domenica 25 novembre 2018

C'è ancora tanto da fare

Non sono solo le minacce, le urla, i pedinamenti, le botte, gli assassini. Le donne sono vittime di violenza ogni volta che sentono il peso di una cultura soffocante che le costringe a tacere, a mediare, ad accettare sopportando, quotidianamente, di essere quello che non sono.
Sono vittime di violenza quando nascondono i propri sentimenti più veri in nome di un modello femminile che le vuole pazienti, dolci, delicate, altruiste, pronte a sacrificare sempre sé stesse  e i propri desideri per favorire quelli dei figli, dei partner, dei genitori e di chiunque altro si aspetta da loro che sì, lo faranno, perché è sempre stato così.
Sono vittime di violenza quando si sentono schiacciare dal senso di colpa ogni volta che si concedono una serata con le amiche o un paio d'ore di libertà per pensare solo ed esclusivamente a sé stesse, financo quando, per motivi di lavoro, devono trattenersi più a lungo in ufficio mentre a nessun uomo salterebbe in mente di sentirsi in colpa per una partita a calcetto con gli amici o per essersi trattenuto in ufficio più a lungo per motivi di lavoro.
Dietro il femminicidio c'è il retaggio di una cultura dura a morire, di una cultura che non accetta che le donne siano considerate persone che possono dire NO, ribellarsi, andarsene, cambiare idea e che, soprattutto, pensino innanzi tutto a sé stesse, a volersi bene, ad essere egoiste, di quel sano egoismo cui ciascun individuo ha diritto.
Ecco perché non basta un segno rosso sul viso in segno di solidarietà ed attenzione. Ecco perché non bastano cortei, manifestazioni e giornate dedicate.
Ecco perché c'è ancora tanto da fare.

domenica 11 novembre 2018

Sogni cancellati



Ci sono state alcune generazioni di giovani, quelli del '68 o degli anni successivi, che chiedevano per sé "l'impossibile", che difendevano "l'immaginazione al potere", che rovesciarono un sistema in nome di una libertà che esigevano per sé stessi, attaccando tutti i modelli sociali e familiari tradizionali.

In nome di quella libertà, molti, come l'aria, andavano, venivano, amavano, odiavano, mettevano al mondo figli di cui ugualmente rispettavano la libertà, tentando di evitare che provassero frustrazioni, dispiaceri e brutture della vita quotidiana.
Quei figli, cresciuti come Narciso, secondo la definizione di Gustavo Pietropolli Charmet (in "Fragile e spavaldo - Ritratto dell'adolescente di oggi", Editori Laterza, Roma - Bari, 2008) si ritrovavano poi adolescenti, ovvero in un'età per definizione critica e complessa, sprovveduti e dunque fragili in una realtà che non si sentivano, e non si sentono, in grado di affrontare, spaventati e impauriti, dato che nessuno aveva fornito loro gli strumenti adeguati per affrontarla.
Così, i docenti di Lettere delle scuole superiori, se una ventina di anni fa, assegnando come prova di produzione testuale un racconto d'invenzione, si ritrovavano a leggere storie simpatiche, piene di curiosità e di gusto per la vita, con solo qualche eccezione in cui la vicenda narrata si concludeva drammaticamente, attualmente, assegnando lo stesso tipo di prova, si ritrovano a leggere nella stragrande maggioranza dei casi, storie con un finale tragico in cui il/la protagonista, solitamente in età adolescenziale, soccombe suicidandosi, vittima di bullismo e cyberbullismo.

Quasi ci si trova a pensare che molti di quei giovani che volevano l'impossibile e che sognavano per  sé un futuro radioso, quello stesso futuro  lo hanno rubato ai loro figli, cancellando sogni, curiosità e fiducia nell'avvenire.