Non me la prendo con i ragazzi. Me la prendo con genitori e adulti che non hanno insegnato o non insegnano loro che esistono gli altri, con cui si convive e che meritano rispetto, lo stesso che si pretende per sé stessi; che le regole, anche se non piacciono, vanno rispettate; che i semafori non servono ad illuminare le città; che, soprattutto, i genitori e gli educatori non sono amici, non possono esserlo, dato che hanno un compito nobile: quello di educare e formare e per svolgerlo non si può, non si deve essere amici.
“Le sale insegnanti non sono tutte uguali: in alcune [...] si parla di tutto, ci si confronta e nascono ottime collaborazioni [...]." #Sala Docenti vuole puntare nuovamente sulla collaborazione, suggerita da Diego, incontrato da studente, oggi docente, e condivisa da Cristina, collega di vecchia data, già preziosa collaboratrice di "Sala Docenti", da Erica, giovane ed entusiasta insegnante, e da Lina, collega ispiratrice di lezioni ed emozioni. Perché solo insieme si cresce davvero.
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mercoledì 18 dicembre 2019
#Ediciamolo!
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venerdì 11 ottobre 2019
Libertà
“La
vostra libertà è di scegliere entro i limiti delle poche possibilità che vi
danno, cioè di ballare un twist o un madison, ma non di ballare o pensare; non
di ballare o regnare e essere padroni del vostro voto, del vostro pensiero; non
di ballare oppure vincere discussioni; non di ballare o convincere le persone
con cui parlate.
Purtroppo la mia previsione è che sarete pecore,
che vi piegherete completamente alle usanze, che vi vestirete come vuole la
moda, che passerete il tempo come vuole la moda. Ma mi dite che soddisfazione
ci trovate ad accettare una situazione simile? Ribellatevi! Ne avete l'età.
Studiate, pensate, chiedete consiglio a me, inventate qualcosa per sortire da
questa situazione in cui siete e poter arrivare al punto di fare realmente, con
una libera scelta vostra, le cose che vi par giusto fare. Per me sarebbe una
umiliazione tremenda se uno mi domandasse: <<Cosa stai facendo? Perché lo
stai facendo?>> e dovessi restare a bocca aperta senza rispondere. E
educo i miei ragazzi così, a saper dire in qualunque momento della loro vita,
cosa fanno e perché lo fanno.”
(Citazione tratta da: Don Lorenzo Milani: "Una
lezione alla scuola di Barbiana", a cura di Michele Gesualdi, Libreria
Editrice Fiorentina, Firenze, 2004, pagg. 30 - 31; Lezione ad un gruppo di
ragazze della scuola media di Borgo S. Lorenzo salite a Barbiana nel Carnevale
1965)
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domenica 6 ottobre 2019
Voto ai sedicenni
"Parliamone", mi sono detta. Così, ho interpellato gli studenti delle classi cui sono stata assegnata quest'anno: una classe prima, una quarta, una quinta di un Istituto Professionale, frequentate da studenti che hanno, rispettivamente, tra i 14 e 16 anni, tra i 17 e i 19 anni e tra i 17 e i 23 anni.
Ho chiesto loro di esprimersi, dichiarando se fossero favorevoli o contrari all'idea di offrire la possibilità di votare ai sedicenni, eventualmente motivando la propria opinione.
I risultati hanno evidenziato una netta differenza tra gli studenti più piccoli e quelli delle classi quarte e quinte.
Dei 20 studenti della classe prima, 14 si sono detti favorevoli e 6 contrari.
Su 14 studenti della classe quarta, solo 1 si è dichiarato favorevole alla proposta, contrari i restanti 13.
Ugualmente, nella classe quinta, su 15 studenti, 14 si sono dichiarati contrari e solo 1 favorevole.
"A 16 anni non si è ancora maturi." o "A 16 anni è molto più facile farsi condizionare dagli adulti." sono state le ragioni addotte per motivare la propria contrarietà alla proposta.
Sono saggi i nostri ragazzi. A volte molto più di tanti adulti che parlano tanto e ascoltano poco o nulla.
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sabato 26 gennaio 2019
"Essere felici - Il cinema insegna"
“Io penso che la felicità è
quando ti vai a prendere quello che c’è di grande nella vita, anche se devi
superare tantissimi ostacoli e difficoltà. Quindi la felicità è una cosa che se
proprio la vuoi te la devi andare a prendere. A questa cosa ci penso molto
spesso, perché io delle volte mi sento solo e disperato, ma altre volte sento
proprio di essere felice.
