venerdì 8 aprile 2016

Quelli che non si lasciano stare

Bruno e Freccia a Radio Raptus International – Quelli che non si lasciano stare 

Bruno: E’ sabato notte e in questo momento molti di voi avranno
            di meglio da fare che stare ad ascoltare noi alla radio…
            Molti avranno anche di peggio da fare… Molti se la stanno             spassando di sicuro, ma sono convinto che tanti di voi che, guarda caso, avranno diciotto - vent’anni sono lì che non si lasciano stare neanche a quest’ora di sabato.
             Io non so com’era avere diciotto - vent’anni negli anni ’50 o ’60. So cosa vuol dire, per me e per tanti che conosco, averli adesso. ‘Sto 1977 è un gran casino. C’è un gran movimento in  giro. Non so dire se è bello o brutto… però… però… è…veloce.
            Ci sono le bombe, c’è il movimento studentesco, ci sono le radio libere, ci sono i genitori che sempre di più sono come tu giuri che non sarai mai.
            Ci sono le utopie, ci sono le religioni… e ci sono, appunto, quelli che non si lasciano stare.
Freccia: … vuoi dire che tocca a me?
Bruno:  Secondo me sì.
             Ci sono i buchi. E in mezzo a tutto questo c’è il nostro bisogno di saperne di più. Stiamo viaggiando senza cartina… o con una cartina illeggibile.
             E secondo me è arrivato il momento che questa cartina ce la facciamo noi… E una volta fatta la facciamo circolare.
Freccia: Si dicono un sacco di stronzate sull’eroina.
Bruno:  Vero. Te ad esempio, come hai cominciato?
Freccia: Io mi sono lasciato cominciare… E’ stata una tipa a farmi provare. A me non sarebbe mai venuto in mente di infilarmi un ago in vena.
Bruno:  E perché hai lasciato che lei lo facesse?
Freccia:Probabilmente quella volta più che chiedermi “perché” mi
             sono chiesto “perché no?”.
Bruno:  E com’è stato?
Freccia: Be’, quella volta lì bellissimo. Mi è arrivata una gran botta
              e sono sparite di colpo tutte le stronzate. Un gran calore e poi… come tanti orgasmi che provavo tutt’insieme lungo la              schiena, sulle gambe, dappertutto.
Bruno:  E poi?
Freccia: E poi ho fatto come fanno tutti, cioè mi sono detto: mi
             buco una volta o due ancora, tanto smetto quando mi pare.
Bruno:  Ed è andata così?
Freccia: No, mi sa che non va mai così. Io, almeno, dopo un paio
             di volte c’ero dentro.
Bruno:   Cioè?
Freccia: (un po’ secco) Cioè… cioè devi rubare hai capito? Perché
              non te la regala nessuno, capito?                Comunque
              dopo un po’ smette anche di darti piacere. Però stai male
              se non ti buchi, allora  ti fai solo per essere normale. Comunque alla fine diventa una cosa tra te e lei. Il resto non conta più un cazzo.
Bruno:    Come sei riuscito a smettere?
Freccia:  Cagandomi addosso.    Cagandomi addosso, con lo
              stomaco che mi si spaccava e il cuore a mille. Gran botte
              di caldo e poi di freddo e una paura bestia di morire di  
             dolore. Ho passato dieci giorni in un letto che continuavo a
             sporcare e che una persona continuava a   pulire. Se non
             era per lei sicuramente non ne venivo fuori.
             Però sai, non so se posso dire di avere proprio smesso.
             Cioè, sì! Da qualche mese non mi faccio più però forse è
             meglio se non ci penso troppo.
Bruno:  E adesso pensi che valesse la pena chiedersi quel
            “perché no?” la sera che hai fatto il primo buco?
Freccia: Questa è una domanda del cazzo.
Bruno: E allora su questa domanda del cazzo chiudiamo “Ora
            d’aria”. Stanotte abbiamo parlato di buchi. O meglio dei
            buchi che si è fatto uno. Non sappiamo se è così per tutti
            ma adesso, forse, ne sappiamo un po’ di più. Buonanotte.


 (Brani tratti da: “Antonio Leotti – Luciano Ligabue: “Radiofreccia”, Fandango Libri, 1999, pgg. 117, 118, 121)



Nessun commento:

Posta un commento