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domenica 24 aprile 2022

Amori difficili

 

"Forse passerà [...] una mattina, a salutare. Solo a salutare, niente di importante. Non servirebbe a niente comunque, perché lei lo sa benissimo, lo sa bene quanto lui che è l'amore, imperfetto e disordinato, a tenerli separati, proprio mentre in qualche modo li unisce [...]."

La citazione, tratta dal romanzo "Gente senza storia" di Judith Guest (Traduzione di Masolino d'Amico, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1977, pg. 277; da questo romanzo è stato tratto il film di Robert Redford  "Gente comune" del 1980), si riferisce alle difficoltà relazionali tra una madre e un figlio coinvolti in una tragedia familiare, ovvero la morte del figlio primogenito, amatissimo dalla madre e modello di riferimento per il fratello. Evidenzia la necessità, in alcuni casi, di rimanere lontani, anche se ci si vuole bene, perché restando vicini si soffrirebbe troppo.


E' una situazione che può riguardare non solo le relazioni tra madri e figli, ma tutte le tipologie di relazione, comprese quelle amicali.

L'amore verso gli altri non è sempre lineare, chiaro, perfetto.

A volte è complicato, doloroso, difficile. Al punto da richiedere una separazione, per evitare di continuare a farsi del male.

sabato 28 dicembre 2019

Il pianto di Rachele e la strage degli innocenti: le responsabilità degli adulti

Muoiono. Cadono sulle strade, impregnate del loro sangue, spesso nei fine settimana, all'alba di una domenica mattina, al termine di una notte da sballo, fatta non più solo di luci stroboscopiche e musica ad altissimo volume ma spesso di pasticche a basso costo e di facile consumo e fiumi di alcol, e corse in automobile e rincorse alla ricerca di un senso di questa vita, di questa storia "anche se questa storia un senso non ce l'ha" come canta Vasco.
Spesso hanno tra i 15 e i 25 anni. Giovani, giovanissimi, che a volte non hanno nemmeno fatto in tempo a diventare anagraficamente adulti.
E noi, adulti attoniti, versiamo lacrime e imprechiamo contro un destino crudele e una società violenta, sbagliata, ingiusta.
Così, spesso, dimentichiamo, noi adulti, che la società è l'insieme di noi tutti.
Noi tutti che abbiamo accettato di rendere facile ciò che un tempo era proibito (anche se lo si faceva ugualmente), che abbiamo disimparato a dire "No", nell'illusione di rendere la vita più facile, senza complicazioni, senza traumi, senza difficoltà.
E invece il bello della vita sta proprio nello sfidarla, nel superare gli ostacoli, nell'affrontare le difficoltà e vincerle. 
Sembra che l'abbiamo dimenticato, noi adulti. Così, ai più giovani, non resta che cercare la sfida: nell'auto lanciata a gran velocità, nella nebbia di un cervello impasticcato, nella giostra di incontri sessuali consumati come un drink. Incapaci di emozioni, perché le emozioni vanno apprese e vanno insegnate, anche se fanno paura, anche se fanno male, anche se rendono fragili ed insicuri, come fragile ed insicura è l'umanità tutta.
Riappropriamoci delle emozioni. Riappropriamoci del pianto, non quello della sofferenza e del dolore di Rachele che piange per le vittime di una cultura falsa e illusoria, ma del pianto di gioia, quello di Filumena Marturano che scopre per la prima volta la forza e la bellezza dell'amore.

sabato 26 gennaio 2019

"Essere felici - Il cinema insegna"

“Io penso che la felicità è quando ti vai a prendere quello che c’è di grande nella vita, anche se devi superare tantissimi ostacoli e difficoltà. Quindi la felicità è una cosa che se proprio la vuoi te la devi andare a prendere. A questa cosa ci penso molto spesso, perché io delle volte mi sento solo e disperato, ma altre volte sento proprio di essere felice.
E non ho detto allegro, contento, sereno, ho proprio detto felice!
Di solito però gli altri, le persone normali, vogliono che stai in difesa, che fai catenaccio, è come se non ci credono che ci sono le cose grandi da andarsi a prendere in attacco. In difesa uno soffre meno, ma non so se può davvero essere felice.
[…] Una cosa molto importante per essere felici sono le persone speciali, una persona speciale è quella che ti fa capire che in attacco ci sono le cose grandi e che stare in difesa è un peccato. Oppure sei tu che gli fai capire che in attacco ci sono le cose grandi e allora sei molto felice di farglielo capire.