E non ho detto allegro,
contento, sereno, ho proprio detto felice!
Di solito però gli altri, le
persone normali, vogliono che stai in difesa, che fai catenaccio, è come se non
ci credono che ci sono le cose grandi da andarsi a prendere in attacco. In
difesa uno soffre meno, ma non so se può davvero essere felice.
[…] Una cosa molto importante
per essere felici sono le persone speciali, una persona speciale è quella che
ti fa capire che in attacco ci sono le cose grandi e che stare in difesa è un
peccato. Oppure sei tu che gli fai capire che in attacco ci sono le cose grandi
e allora sei molto felice di farglielo capire.
Io ci provo ad essere felice,
costi quello che costi. Certo, mica si può essere felici di tutto, però forse
basta esserlo di qualcosa, che poi quel qualcosa illumina tutto il resto… e
siamo salvi.” (Tratto dalla sceneggiatura del film “Banana” di Andrea Jublin. Italia, 2015)
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venerdì 11 gennaio 2019
A scuola in alternanza
Può esistere un modo diverso di fare scuola: occorre pazienza, coraggio e la disponibilità a raccogliere le sfide.
Solo così se ne possono raccogliere i frutti.
E che frutti!
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domenica 11 novembre 2018
Sogni cancellati

Ci sono state alcune generazioni di giovani, quelli del '68 o degli anni successivi, che chiedevano per sé "l'impossibile", che difendevano "l'immaginazione al potere", che rovesciarono un sistema in nome di una libertà che esigevano per sé stessi, attaccando tutti i modelli sociali e familiari tradizionali.
In nome di quella libertà, molti, come l'aria, andavano, venivano, amavano, odiavano, mettevano al mondo figli di cui ugualmente rispettavano la libertà, tentando di evitare che provassero frustrazioni, dispiaceri e brutture della vita quotidiana.
Quei figli, cresciuti come Narciso, secondo la definizione di Gustavo Pietropolli Charmet (in "Fragile e spavaldo - Ritratto dell'adolescente di oggi", Editori Laterza, Roma - Bari, 2008) si ritrovavano poi adolescenti, ovvero in un'età per definizione critica e complessa, sprovveduti e dunque fragili in una realtà che non si sentivano, e non si sentono, in grado di affrontare, spaventati e impauriti, dato che nessuno aveva fornito loro gli strumenti adeguati per affrontarla.
Così, i docenti di Lettere delle scuole superiori, se una ventina di anni fa, assegnando come prova di produzione testuale un racconto d'invenzione, si ritrovavano a leggere storie simpatiche, piene di curiosità e di gusto per la vita, con solo qualche eccezione in cui la vicenda narrata si concludeva drammaticamente, attualmente, assegnando lo stesso tipo di prova, si ritrovano a leggere nella stragrande maggioranza dei casi, storie con un finale tragico in cui il/la protagonista, solitamente in età adolescenziale, soccombe suicidandosi, vittima di bullismo e cyberbullismo.
Quasi ci si trova a pensare che molti di quei giovani che volevano l'impossibile e che sognavano per sé un futuro radioso, quello stesso futuro lo hanno rubato ai loro figli, cancellando sogni, curiosità e fiducia nell'avvenire.
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mercoledì 10 ottobre 2018
Per sempre
Giura che lo ama.
Che resteranno insieme per sempre.
Che da quando lo ha incontrato, la sua vita ha avuto, finalmente, un senso.
Hanno festeggiato il loro anniversario con un video pubblicato su un social network, affinché tutti sapessero dell'importanza del loro amore.
Ho sorriso e ho provato tenerezza e timore guardando quel video. Loro hanno 16 anni.
Io quasi 60.
E ho imparato che gli amori giovanili spesso svaniscono, con la stessa immediatezza con cui sono nati.
(Rielaborazione di un vecchio post già pubblicato sulla piattaforma Splinder)
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giovedì 27 settembre 2018
Vinti e persi
[...] "Oggi il mio pensiero va a tutti i 'vinti', a quelli che non ce l'hanno fatta, a quelli che stanno ancora cercando un buon motivo per andare avanti; questo mestiere ci fa incontrare tante giovani vite, nell'età più difficile; accompagnarle nel periodo in cui ci sono affidate è un grande privilegio e un grande impegno, riuscire a cogliere i loro segnali, le loro richieste di aiuto spesso non è facile ma provarci si può." [...]
