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sabato 11 giugno 2022

Da numero a fantasma: il dramma della dispersione scolastica

 Fantasmi, è vero. O, più semplicemente, come si diceva una volta, numeri. Sorprende che nella scuola, soprattutto in certi indirizzi di scuole, non ci si renda conto del dramma che noi tutti, e in primo luogo i più giovani (mi riferisco ai bambini e, soprattutto, agli adolescenti) abbiamo vissuto negli ultimi due anni. La scuola è diventata così lo specchio di un fallimento educativo che già era presente prima della diffusione della pandemia e che con la pandemia ha mostrato tutte le sue criticità: una scuola a volte esageratamente selettiva che non è stata capace di far emergere le potenzialità di ciascuno degli studenti che gli erano stati affidati e, d'altra parte, una scuola fin troppo lassista, ugualmente incapace di trasmettere passione, conoscenza, entusiasmo per la vita e per il sapere. Una scuola con docenti spesso disillusi o trasformati in meri burocrati, impegnati a compilare moduli e a formulare discorsi in cui non ci si crede. Una scuola che a volte, tuttavia, resiste, e lo fa con chi, maestro, insegnante, genitore, dirigente, operatore o collaboratore a qualunque titolo nella scuola, continua a credere che gli studenti abbiano il diritto di avere almeno un maestro, un insegnante che segnerà il percorso della loro vita per sempre, che trasmetterà loro la passione per la conoscenza, per il sapere, per la vita, e che sarà capace di mostrare a ciascuno il proprio talento. Ci sono questi docenti, ci sono queste scuole ed è nel loro entusiasmo e nella loro passione che bisogna riporre le speranze, nonostante tutto.

sabato 28 dicembre 2019

Il pianto di Rachele e la strage degli innocenti: le responsabilità degli adulti

Muoiono. Cadono sulle strade, impregnate del loro sangue, spesso nei fine settimana, all'alba di una domenica mattina, al termine di una notte da sballo, fatta non più solo di luci stroboscopiche e musica ad altissimo volume ma spesso di pasticche a basso costo e di facile consumo e fiumi di alcol, e corse in automobile e rincorse alla ricerca di un senso di questa vita, di questa storia "anche se questa storia un senso non ce l'ha" come canta Vasco.
Spesso hanno tra i 15 e i 25 anni. Giovani, giovanissimi, che a volte non hanno nemmeno fatto in tempo a diventare anagraficamente adulti.
E noi, adulti attoniti, versiamo lacrime e imprechiamo contro un destino crudele e una società violenta, sbagliata, ingiusta.
Così, spesso, dimentichiamo, noi adulti, che la società è l'insieme di noi tutti.
Noi tutti che abbiamo accettato di rendere facile ciò che un tempo era proibito (anche se lo si faceva ugualmente), che abbiamo disimparato a dire "No", nell'illusione di rendere la vita più facile, senza complicazioni, senza traumi, senza difficoltà.
E invece il bello della vita sta proprio nello sfidarla, nel superare gli ostacoli, nell'affrontare le difficoltà e vincerle. 
Sembra che l'abbiamo dimenticato, noi adulti. Così, ai più giovani, non resta che cercare la sfida: nell'auto lanciata a gran velocità, nella nebbia di un cervello impasticcato, nella giostra di incontri sessuali consumati come un drink. Incapaci di emozioni, perché le emozioni vanno apprese e vanno insegnate, anche se fanno paura, anche se fanno male, anche se rendono fragili ed insicuri, come fragile ed insicura è l'umanità tutta.
Riappropriamoci delle emozioni. Riappropriamoci del pianto, non quello della sofferenza e del dolore di Rachele che piange per le vittime di una cultura falsa e illusoria, ma del pianto di gioia, quello di Filumena Marturano che scopre per la prima volta la forza e la bellezza dell'amore.

mercoledì 18 dicembre 2019

#Ediciamolo!

Non me la prendo con i ragazzi. Me la prendo con genitori e adulti che non hanno insegnato o non insegnano loro che esistono gli altri, con cui si convive e che meritano rispetto, lo stesso che si pretende per sé stessi; che le regole, anche se non piacciono, vanno rispettate; che i semafori non servono ad illuminare le città; che, soprattutto, i genitori e gli educatori non sono amici, non possono esserlo, dato che hanno un compito nobile: quello di educare e formare e per svolgerlo non si può, non si deve essere amici.

domenica 11 novembre 2018

Sogni cancellati



Ci sono state alcune generazioni di giovani, quelli del '68 o degli anni successivi, che chiedevano per sé "l'impossibile", che difendevano "l'immaginazione al potere", che rovesciarono un sistema in nome di una libertà che esigevano per sé stessi, attaccando tutti i modelli sociali e familiari tradizionali.

