre, quei nonni che al solo pensiero di doverlo accogliere nella loro casa, si sono resi schiavi del pargolo altrimenti detto "principe".
Così crescendo, il pargolo si è convinto che tutto gli sia dovuto. E, abituato ad avere tutto, egocentrico già di natura, non ha fatto altro che soddisfare il suo egocentrismo ritenendo che il mondo fosse ai suoi piedi. In fondo, gli adulti, con il loro comportamento, non hanno fatto altro che confermargli che sì, tutto gli era davvero dovuto.
A che serve dunque, cari genitori, lamentarsi ora che il frugoletto non è più tale ma è rimasto un vero tiranno? Chi gli ha insegnato che era un principe?