Un vecchio post di Cristina mi ha riempito di malinconia e ha fatto pensare anche a me a "tutti i vinti", quelli che non ci sono più e quelli che stanno ancora fuggendo perdendosi nei mondi ovattati (o presunti tali) dell'alcol e delle droghe... Gli sguardi persi, vuoti, spenti, la paura che diventa aggressività verso gli altri e verso sé stessi, le belle menti (perché, ammettiamolo, spesso sono le anime più nobili e più sensibili che finiscono per perdersi) che improvvisamente bruciano la loro creatività, la loro nobiltà, la loro intelligenza e non sono più loro, sono altri che, improvvisamente, ci ritroviamo davanti e non riconosciamo più.
Quanti ne ho incontrati, quanti ne incontrerò, provando ogni volta la stessa sensazione di impotenza, di incapacità di farmi ascoltare, di urlare "Ribellati! Usa la tua mente e vivi le sensazioni che ti attraversano la mente senza mediarle. Affronta le tue paure e condividile con chi ti è vicino e ti vuole bene, perché c'è chi ti è vicino e ti vuole bene, anche se tu non te ne accorgi...".
(Rielaborazione di un vecchio post già pubblicato il 21 novembre 2007 sulla piattaforma Splinder)
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mercoledì 25 luglio 2018
Ripartire dall'essenziale
"Mi domando: [...] (i miei figli) sapranno che fare quando si troveranno al buio? Capiranno da dove può arrivare la luce della salvezza, da quale parte guardare? Ecco quello che dovremmo chiederci, noi genitori: se il nostro tempo sta lasciando loro qualcosa, se stiamo trasmettendo un patrimonio morale. Per riconquistare i nostri figli è da qui che dobbiamo ripartire: dall'essenziale." (Antonio Polito: "Riprendiamoci i nostri figli - La solitudine dei padri e la generazione senza eredità", Marsilio - Nodi, Venezia, 2017, Pagina 173)
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domenica 22 luglio 2018
L'ultimo baluardo
Sempre più spesso, psicologi e pedagogisti invitano la scuola a resistere come ultimo baluardo contro una società sempre più sfaccettata che si nutre di false illusioni, di arroganza, di ignoranza, di certezze assolute mirate a raccogliere il consenso di chi, sempre meno, è abituato a pensare.
E la scuola degli insegnanti che nella scuola credono davvero cerca di resistere, nonostante tutto, incoraggiando gli studenti a discutere, a pensare, ad ascoltare, a non dar mai nulla per scontato, a non credere a tutto ciò che viene detto prima di averlo analizzato, confrontato, approfondito.
Tocca alla scuola il compito di resistere, nonostante tutto, anche valorizzando attraverso una didattica delle emozioni, l'attività in classe.
Contro l'analfabetismo emotivo, Ulisse Mariani e Rosanna Schiralli con il format Didattica delle emozioni propongono per la scuola una serie di obiettivi:
- una scuola che, prima di insegnare, educhi
- prima di
informare, formi
- che, prima di integrare, interagisca
- che, prima di diventare tecnologica, si apra alla
modernità
- che, prima di accogliere e rispettare, si faccia rispettare
- che, prima di cadere nella trappola del buonismo,
sappia mettere regole, limiti e confini
- che, prima di trasformarsi in un contenitore sterile,
sia luogo di studio, impegno e passioni
- che, prima di essere derubata di ogni risorsa, sia
spazio sacro e da proteggere
- che, prima di
invitarli a ripetere la lezione, aiuti i giovani a narrarsi
- che, ancora
prima delle lettere e dei numeri, recuperi codici di linguaggio emozionale.
Soltanto così,
unendo il passato al futuro, la scuola può dare senso e avere senso.