In nome di quella libertà, molti, come l'aria, andavano, venivano, amavano, odiavano, mettevano al mondo figli di cui ugualmente rispettavano la libertà, tentando di evitare che provassero frustrazioni, dispiaceri e brutture della vita quotidiana.
Quei figli, cresciuti come Narciso, secondo la definizione di Gustavo Pietropolli Charmet (in "Fragile e spavaldo - Ritratto dell'adolescente di oggi", Editori Laterza, Roma - Bari, 2008) si ritrovavano poi adolescenti, ovvero in un'età per definizione critica e complessa, sprovveduti e dunque fragili in una realtà che non si sentivano, e non si sentono, in grado di affrontare, spaventati e impauriti, dato che nessuno aveva fornito loro gli strumenti adeguati per affrontarla.
Così, i docenti di Lettere delle scuole superiori, se una ventina di anni fa, assegnando come prova di produzione testuale un racconto d'invenzione, si ritrovavano a leggere storie simpatiche, piene di curiosità e di gusto per la vita, con solo qualche eccezione in cui la vicenda narrata si concludeva drammaticamente, attualmente, assegnando lo stesso tipo di prova, si ritrovano a leggere nella stragrande maggioranza dei casi, storie con un finale tragico in cui il/la protagonista, solitamente in età adolescenziale, soccombe suicidandosi, vittima di bullismo e cyberbullismo.

Quasi ci si trova a pensare che molti di quei giovani che volevano l'impossibile e che sognavano per  sé un futuro radioso, quello stesso futuro  lo hanno rubato ai loro figli, cancellando sogni, curiosità e fiducia nell'avvenire.

mercoledì 25 luglio 2018

Ripartire dall'essenziale

"Mi domando: [...] (i miei figli) sapranno che fare quando si troveranno al buio? Capiranno da dove può arrivare la luce della salvezza, da quale parte guardare? Ecco quello che dovremmo chiederci, noi genitori: se il nostro tempo sta lasciando loro qualcosa, se stiamo trasmettendo un patrimonio morale. Per riconquistare i nostri figli è da qui che dobbiamo ripartire: dall'essenziale." (Antonio Polito: "Riprendiamoci i nostri figli - La solitudine dei padri e la generazione senza eredità", Marsilio - Nodi, Venezia, 2017, Pagina 173)

martedì 24 luglio 2018

"Tutta colpa dei genitori"

Pubblicato da Mondadori nell'ottobre 2010, "Tutta colpa dei genitori" è il terzo libro scritto dall'ottima collega Antonella Landi, conosciuta nel periodo in cui insegnò nella bergamasca.
E' possibile ascoltare la presentazione del testo, sempre attualissimo, cliccando il link indicato. Particolarmente interessante la lettura dei brani dedicati allo studente insolente (pagine 130 - 132 del testo).




sabato 7 luglio 2018

Il cuore non basta

"Figli si nasce, genitori no." recitava uno slogan di una trentina di anni fa. L'esperienza genitoriale, da sempre sfidante, è diventata parecchio complessa soprattutto negli ultimi decenni. Non bastano l'intuito e l'amore di una madre e di un padre per evitare di commettere errori gravissimi nel crescere i propri figli. Gli studi specifici hanno dimostrato e dimostrano con sempre più precisione quanto possano influire ed essere deleteri i comportamenti dei genitori sullo sviluppo di ciascun figlio. La cui educazione, di fatto, inizia già nel momento del concepimento. L'idea che i genitori si fanno della creatura che sta per nascere comincerà già ad influire su ciò che quella creatura diventerà. 
Forse sarebbe il caso che i futuri genitori e i genitori stessi seguissero corsi specifici di aggiornamento per imparare ad essere genitori. Genitori si diventa e si impara ad esserlo studiando, leggendo testi specifici. Perché tutto l'amore del mondo e l'intuito di una madre e di un padre non bastano più.