Io ci provo ad essere felice, costi quello che costi. Certo, mica si può essere felici di tutto, però forse basta esserlo di qualcosa, che poi quel qualcosa illumina tutto il resto… e siamo salvi.” (Tratto dalla sceneggiatura del film “Banana” di  Andrea Jublin. Italia, 2015)


mercoledì 10 ottobre 2018

Per sempre

Giura che lo ama. 

Che resteranno insieme per sempre. 

Che da quando lo ha incontrato, la sua vita ha avuto, finalmente, un senso.

Hanno festeggiato il loro anniversario con un video pubblicato su un social network, affinché tutti sapessero dell'importanza del loro amore.
Ho sorriso e ho provato tenerezza e timore guardando quel video. Loro hanno 16 anni.
Io quasi 60.
E ho imparato che gli amori giovanili spesso svaniscono, con la stessa immediatezza con cui sono nati.
(Rielaborazione di un vecchio post già pubblicato sulla piattaforma Splinder)

sabato 7 luglio 2018

Il cuore non basta

"Figli si nasce, genitori no." recitava uno slogan di una trentina di anni fa. L'esperienza genitoriale, da sempre sfidante, è diventata parecchio complessa soprattutto negli ultimi decenni. Non bastano l'intuito e l'amore di una madre e di un padre per evitare di commettere errori gravissimi nel crescere i propri figli. Gli studi specifici hanno dimostrato e dimostrano con sempre più precisione quanto possano influire ed essere deleteri i comportamenti dei genitori sullo sviluppo di ciascun figlio. La cui educazione, di fatto, inizia già nel momento del concepimento. L'idea che i genitori si fanno della creatura che sta per nascere comincerà già ad influire su ciò che quella creatura diventerà. 
Forse sarebbe il caso che i futuri genitori e i genitori stessi seguissero corsi specifici di aggiornamento per imparare ad essere genitori. Genitori si diventa e si impara ad esserlo studiando, leggendo testi specifici. Perché tutto l'amore del mondo e l'intuito di una madre e di un padre non bastano più.



venerdì 6 luglio 2018

Il piacere della collaborazione: un ritorno alle origini

"PENSIERI, COMMENTI E IDEE IN LIBERTA'
Le sale insegnanti non sono tutte uguali: in alcune, come quella in cui noi della redazione ci siamo incontrati, si parla di tutto, ci si confronta e nascono ottime collaborazioni che rendono piacevole lo stare a scuola. In questo blog vogliamo ricreare virtualmente il clima di quella sala docenti: uno spazio per confrontarsi e far sentire la propria voce, una sorta di redazione o di radio libera simile a quelle degli anni Settanta, quelle libere veramente." 
Con queste parole, nel settembre 2007, era stato inaugurato il blog "Sala Docenti". L'idea era quella di mettere a confronto opinioni e pensieri diversi, che partissero, ma non necessariamente, dal mondo della scuola, e si estendessero poi alle diverse situazioni della vita quotidiana. Il blog avrebbe dovuto prevedere la collaborazione di più persone, insegnanti, ma anche genitori e studenti. Di fatto, poi, solo Cristina, la collega con cui ho condiviso momenti importanti della mia vita professionale, e non solo, è sempre stata un'ottima e preziosa collaboratrice, arricchendo con le sue riflessioni le pagine di "Sala Docenti". 
La collaborazione è sempre preziosa e rende indubbiamente più ricca la riflessione, la discussione e il confronto.
Per questo, anche #Sala Docenti vuole riprovarci, con una sorta di ritorno alle origini. L'input a farlo, devo riconoscerlo e gliene sono grata, è partito da Diego, uno dei miei ex studenti.
Così, da oggi, questo blog diventerà una redazione cui collaboreranno voci diverse. Perché solo insieme si cresce davvero.