(Citazioni tratte dal testo di Ulisse Mariani e Rosanna Schiralli: Intelligenza emotiva a scuola - Percorso formativo per l'intervento con gli alunni, Erickson, Trento, 2012, pagine 129 - 130)
Contro
l’analfabetismo emotivo:
la che, prima di insegnare, educhi
prima di informare, formi
che, prima di integrare, interagisca
che, prima di diventare tecnologica,
si apra alla modernità
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giovedì 19 luglio 2018
Emozioni in musica
Ha una melodia accattivante, che evoca le emozioni tipicamente adolescenziali di amori estivi, intensi e fugaci, destinati a spegnersi al primo colpo di vento. Ascoltarla significa tornare indietro di quarant'anni, quando i sentimenti travolgenti sembravano dominare su tutto e tutti, anche quando erano insignificanti. E non importa se si hanno quasi sessant'anni. Si torna giovanissimi, travolti da parole e musica che sembrano quelle dell'adolescenza lontana eppure mai così vicina.
Che super taglio di capelli che hai
Potresti vincere tutto
Dobbiamo fare adesso subito qua
Una foto che spacca
Potresti vincere tutto
Dobbiamo fare adesso subito qua
Una foto che spacca
E le favole e le corse
E le storie con gli effetti e le bugie
L’hai dette prima a me
Lo sai siamo sospesi in un vecchio spot dove allo specchio tu canti con il phon
E le storie con gli effetti e le bugie
L’hai dette prima a me
Lo sai siamo sospesi in un vecchio spot dove allo specchio tu canti con il phon
Certo che lo sai, prendi tutto e te ne vai
Per vedere se è vero
Che poi ti vengo a cercare
E ritorni solo se, cambia tutto tranne te
Alla tua festa non c’ero
Ma ti hanno vista ballare
Per vedere se è vero
Che poi ti vengo a cercare
E ritorni solo se, cambia tutto tranne te
Alla tua festa non c’ero
Ma ti hanno vista ballare
Da sola in the night
(In the night)
(In the night)
Che super pelle, che profumo che hai
Mi mandi fuori di testa
Le tue magliette bianche dentro quei jeans
Sono una cosa perfetta
E le favole e le corse
E le storie con gli effetti e le bugie
L’hai dette prima a me
Lo sai che non mi passa
Dal primo bacio a scuola ad occhi chiusi
Come lo vorrei ora
Mi mandi fuori di testa
Le tue magliette bianche dentro quei jeans
Sono una cosa perfetta
E le favole e le corse
E le storie con gli effetti e le bugie
L’hai dette prima a me
Lo sai che non mi passa
Dal primo bacio a scuola ad occhi chiusi
Come lo vorrei ora
Certo che lo sai, prendi tutto e te ne vai
Per vedere se è vero
Che poi ti vengo a cercare
E ritorni solo se cambia tutto tranne te
Alla tua festa non c’ero
Ma ti hanno vista ballare
Per vedere se è vero
Che poi ti vengo a cercare
E ritorni solo se cambia tutto tranne te
Alla tua festa non c’ero
Ma ti hanno vista ballare
Da sola in the night
(In the night)
Da sola in the night
(In the night)
(In the night)
Da sola in the night
(In the night)
Certo che lo sai, prendi tutto e te ne vai
Per vedere se è vero
Che poi ti vengo a cercare
E ritorni solo se cambia tutto tranne te
Alla tua festa non c’ero
Ma ti hanno vista ballare
Per vedere se è vero
Che poi ti vengo a cercare
E ritorni solo se cambia tutto tranne te
Alla tua festa non c’ero
Ma ti hanno vista ballare
(In the night
Da sola
In the night
Da sola in the night
In the night)
Da sola
In the night
Da sola in the night
In the night)
Compositori: Alessandro Merli / Davide Petrella / Fabio Clemente / Tommaso Paradiso
Testo di Da sola / In the night © Universal Music Publishing Group
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domenica 15 luglio 2018
Condizione e cultura giovanile nella società e nella scuola: riflessioni e considerazioni.
Il relativismo imperante della società italiana contemporanea e l’omologazione massmediatica dei modelli di riferimento rendono sempre più difficoltoso il compito educativo.
Adulti e giovani si trovano, inoltre, spesso sommersi da una valanga di informazioni che travolgono e quasi sempre sovrastano quelle che tradizionalmente vengono trasmesse nelle aule scolastiche.
Accade così che i nostri adolescenti, con cui quotidianamente, come docenti, entriamo in contatto, appaiano lontani, apatici, annoiati di fronte a una “cultura dei libri” che non riconoscono come propria, distante anni-luce da quella che considerano la loro cultura.