lunedì 25 giugno 2018

Allo stato brado

Sempre più frequentemente capita di vedere bambini dall'età variabile tra i due e i dieci anni che al ritiro bagagli in aeroporto si piazzano davanti al nastro trasportatore costituendo un pericolo per sé e un disturbo per gli altri dato che il bagaglio, i bambini, non riescono a ritirarlo rischiando contemporaneamente di prendere in testa quello del passeggero che ritira il suo e non riesce a schivare il bimbo piazzato laddove non dovrebbe essere. In quest'ultimo malaugurato caso, nemmeno così improbabile, il genitore del bimbo colpito non fa che lamentarsi. "Che modi!", ripete, dando per scontato che il figlio, urlante, possa fare ciò che vuole, in sua presenza e anche in sua assenza.
Non si pensi ch'io non sia consapevole di quanto sia difficile educare.
E' difficile, per esempio, chiedere a un bambino di due/tre anni di restare seduto e composto a tavola per tutta la durata del pasto senza pretendere di avere con sé giochini vari, di alzarsi ripetutamente, di gattonare, benché abbia già imparato a camminare da un po', sotto il tavolo ai piedi degli astanti.
Certo che è difficile!
Lo è al pari di chiedere a un tredicenne/quattordicenne di restare seduto al suo banco nel momento in cui gli è richiesto, senza girare per l'aula come un uccellino che si rifiuta di rientrare in gabbia.
Per l'adolescente riottoso, quando va bene, i primi tre mesi di scuola superiore possono bastare per trasmettergli l'idea che, sì, a scuola ci sono momenti in cui bisogna stare seduti.
Mi si dirà che sono altri tempi da quando frequentavo la scuola seduta dalla parte opposta alla cattedra.
Mi si dirà che i bambini, che gli adolescenti sono cambiati.
Non è così. Non sono cambiati i bambini, non sono cambiati gli adolescenti.
Quegli adulti che, ritenendo di fare cosa buona e giusta, lasciano i bambini e gli adolescenti allo stato brado in nome di una libertà presunta da concedere a sé stessi e ai più giovani che vengono loro affidati. 
Così quella libertà diventa licenza, diventa irresponsabilità, diventa incapacità di gestire sé stessi e gli altri.
Tutti allo stato brado, con buona pace delle necessarie regole di convivenza sociale e civile.


domenica 17 giugno 2018

La valutazione scolastica spiegata agli studenti (e anche ai genitori)

In un mondo in cui, grazie alla diffusione della Rete e alla superficialità che regna sovrana, tutti pensano di sapere tutto, si finisce per crederlo davvero.
Da qui, forse, l'arroganza di chi pretende di dare lezioni, anche manesche, agli addetti ai lavori, qualunque sia la loro professione. Attualmente, vittime di linciaggio non solo verbale, almeno da quanto si legge e si sente raccontare, sono i docenti, rei di aver mal valutato studenti di varie fasce d'età.
Forse, una volta di più, sarebbe il caso di sottolineare che quando un insegnante assegna un voto o un giudizio, non sta valutando la persona ma sta semplicemente assegnando una valutazione rispetto a un obiettivo, una competenza, un'abilità, una conoscenza verificata attraverso una prestazione (prova scritta o orale, lavoro di gruppo, intervento pertinente durante una discussione e quant'altro).
Nella valutazione finale, inoltre, si tiene conto di una serie di indicazioni ministeriali, come quelle di seguito riportate:
"La valutazione dell’alunno scaturisce da una equilibrata analisi delle proposte di voto presentate dai singoli docenti e sostenute da un giudizio scritto motivato. Il Consiglio di Classe valuterà la situazione scolastica dell’alunno in relazione a: 
1. obiettivi disciplinari a. Grado di raggiungimento degli obiettivi disciplinari quale risulta dalle prove di verifica effettuate nelle singole discipline b. Progressione del grado di apprendimento della disciplina attribuibile a continuità nello studio o alle strategie attuate c. Disponibilità verso gli interventi di recupero proposti d. Possibilità di allineamento al programma disciplinare della classe successiva 
2. obiettivi formativi a. Consapevolezza dell’esperienza scolastica b. Disponibilità alla condivisione delle regole della comunità scolastica c. Partecipazione alle attività scolastiche extracurricolari (integrative, di approfondimento) 
3. situazioni personali a. Condizioni di salute b. Situazioni socio-familiari c. Inserimento ad anno scolastico iniziato d. Altro".
Gli studenti e i genitori che di fronte a una pagella o al tabellone degli esiti cominciano a fare confronti calcolando le medie matematiche o mettendo a confronto l'esito di uno studente con quello di un altro, non solo non hanno letto il PTOF e il patto formativo pubblicati da ogni Istituto scolastico e che essi hanno accettato e firmato all'inizio di ogni anno scolastico, ma ritengono che un Consiglio di Classe o il corpo docente sia formato da macchinari tecnologici e non da persone.
Se lo scrutinio dovesse essere il risultato di una mera media matematica, si potrebbe farlo fare al computer, al registro elettronico. Così i docenti eviterebbero anche di rischiare di essere insultati o picchiati da chi crede di sapere tutto.

