"<<
Ho passato trent’anni a scavare nelle coscienze, nel grande mistero dell’uomo, >>
mi confida un neuropsichiatra << ma le zone buie sono ancora molto più
vaste di quelle che mi pare d’avere rischiarato. Un giorno viene da me un uomo con il braccio
destro paralizzato. Era una paralisi isterica, non provocata da un trauma, da
un incidente, ma da un’alterazione di nervi. L’avevano già curato alcuni miei
colleghi, senza risultato. Decido di trattarlo con l’ipnosi. Tanto per
spiegarmi con te, che di medicina non sai niente, ti dirò che volevo
convincerlo, sotto il trattamento d’ipnosi, a rendersi conto che il braccio non
era malato e che, per recuperarlo, sarebbe bastato trasmettergli l’ordine di
muoversi. Così è stato infatti. Una guarigione rapida, quasi miracolosa. Il mio
cliente guardava muoversi il suo braccio e piangeva per l’emozione. Bene,
neanche dieci giorni dopo quell’uomo timido e quieto va a casa, apre il
cassetto in cucina, prende un coltello con venti centimetri di lama e lo pianta
nel ventre della moglie. Hai capito che cosa era successo? >>
Rispondo
di no, che non ho capito niente, che mi sembra solo il delitto di un pazzo.
<< Eh no, >> riprende il medico << la faccenda è più
complessa. Quell’uomo da tempo odiava la moglie e nell’inconscio aveva già
stabilito di ucciderla. La paralisi era stata, senza che lui lo sapesse, la sua
difesa. Insomma, il delitto gli ripugnava, ma, terrorizzato dal pensiero di
poterlo compiere in un momento di follia, aveva bloccato con la paralisi il
braccio destro. Ed ora, recuperato il braccio, tolto il freno che la coscienza
gli aveva misteriosamente imposto, aveva ucciso. Vedi che enigma siamo?
>>”
Vittorio Buttafava: "La fortuna di vivere
- Taccuino", Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1982, Pagg. 79 -
80 (Prima Edizione: Rizzoli Editore, Milano, 1981)
"Abbiamo dentro, tutti,
una ferita piccola o grande che non osiamo scoprire, che ci farebbe gridare di
dolore solo a sfiorarla. Meglio lasciarla lì, nel silenzio, in attesa che
diventi una cicatrice."
Vittorio Buttafava: "Una
stretta di mano e via", Biblioteca Universale Rizzoli, Milano,
1978, Pag. 30 (Prima Edizione: Rizzoli Editore, Milano, 1976)
"Forse
passerà [...] una mattina, a salutare. Solo a salutare, niente di importante.
Non servirebbe a niente comunque, perché lei lo sa benissimo, lo sa bene quanto
lui che è l'amore, imperfetto e disordinato, a tenerli separati, proprio mentre
in qualche modo li unisce [...]."
La
citazione, tratta dal romanzo "Gente senza storia" di Judith Guest (Traduzione
di Masolino d'Amico, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1977, pg. 277), si
riferisce alle difficoltà relazionali tra una madre e un figlio coinvolti
in una tragedia familiare, ovvero la morte del figlio primogenito, amatissimo
dalla madre e modello di riferimento per il fratello. Evidenzia la necessità,
in alcuni casi, di rimanere lontani, anche se ci si vuole bene, perché restando
vicini si soffrirebbe troppo.
E'
una situazione che può riguardare non solo le relazioni tra madri e figli,
ma tutte le tipologie di relazione, comprese quelle amicali.
L'amore
verso gli altri non è sempre lineare, chiaro, perfetto.
A
volte è complicato, doloroso, difficile. Al punto da richiedere una
separazione, per evitare di continuare a farsi del male.
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