La scuola viene spesso vissuta dagli adolescenti con disagio, quel disagio che nasce dalla difficoltà di capire il senso, il valore dei contenuti proposti, in un contesto sociale che dà importanza solo all’apparenza e al denaro. In un’età difficile qual è quella che va dai 13 ai 18 anni, molti finiscono per perdersi, per omologarsi al modello dello studente che non studia ma trascorre le ore scolastiche aspettando l’intervallo o scrivendo sul diario pensieri o slogan che esprimano il proprio mondo interiore, più o meno complesso.
Nelle classi dell’Istituto Professionale (ma succede anche negli altri indirizzi di studio della scuola secondaria superiore) presso cui attualmente insegno Italiano e Storia, capita spesso di trovarsi di fronte alunni così, che ritengono inutile lo studio di alcune materie perché “Il tornio gira anche senza Dante”, come ha esclamato qualche mese fa un mio studente.
La sfida allora, cui i docenti sono chiamati, è quella di aiutare i nostri ragazzi a comprendere che il ruolo della scuola non è quello informativo (in cui al momento risulterebbe perdente, visto il bombardamento di informazioni, per lo più non mediate, cui i nostri giovani sono sottoposti), ma formativo.
La scuola deve offrire a tutti la possibilità di formarsi innanzi tutto come esseri umani, uomini e donne che vivono, amano, pensano con la propria testa, cittadini responsabili e non solo e unicamente lavoratori.
La scuola, attraverso l’attività dei docenti, può e deve fornire modelli alternativi a quelli imperanti, trasmettendo il gusto per le emozioni vere (e non quelle ad esempio, mediate dall’uso di sostanze stupefacenti, sempre più diffuse, ahimè, tra le nostre giovani generazioni); insegnando a guardarsi dentro e a capire chi si è e ciò che si vuole veramente, senza farsi trascinare per noia o debolezza dalle cosiddette “cattive compagnie”.
In fondo, poi, chi sarebbero le “cattive compagnie”? Dovremmo chiedercelo, noi adulti, e spiegarlo anche ai nostri ragazzi: le “cattive compagnie” sono date dall’unione di chi si è perso, facendosi schiacciare e travolgere da modelli falsi, dai falsi valori imperanti, seguendo la logica del “tutto e subito” o del “perché no?” che ci circonda.
Così, se lo scopo è apparire, “avere”, piuttosto che “essere”, nulla più ha senso, nulla più è sacro. Ugualmente, chi ha ancora speranze, sogni, progetti, teme di essere un alieno, un “non adatto”.
Questo non si riferisce a tutti, naturalmente. Ci sono giovani, ragazzi e ragazze, che si dedicano ad attività di volontariato di diverso tipo, attività di cui vanno fieri, o che sono solidali con i loro compagni aiutandoli a fare i compiti o coinvolgendoli nei loro hobby.
I nostri ragazzi hanno bisogno di credere. Hanno bisogno di una società adulta che dia loro delle regole certe. Che dia loro una speranza per un futuro che sembra già perduto.
“Ai suoi tempi era diverso, era tutto più certo” mi è stato detto dai miei studenti di quarta, nel momento in cui li invitavo a studiare per sé stessi, per il gusto di imparare e, magari, anche per realizzare i propri progetti, i propri sogni.
C’è, nella maggior parte dei nostri ragazzi, tanto scetticismo, tanta rassegnazione, una sorta di disillusione diffusa, spesso maschera di una voglia di credere nonostante la mancanza di punti di riferimento solidi e precisi della società contemporanea.
Per questo oggi educare è così difficile. I nostri ragazzi hanno bisogno di modelli coerenti che siano loro di esempio. Non possiamo trasmettere loro messaggi ambigui, ambivalenti. Non possiamo pretendere che credano in ciò in cui noi non crediamo.
“Uno potrà essere laico fin che vuole, ma se nulla è sacro, se tutto è manipolabile, comprabile, vendibile, allora la vita nostra è molto precaria e non vale molto.”
Il docente deve trasmettere ideali, valori, insegnando ad accettare sé stessi e i propri limiti, in un impegno costante che porti alla valorizzazione di ciascuno degli studenti di cui si occupa.