mercoledì 6 giugno 2018

Dimostrami di amarmi

Alessio (il nome è fittizio ma la vicenda è reale), 17 anni, durante uno di quei momenti di confessione che a scuola accadono tra studenti e docenti, rivela che non sa più quale espediente escogitare per catturare l'attenzione dei suoi genitori che, a suo dire, non lo considerano affatto.
"Per loro è come se non esistessi. Di me, a loro, non importa nulla. Mi lasciano libero di andare dappertutto senza chiedermi nulla. Affermano che lo fanno per rispettare la mia libertà. Secondo me lo fanno per rispettare la loro libertà. Non si preoccupano affatto di me. Io, per catturare la loro attenzione, ho fatto di tutto, sono rientrato a casa di notte sempre più tardi. Mai un rimprovero, mai. Niente. Per loro non esisto."
Riflettano quei genitori che, come quelli di Alessio, hanno dimenticato che il loro ruolo non è quello di essere amici e complici dei loro figli ma quello di educare, indicare un modello di vita, trasmettere sogni, passioni, definire regole e farle rispettare. 
L'adolescente, per crescere, ha bisogno  di sfidare regole e limiti per sentirsi vivo e per dare un senso a ciò che vive. Ma se i limiti e le regole non esistono più, i più giovani si sentiranno sempre più soli, sempre più vuoti, sempre meno amati.

domenica 6 maggio 2018

Collezione Primavera - Estate 2018 ("come l'anno scorso / come l'anno prima")

Con i primi caldi, può capitare di incontrare per strada chi sfoggia mise non esattamente eleganti e di buon gusto; abiti strettissimi che contengono a malapena corpi che si dimenano e tentano di sfuggire alla compressione imposta dai tessuti; manifestazioni pilifere che si mostrano in tutta la loro ricchezza, etc., etc. 
Se è vero, tuttavia, che la libertà di espressione riguarda anche il modo di abbigliarsi, si può anche sorvolare su espressioni che, a volte, non sono esattamente indice di classe.
La questione diventa molto più seria ed importante quando i corridoi e le aule scolastiche si trasformano in vere e proprie succursali dei "Bagni Mariuccia" della Versilia. Si avrebbe voglia quasi di fornire a chi si ostina ad indossare capi indubbiamente adatti per il tempo libero (cosa che, pare, la scuola non è) secchiello, paletta ed eventuale salvagente perché non si può mai sapere...


sabato 13 maggio 2017

Le responsabilità degli adulti

Il Convegno Internazionale #Supereroi fragili.2017, svoltosi a Rimini il 5 e il 6 Maggio scorsi, ha evidenziato che le difficoltà degli adolescenti delle ultime generazioni sono dovute alle scelte educative adottate dagli adulti negli ultimi vent'anni.
Proprio quelle scelte che, in post pubblicato il 27 settembre 2007 e, successivamente, il 1° ottobre 2008, sul blog "Sala docenti", erano state da me stigmatizzate. 




"Le responsabilità degli adulti"
Nei Paesi occidentali, dalla metà degli anni Sessanta, per circa una decina d'anni, i giovani rivendicarono per sé il diritto alla libertà e alla felicità. Pensavano che potesse essere possibile costruire un mondo migliore, libero dalle ipocrisie del mondo adulto tipiche della società borghese, parlavano di fantasia al potere, scandivano slogan del tipo "Siamo realisti, vogliamo l'impossibile", attaccavano duramente quelli che erano ritenuti i pilastri della società borghese: lo Stato, la famiglia, la scuola.
Nel frattempo crescevano, quei giovani, e in nome della libertà evocata per sé mettevano su casa (o case) e famiglia (famiglie), mettevano al mondo figli che venivano lasciati liberi di esprimere la propria creatività, fuori dalla costrizione delle regole autoritarie del "sistema". E poi andavano, venivano, liberi per il mondo perché la libertà è un bene primario. E anche la scuola doveva essere libera: basta con il sapere rigido e codificato, basta con la grammatica, meglio un corso di animismo o di cucina orientale.
Però...
Il risultato, credo, sia sotto gli occhi di tutti.
Mi limiterò ad effettuare un'analisi circoscritta a quello che quotidianamente, come insegnante, vedo negli occhi dei miei studenti, senza moralismi e pregiudizi.
I nostri ragazzi sono soli, disorientati, disillusi.
Hanno quindici anni e molti di loro ammettono di non avere né sogni, né speranze.
"Non è più come ai suoi tempi!", ripetono spesso. "Lo vede, vanno avanti solo i furbi!".
E ancora: "Il vero amore non esiste", "Tutti vogliono fregarti", "Non so cosa farò da grande e sinceramente non mi interessa".
Appaiono forti, tosti, ma sono fragilissimi, al punto che se trovano qualcuno disposti ad ascoltarli gli rivelano tutti i loro dubbi, le loro paure, il loro senso di inadeguatezza.
A volte sono chiamati persino ad occuparsi delle vicende amorose di padri farfalloni e di madri nevrotiche (o viceversa).
Dunque, se sono così, è colpa loro o colpa di noi adulti che in nome della nostra libertà abbiamo privato i nostri figli della libertà di crescere sereni ed emotivamente equilibrati?


sabato 25 marzo 2017

Angherie da bulli: le responsabilità degli adulti

C'è stato un periodo, una ventina di anni fa, in cui si tendeva a liberare le famiglie dalle loro responsabilità, attribuendo certi comportamenti giovanili alla cattiva influenza della società. La verità è che la società è data dalle persone che la costituiscono e se tra queste persone ci sono genitori che non educano i figli al rispetto di sé stessi e degli altri, ritenendo magari certi comportamenti solo innocenti ragazzate, non possiamo che aspettarci tali risultati. Quando tuttavia si verificano certi episodi, non si può non sottolineare la grave responsabilità degli adulti, lontani a volte da quel patto educativo che permette ai più giovani di crescere senza dover calpestare e umiliare coloro che si ritengono più deboli, nell'illusione di essere più forti. 
Non si è più forti: si è solo dei deboli vigliacchi.

giovedì 23 giugno 2016

Esame di Stato 2016 - Prima prova scritta

APPROFONDIMENTO: 
                         Umberto Saba                               

Mio padre è stato per me “l’assassino”

Mio padre è stato per me “l’assassino”
 fino ai vent’anni che l’ho conosciuto.
 Allora ho visto ch’egli era un bambino,
  e che il dono ch’io ho da lui l’ho avuto.

Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,
 un sorriso, in miseria, dolce e astuto.
 Andò sempre pel mondo pellegrino;
 più d’una donna l’ha amato e pasciuto.

Egli era gaio e leggero; mia madre
 tutti sentiva della vita i pesi.
 Di mano ei gli sfuggì come un pallone.

“Non somigliare – ammoniva – a tuo padre.”
 Ed io più tardi in me stesso lo intesi:
 eran due razze in antica tenzone.

Il poeta triestino Umberto Saba (1883 – 1957) è una delle figure più originali del nostro Novecento. Il suo Canzoniere, ampliato nel corso delle sue varie edizioni (la prima risale al 1921, l’ultima, postuma, al 1961), contiene tutte le raccolte di liriche da lui composte. La lirica Mio padre è stato per me “l’assassino”  è tratto dalla raccolta Autobiografia, comprendente 15 sonetti che Saba scrisse ispirandosi alla propria vita e che costituiscono una sorta di poemetto scandito in 15 strofe.
Mio padre è stato per me “l’assassino” è il terzo sonetto, in cui il poeta rievoca i suoi genitori: il padre, dal carattere libero e incapace di sottostare ai legami familiari, che abbandonò la moglie prima che il figlio nascesse, e la madre, che dovette sostenere da sola l’educazione del bambino, piena di rancore per il marito che l’aveva lasciata e che chiamò sempre “l’assassino”. Un conflitto aggravato, agli occhi del poeta, dall’appartenenza a due religioni e culture diverse: ebraica la madre, cattolica il padre. Solo quando Saba, ormai adulto, conobbe il padre, ritrovò negli occhi e nel sorriso del detestato “assassino”  non solo l’uomo che lo aveva generato, ma anche una parte importante di sé, legata alla sua sensibilità umana e artistica.


martedì 24 maggio 2016

Che fare?

"Che fare?" mi sento spesso chiedere da genitori alle prese con figli adolescenti indolenti, sgarbati, incontenibili, irritanti.

"Eppure" sostengono "fino a qualche tempo fa era tanto tranquillo...".

A me, sinceramente, verrebbe da rispondere che no, quel ragazzino, tranquillo, da che io lo conosco (e sono ormai molti anni), non lo è mai stato. Era indisponente, prepotente, egocentrico e, soprattutto, abituato a vedere appagata ogni sua richiesta non appena fosse formulata. Che cosa è cambiato, adesso? E' cambiato il valore, la qualità delle sue richieste.

Un adolescente ha esigenze diverse rispetto a quelle di un ragazzino di tre, cinque, sette anni. Dal suo punto di vista egli continua ad essere come è sempre stato.

Il genitore, invece, pensa che sia arrivato il momento di dire no. Ma ai "no" ci si deve abituare fin dalla più tenera età. Altrimenti si penserà, come alcuni adolescenti fanno, di subire un sopruso, di perdere un diritto acquisito. Chi di noi ha mai voluto rinunciare ad un diritto acquisito?