Ciò significa ascoltare gli studenti, le loro ansie, le loro difficoltà; insegnare ad esprimere emozioni e a non vergognarsene; concretamente può anche significare, come mi è capitato qualche mese fa in una classe quarta, passare due ore a discutere sulle aspettative reciproche e ritrovarsi poi più solidali, uniti in un obiettivo comune che non è solo quello disciplinare, ma è soprattutto quello formativo.
Ascoltare, dunque. In una società che va di corsa e non è disposta a fermarsi ad ascoltare, i nostri ragazzi devono trovare nella scuola gli spazi per essere ascoltati (esigenza che il legislatore ha accolto con la legge 309/1990 e l’istituzione dei CIC, centri di informazione e consulenza, volta a prevenire il fenomeno delle tossicodipendenze) e ascoltare, scoprendo il gusto di essere, di sapere, di comunicare, arrivando ad apprezzare “quei beni di verità e umanità […] che possano aprire orizzonti e alimentare a lungo la vita, al di là dell’effimero”. "
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domenica 8 luglio 2018
Quelli del professionale
Quante volte è capitato di dover assistere all'autodenigrazione da parte degli studenti degli istituti professionali!
"Profe, non siamo al liceo, noi siamo del professionale!"
"Profe, è inutile, perde tempo, queste cose non le capiremo mai!"
"Profe, non siamo capaci, non riusciamo, profe, lasciamo perdere!!!"
Spesso, l'atteggiamento autodenigratorio è dettato dalla paura di imbattersi in un insuccesso, l'ennesimo della loro storia scolastica, fatta di frasi ascoltate da docenti o presunti tali che li hanno feriti, offesi con quelle che sarebbero dovute essere battute divertenti quali "Non capisci proprio niente!" oppure "Lo sapevo che non avresti capito nulla, la scuola non è proprio per te!".
A volte, invece, l'autodenigrazione è il tentativo di non impegnarsi, di bighellonare piuttosto che approfittare dell'opportunità di imparare che la scuola italiana, seppur malandata, può offrire.
In fondo, che gli studenti giochino al ribasso ci può anche stare.
Ciò che trovo inammissibile e assolutamente censurabile è invece l'atteggiamento di quegli insegnanti, di diverso ordine e grado, che di fronte alle difficoltà degli alunni degli istituti professionali esclamano: "Ma è chiaro che abbiamo difficoltà, sono i peggiori provenienti dalle elementari e dalle medie!"
Spiegatemi una cosa, cari colleghi che così vi esprimete. Peggiori si nasce o si diventa?
Troppo comodo insegnare a chi ha buone capacità e ottima volontà. Ma la sfida, come ci ha insegnato Don Milani, è insegnare a Gianni, non a Pierino del dottore.
"Se si perde loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. É un ospedale che cura i sani e respinge i malati." (Scuola di Barbiana: "Lettera a una professoressa", Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, I edizione 1967, pg. 20)
(Rielaborazione di un vecchio post pubblicato sulla piattaforma Splinder il 3 ottobre 2008 e postato su Sala Docenti il 27 ottobre 2012)
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sabato 7 luglio 2018
"Chiamami col tuo nome"
"<<Non parleremo mai più, io e te>> dissi, mentre scendevamo l'interminabile pendio, il vento tra i capelli.
<<Non dire così.>>
<<Lo so già. Ci limiteremo a chiacchierare. Chiacchierare, chiacchierare. Stop. E sai qual è la cosa più buffa? Che me lo farò bastare.>>
<<Ti è appena uscita una rima>> rimarcò.
Adoravo il modo in cui perdeva la pazienza con me."
(André Aciman: "Chiamami col tuo nome", Guanda, Milano, 2008, Tredicesima edizione febbraio 2018, pagina 96)
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mercoledì 5 luglio 2017
"Anche gli alberi bruciano"
"Questa estate ho imparato tante cose. La prima è che i nonni non si rapiscono, la seconda è che anche gli alberi bruciano, e non parlo della quercia, ma di alberi fatti di carne e sangue che legano generazioni e generazioni, alberi genealogici che crescono marci e divorano tutto, pure i loro stessi frutti. Ho imparato che la mela può cadere lontanissima dall'albero, così lontana da osservarlo bruciare mantenendo intatti i suoi semi, nonostante tutto.