Ecco perché è importante che i genitori stabiliscano, da subito, regole precise e coerenti nell'educazione dei propri figli. Naturalmente tali regole dovranno essere adeguate all'età del bambino, ma non si può assolutamente pensare di far vivere come un selvaggio il proprio pargolo pensando poi di addomesticarlo quando diventerà più grande, stupendosi poi della difficoltà di farlo.

Vivere con un adolescente è indubbiamente difficile, ma lo è ancora di più quando ci si trova alle prese con un adolescente maleducato o ineducato. A cui è stato detto, magari in nome di un maggior presunto amore, troppe poche volte "NO!".



"Tu non mi vuoi bene!"

"Quante volte ve lo siete sentito dire dai vostri figli in tono accusatore?

E quante volte avete resistito alla tentazione di spiegar loro quanto li amavate?

Un giorno, quando i miei figli saranno abbastanza grandi da capire la logica che spinge una madre a comportarsi in un certo modo, glielo dirò.

Ti ho amato abbastanza da chiederti continuamente dove andavi, con chi e a che ora saresti tornato.

Ti ho amato abbastanza da insistere perché ti comprassi una bicicletta con i tuoi soldi, anche se noi potevamo permettercela e tu no.

Ti ho amato abbastanza da star zitta e lasciare che scoprissi da solo chi era l'amico che ti eri scelto.

Ti ho amato abbastanza da costringerti a restituire al proprietario del negozio la cioccolata già morsicata e confessare: <<L'ho rubata>>.

Ti ho amato abbastanza da restar lì come un gendarme per più di due ore a guardarti pulire la stanza, un lavoro che io avrei potuto fare in un quarto d'ora.

Ti ho amato abbastanza da dire: <<Sì, vai pure al luna park. Non importa se è il giorno della mamma>>.

Ti ho amato abbastanza da lasciare che vedessi la rabbia, la delusione, il disgusto e le lacrime nei miei occhi.

Ti ho amato abbastanza da non scusarmi mai con gli altri per le tue mancanze o cattive maniere.

Ti ho amato abbastanza da ammettere di aver avuto torto e chiederti scusa.

Ti ho amato abbastanza da ignorare quello che dicevano o facevano <<le altre madri>>.

Ti ho amato abbastanza da lasciare che inciampassi, cadessi, ti facessi male, sbagliassi.

Ti ho amato abbastanza da lasciare che ti prendessi le responsabilità delle tue azioni, a sei, come a dieci, o a sedici anni.

Ti ho amato abbastanza da sospettare che avevi mentito sulla presenza dei genitori del tuo amico a quella festa, e lasciar correre... dopo aver scoperto che non mi sbagliavo.

Ti ho amato abbastanza da metterti a terra, lasciarti andare la mano, non rispondere alle tue suppliche... perché imparassi a stare in piedi da solo.

Ti ho amato abbastanza da accettarti per quello che sei, non per quello che avrei voluto che fossi.

Ma soprattutto ti ho amato abbastanza da continuare a dire <<No>> anche sapendo che mi avresti odiato. E' stata questa la decisione più difficile."

(Il brano dal titolo "Tu non mi vuoi bene" è tratto da: Erma Bombeck: "Se la Vita è un piatto di Ciliege, perché a me solo i Noccioli?", Edizioni Club del Libro su licenza della Longanesi & C., Milano, 1981, Edizione Longanesi: 1980, pgg. 210 - 212)
(Già pubblicato su altra piattaforma l'8 febbraio 2010)

martedì 12 aprile 2016

Maternità e paternità responsabile

Maternità e paternità, tra gli esseri umani, non sono un mero fatto biologico: genitori si diventa e diventarlo implica una forte assunzione di responsabilità.
Bisognerebbe dirlo a tutti i genitori, a quelli che si apprestano a diventarlo, a quelli che lo sono già, magari da vari anni, magari di più figli.
Essere genitore significa accettare, prendersi cura, e, soprattutto, educare i propri figli, fin dal primo vagito.
Credere che un bambino sia troppo piccolo per imporgli delle regole, aspettando il momento giusto, significa andare incontro a difficoltà nel riuscire poi ad imporre la propria autorevolezza.
Un bambino impara (o dovrebbe imparare) in famiglia che esistono luoghi e persone da rispettare, che lui non è al centro del mondo (anche se è convinto di esserlo), che non è un principe e i suoi genitori non sono la sua corte.
Trovo triste e deprecabile vedere bimbi di tre/quattro anni che, per strada, pretendono di vedere immediatamente assecondati i loro capricci, urlando e volendo averla sempre vinta.
Molti genitori acconsentono, a volte per stanchezza, a volte perché pensano che c'è tempo per insegnare ai loro pargoli come si sta al mondo. Sbagliano. Forse si ritroveranno a gestire adolescenti riottosi e maleducati, ingestibili e, peggio ancora, già dediti ad abitudini nocive e rischiose per sé e per gli altri.
Educare è un impegno gravoso che deve essere assunto con grande consapevolezza. Non è come comprare "Cicciobello" nel negozio di giocattoli ed accantonarlo in uno stanzino quando non si ha più voglia di giocarci.
Illudersi che tutto rimanga come prima, che ci si possa permettere uscite o frequentazioni non adatte ai ritmi dei più piccoli, è una delle tante utopie di cui ci si è alimentati negli ultimi anni.
(Già pubblicato su altra piattaforma il 15 ottobre 2011)

Educazione

1) Uscendo di casa, mentre apro il cancello d'ingresso del condominio, incrocio una ragazzetta che contemporaneamente sta arrivando per entrare. Spalancando io il cancello, la tipa si infila senza dire né grazie, né prego, né arrivederci o similia.
2) Camminando sul marciapiedi, incrocio una ragazzetta (un'altra, non quella di cui sopra) che sta tranquillamente circolando in bicicletta e si scoccia anche un po' perché io le intralcio il cammino. Le faccio notare (sono o non sono una rompiscatole?) che la pista ciclabile è esattamente sul marciapiedi opposto e che, visto che c'è, sarebbe anche il caso di sfruttarla. La tipa mi guarda infastidita e scocciata.
Cari genitori, ma voi insegnate l'educazione ai vostri figli?

sabato 2 aprile 2016

Il principe dorme qui

Era scritto proprio così su una mattonella decorativa di ceramica esposta nella vetrina di un negozio di souvenir di una località umbra: "Il principe dorme qui". Il tutto arricchito dall'immagine di un bambino immerso nel sonno. Destinata, presumo, la mattonella in questione, ad essere appesa all'esterno della porta della camera del "principe".
Povero principe, adorato, coccolato, ossequiato come una divinità, ancora prima di emettere il suo primo vagito. E, crescendo, ancora più coccolato e accusato, lui che mai ha imposto ad altri di essere in tal modo trattato, di tirannia. 
"In casa ormai comanda lui." affermano, quasi con orgoglio, quella madre, quel padre, quei nonni che al solo pensiero di doverlo accogliere nella loro casa, si sono resi schiavi del pargolo altrimenti detto "principe".
Così crescendo, il pargolo si è convinto che tutto gli sia dovuto. E, abituato ad avere tutto, egocentrico già di natura, non ha fatto altro che soddisfare il suo egocentrismo ritenendo che il mondo fosse ai suoi piedi. In fondo, gli adulti, con il loro comportamento, non hanno fatto altro che confermargli che sì, tutto gli era davvero dovuto.
A che serve dunque, cari genitori, lamentarsi ora che il frugoletto non è più tale ma è rimasto un vero tiranno? Chi gli ha insegnato che era un principe?

sabato 19 dicembre 2015

Che fare?

"Che fare?" mi sento spesso chiedere da genitori alle prese con figli adolescenti indolenti, sgarbati, incontenibili, irritanti.

"Eppure" sostengono "fino a qualche tempo fa era tanto tranquillo...".

A me, sinceramente, verrebbe da rispondere che no, quel ragazzino, tranquillo, da che io lo conosco (e sono ormai molti anni), non lo è mai stato. Era indisponente, prepotente, egocentrico e, soprattutto, abituato a vedere appagata ogni sua richiesta non appena fosse formulata. Che cosa è cambiato, adesso? E' cambiato il valore, la qualità delle sue richieste.

Un adolescente ha esigenze diverse rispetto a quelle di un ragazzino di tre, cinque, sette anni. Dal suo punto di vista egli continua ad essere come è sempre stato.

Il genitore, invece, pensa che sia arrivato il momento di dire no. Ma ai "no" ci si deve abituare fin dalla più tenera età. Altrimenti si penserà, come alcuni adolescenti fanno, di subire un sopruso, di perdere un diritto acquisito. Chi di noi ha mai voluto rinunciare ad un diritto acquisito?

Ecco perché è importante che i genitori stabiliscano, da subito, regole precise e coerenti nell'educazione dei propri figli. Naturalmente tali regole dovranno essere adeguate all'età del bambino, ma non si può assolutamente pensare di far vivere come un selvaggio il proprio pargolo pensando poi di addomesticarlo quando diventerà più grande, stupendosi poi della difficoltà di farlo.