Ho imparato che anche il dolore e la rabbia bruciano, proprio come l'amore. Ma lasciano dentro un marchio diverso."
(Lorenza Ghinelli: "Anche gli alberi bruciano", Rizzoli, Milano, 2017, pgg. 161 - 162)
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sabato 27 maggio 2017
Sogni rubati
Ci sono state alcune generazioni di giovani, quelli del '68 o degli anni successivi, che chiedevano per sé "l'impossibile", che difendevano "l'immaginazione al potere", che rovesciarono un sistema in nome di una libertà che esigevano per sé stessi, attaccando tutti i modelli sociali e familiari tradizionali.
In nome di quella libertà, molti, come l'aria, andavano, venivano, amavano, odiavano, mettevano al mondo figli di cui ugualmente rispettavano la libertà, tentanto di evitare che provassero frustrazioni, dispiaceri e brutture della vita quotidiana.
Quei figli, cresciuti come Narciso, secondo la definizione di Gustavo Pietropolli Charmet (in "Fragile e spavaldo - Ritratto dell'adolescente di oggi", Editori Laterza, Roma - Bari, 2008) si ritrovavano poi adolescenti, ovvero in un'età per definizione critica e complessa, sprovveduti e dunque fragili in una realtà che non si sentivano, e non si sentono, in grado di affrontare, spaventati e impauriti, dato che nessuno aveva fornito loro gli strumenti adeguati per affrontarla.
Così, i docenti di Lettere delle scuole superiori, se una ventina di anni fa, assegnando come prova di produzione testuale un racconto d'invenzione, si ritrovavano a leggere storie simpatiche, piene di curiosità e di gusto per la vita, con solo qualche eccezione in cui la vicenda narrata si concludeva drammaticamente, attualmente, assegnando lo stesso tipo di prova, si ritrovano a leggere nella stragrande maggioranza dei casi, storie con un finale tragico in cui il/la protagonista, solitamente in età adolescenziale, soccombe suicidandosi, vittima di bullismo e cyberbullismo.
Quasi ci si trova a pensare che chi voleva per sé un futuro radioso, quei giovani, diventati adulti, che sognavano l'impossibile, lo hanno rubato ai loro figli, strappando sogni, curiosità e fiducia nell'avvenire.
P.S. Questo post è dedicato a tutti i miei studenti, anche del passato, in particolare a chi so che passa di qui per leggere ciò che scrivo. Grazie, di cuore!
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sabato 13 maggio 2017
Le responsabilità degli adulti
Il Convegno Internazionale #Supereroi fragili.2017, svoltosi a Rimini il 5 e il 6 Maggio scorsi, ha evidenziato che le difficoltà degli adolescenti delle ultime generazioni sono dovute alle scelte educative adottate dagli adulti negli ultimi vent'anni.
Proprio quelle scelte che, in post pubblicato il 27 settembre 2007 e, successivamente, il 1° ottobre 2008, sul blog "Sala docenti", erano state da me stigmatizzate.
"Le responsabilità degli adulti"
Nei
Paesi occidentali, dalla metà degli anni Sessanta, per circa una decina d'anni,
i giovani rivendicarono per sé il diritto alla libertà e alla felicità.
Pensavano che potesse essere possibile costruire un mondo migliore, libero
dalle ipocrisie del mondo adulto tipiche della società borghese, parlavano di
fantasia al potere, scandivano slogan del tipo "Siamo realisti, vogliamo
l'impossibile", attaccavano duramente quelli che erano ritenuti i pilastri
della società borghese: lo Stato, la famiglia, la scuola.
Nel
frattempo crescevano, quei giovani, e in nome della libertà evocata per sé
mettevano su casa (o case) e famiglia (famiglie), mettevano al mondo figli che
venivano lasciati liberi di esprimere la propria creatività, fuori dalla
costrizione delle regole autoritarie del "sistema". E poi andavano,
venivano, liberi per il mondo perché la libertà è un bene primario. E anche la
scuola doveva essere libera: basta con il sapere rigido e codificato, basta con
la grammatica, meglio un corso di animismo o di cucina orientale.
Però...
Il
risultato, credo, sia sotto gli occhi di tutti.
Mi
limiterò ad effettuare un'analisi circoscritta a quello che quotidianamente,
come insegnante, vedo negli occhi dei miei studenti, senza moralismi e
pregiudizi.
I
nostri ragazzi sono soli, disorientati, disillusi.
Hanno
quindici anni e molti di loro ammettono di non avere né sogni, né speranze.
"Non
è più come ai suoi tempi!", ripetono spesso. "Lo vede, vanno avanti
solo i furbi!".
E
ancora: "Il vero amore non esiste", "Tutti vogliono
fregarti", "Non so cosa farò da grande e sinceramente non mi
interessa".
Appaiono
forti, tosti, ma sono fragilissimi, al punto che se trovano qualcuno disposti
ad ascoltarli gli rivelano tutti i loro dubbi, le loro paure, il loro senso di
inadeguatezza.
A
volte sono chiamati persino ad occuparsi delle vicende amorose di padri
farfalloni e di madri nevrotiche (o viceversa).
Dunque,
se sono così, è colpa loro o colpa di noi adulti che in nome della nostra
libertà abbiamo privato i nostri figli della libertà di crescere sereni ed
emotivamente equilibrati?
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giovedì 6 aprile 2017
Parlare al cuore
Da tempo, ormai, psicologi e pedagogisti sostengono che, per favorire l'apprendimento degli studenti, in particolare degli adolescenti, occorre che il docente parli al loro cuore, sia in grado, cioè, di incuriosirli, di emozionarli, di appassionarli, trasmettendo loro non solo i contenuti della sua disciplina ma il suo amore per la disciplina e per i contenuti che insegna.
Ciascuno di noi ha sperimentato quanto sia importante che i docenti stabiliscano un clima di apprendimento sereno, che stimoli la motivazione e, che, soprattutto, sia in grado di appassionare gli studenti, quasi seducendoli con la propria passione.
Parlare al cuore può farlo solo chi parla col cuore.
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sabato 25 marzo 2017
Angherie da bulli: le responsabilità degli adulti
C'è stato un periodo, una ventina di anni fa, in cui si tendeva a liberare le famiglie dalle loro responsabilità, attribuendo certi comportamenti giovanili alla cattiva influenza della società. La verità è che la società è data dalle persone che la costituiscono e se tra queste persone ci sono genitori che non educano i figli al rispetto di sé stessi e degli altri, ritenendo magari certi comportamenti solo innocenti ragazzate, non possiamo che aspettarci tali risultati. Quando tuttavia si verificano certi episodi, non si può non sottolineare la grave responsabilità degli adulti, lontani a volte da quel patto educativo che permette ai più giovani di crescere senza dover calpestare e umiliare coloro che si ritengono più deboli, nell'illusione di essere più forti.
Non si è più forti: si è solo dei deboli vigliacchi.
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lunedì 6 marzo 2017
Come in amore (e lo sostiene anche Galimberti!)
Leggo che Umberto Galimberti (http://wisesociety.it/incontri/umberto-galimberti-la-nostra-societa-ad-alto-tasso-di-psicopatia-non-e-adatta-a-fare-figli/) sostiene che la scuola può rimediare alle carenze affettive vissute in famiglia trasmettendo i suoi contenuti con passione, facendo leva sulle emozioni degli studenti ed insegnando loro ad appassionarsi.
Qualcosa del genere aveva già scritto Antonella Landi, in un suo articolo pubblicato il 10 settembre 2011 sulle pagine fiorentine del "Corriere della Sera" dedicate a "I quaderni della Profe", la sua rubrica settimanale, esprimendosi così: "A scuola è come in amore: bisogna essere in due a voler far funzionare il giochino.".
Altrimenti, avevo aggiunto io qualche tempo dopo, in occasione di una delle più memorabili sfuriate che mi sia capitato di fare agli studenti, diventa masturbazione. Masturbazione intellettuale, ma sempre masturbazione è.
In quell'occasione, loro, gli studenti, apprezzarono. Chiesero di scrivere la frase sulla lavagna.
Ci eravamo chiariti. Ci eravamo rappacificati.
Stavano seguendo attentamente, prendendo diligentemente gli appunti per prepararsi alla prossima verifica scritta. E anch'io procedevo in modo spedito e preciso, attenta ad ogni dubbio o richiesta che provenisse da loro.
Ci eravamo chiesti reciprocamente scusa e sembrava che nulla, in precedenza, fosse accaduto.
Proprio come succede dopo un litigio tra innamorati. Proprio come succede in amore.
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