Vivere con un adolescente è indubbiamente difficile, ma lo è ancora di più quando ci si trova alle prese con un adolescente maleducato o ineducato. A cui è stato detto, magari in nome di un maggior presunto amore, troppe poche volte "NO!".





"Tu non mi vuoi bene!"

"Quante volte ve lo siete sentito dire dai vostri figli in tono accusatore?

E quante volte avete resistito alla tentazione di spiegar loro quanto li amavate?

Un giorno, quando i miei figli saranno abbastanza grandi da capire la logica che spinge una madre a comportarsi in un certo modo, glielo dirò.

Ti ho amato abbastanza da chiederti continuamente dove andavi, con chi e a che ora saresti tornato.

Ti ho amato abbastanza da insistere perché ti comprassi una bicicletta con i tuoi soldi, anche se noi potevamo permettercela e tu no.

Ti ho amato abbastanza da star zitta e lasciare che scoprissi da solo chi era l'amico che ti eri scelto.

Ti ho amato abbastanza da costringerti a restituire al proprietario del negozio la cioccolata già morsicata e confessare: <<L'ho rubata>>.

Ti ho amato abbastanza da restar lì come un gendarme per più di due ore a guardarti pulire la stanza, un lavoro che io avrei potuto fare in un quarto d'ora.

Ti ho amato abbastanza da dire: <<Sì, vai pure al luna park. Non importa se è il giorno della mamma>>.

Ti ho amato abbastanza da lasciare che vedessi la rabbia, la delusione, il disgusto e le lacrime nei miei occhi.

Ti ho amato abbastanza da non scusarmi mai con gli altri per le tue mancanze o cattive maniere.

Ti ho amato abbastanza da ammettere di aver avuto torto e chiederti scusa.

Ti ho amato abbastanza da ignorare quello che dicevano o facevano <<le altre madri>>.

Ti ho amato abbastanza da lasciare che inciampassi, cadessi, ti facessi male, sbagliassi.

Ti ho amato abbastanza da lasciare che ti prendessi le responsabilità delle tue azioni, a sei, come a dieci, o a sedici anni.

Ti ho amato abbastanza da sospettare che avevi mentito sulla presenza dei genitori del tuo amico a quella festa, e lasciar correre... dopo aver scoperto che non mi sbagliavo.

Ti ho amato abbastanza da metterti a terra, lasciarti andare la mano, non rispondere alle tue suppliche... perché imparassi a stare in piedi da solo.

Ti ho amato abbastanza da accettarti per quello che sei, non per quello che avrei voluto che fossi.

Ma soprattutto ti ho amato abbastanza da continuare a dire <<No>> anche sapendo che mi avresti odiato. E' stata questa la decisione più difficile."

(Il brano dal titolo "Tu non mi vuoi bene" è tratto da: Erma Bombeck: "Se la Vita è un piatto di Ciliege, perché a me solo i Noccioli?", Edizioni Club del Libro su licenza della Longanesi & C., Milano, 1981, Edizione Longanesi: 1980, pgg. 210 - 212)
(Già pubblicato su altra piattaforma l'8 febbraio 2010)

Il coraggio di essere adulti

Non è giusto, non è onesto continuare a prendersela con i più giovani, accusarli di inedia, rimproverarli perché incapaci, svogliati, sfiduciati o anche eccessivi, immorali, disincantati.
In qualità di adulti abbiamo grosse responsabilità: abbiamo preteso di restare per sempre giovani, abbiamo rifiutato di crescere diventando amici dei più giovani, strizzando l'occhio e agevolandoli in un percorso di vita che era piuttosto un eterno giro di giostra, un paese dei balocchi in cui ci si divertiva solamente e non si conoscevano il dolore, la sofferenza, la fatica di affrontare le difficoltà, la fatica di crescere.
Adesso però ci si rende conto che i più giovani fanno fatica ad affrontare la quotidianità, si annoiano o sembrano incontentabili. Ricorrono ad artifizi per sopportare la fatica di crescere, di vivere.
Forse è arrivato il momento di cambiare rotta. E di seguire i consigli di chi, come Paolo Crepet (vedi: Paolo Crepet: "L'autorità perduta - Il coraggio che i figli ci chiedono", Einaudi, Milano, 2011), invita gli adulti che per anni hanno abdicato al ruolo di educatori, ad avere coraggio: il coraggio di insegnare ai più giovani ad affrontare e superare le difficoltà, le fatiche, le ansie, le tensioni, gli ostacoli che la vita inevitabilmente comporta per renderli forti, desiderosi di affrontare le sfide e vincerle.
(Già pubblicato sul blog "Sala Docenti")