lunedì 2 luglio 2018

L’ENIGMA CHE SIAMO


"<< Ho passato trent’anni a scavare nelle coscienze, nel grande mistero dell’uomo, >> mi confida un neuropsichiatra << ma le zone buie sono ancora molto più vaste di quelle che mi pare d’avere rischiarato.  Un giorno viene da me un uomo con il braccio destro paralizzato. Era una paralisi isterica, non provocata da un trauma, da un incidente, ma da un’alterazione di nervi. L’avevano già curato alcuni miei colleghi, senza risultato. Decido di trattarlo con l’ipnosi. Tanto per spiegarmi con te, che di medicina non sai niente, ti dirò che volevo convincerlo, sotto il trattamento d’ipnosi, a rendersi conto che il braccio non era malato e che, per recuperarlo, sarebbe bastato trasmettergli l’ordine di muoversi. Così è stato infatti. Una guarigione rapida, quasi miracolosa. Il mio cliente guardava muoversi il suo braccio e piangeva per l’emozione. Bene, neanche dieci giorni dopo quell’uomo timido e quieto va a casa, apre il cassetto in cucina, prende un coltello con venti centimetri di lama e lo pianta nel ventre della moglie. Hai capito che cosa era successo? >>
Rispondo di no, che non ho capito niente, che mi sembra solo il delitto di un pazzo. << Eh no, >> riprende il medico << la faccenda è più complessa. Quell’uomo da tempo odiava la moglie e nell’inconscio aveva già stabilito di ucciderla. La paralisi era stata, senza che lui lo sapesse, la sua difesa. Insomma, il delitto gli ripugnava, ma, terrorizzato dal pensiero di poterlo compiere in un momento di follia, aveva bloccato con la paralisi il braccio destro. Ed ora, recuperato il braccio, tolto il freno che la coscienza gli aveva misteriosamente imposto, aveva ucciso. Vedi che enigma siamo? >>”
 Vittorio Buttafava: "La fortuna di vivere - Taccuino", Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1982, Pagg. 79 - 80 (Prima Edizione: Rizzoli Editore, Milano, 1981) 

"Abbiamo dentro, tutti, una ferita piccola o grande che non osiamo scoprire, che ci farebbe gridare di dolore solo a sfiorarla. Meglio lasciarla lì, nel silenzio, in attesa che diventi una cicatrice."
Vittorio Buttafava: "Una stretta di mano e via", Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1978, Pag. 30 (Prima Edizione: Rizzoli Editore, Milano, 1976) 


"Forse passerà [...] una mattina, a salutare. Solo a salutare, niente di importante. Non servirebbe a niente comunque, perché lei lo sa benissimo, lo sa bene quanto lui che è l'amore, imperfetto e disordinato, a tenerli separati, proprio mentre in qualche modo li unisce [...]."
La citazione, tratta dal romanzo "Gente senza storia" di Judith Guest (Traduzione di Masolino d'Amico, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1977, pg. 277), si riferisce alle difficoltà relazionali tra  una madre e un figlio coinvolti in una tragedia familiare, ovvero la morte del figlio primogenito, amatissimo dalla madre e modello di riferimento per il fratello. Evidenzia la necessità, in alcuni casi, di rimanere lontani, anche se ci si vuole bene, perché restando vicini si soffrirebbe troppo.
E' una situazione che può riguardare non solo le relazioni tra madri e figli, ma tutte le tipologie di relazione, comprese quelle amicali.
L'amore verso gli altri non è sempre lineare, chiaro, perfetto. 
A volte è complicato, doloroso, difficile. Al punto da richiedere una separazione, per evitare di continuare a farsi del male.




venerdì 29 giugno 2018

"Il Monti" e i buoni maestri

La mia insegnante di italiano del liceo mi chiamava così: "il Monti".
"Chiediamo al "Monti"" diceva, rivolgendosi ironicamente a me.
Sosteneva che fossi una voltagabbana, pronta a salire sempre sul carro del vincitore, proprio come l'illustre letterato che lei detestava.
Non ero e non sono una voltagabbana. E quel soprannome mi indignava molto.
Rivendicavo e rivendico il diritto di cambiare opinione e pretendo di non essere condizionata dal gruppo di appartenenza. Rivendicavo e rivendico il diritto di essere un "cane sciolto".
Fanno paura i cani sciolti. Liberi, senza un padrone, chi può controllarne le gesta dato che non sono addomesticati? Meglio chiamare subito l'accalappiacani.
O umiliarli, insultarli, degradarli.
Come faceva la mia insegnante maonista (e forse anche un po' stalinista).
Aveva uno sguardo imperscrutabile. Noi studenti, però, durante le interrogazioni, quando ci guardava avevamo l'impressione che pensasse: "Questo qui è proprio scemo!".
Non sono mai riuscita a capire che cosa realmente pensasse di me finchè un giorno, all'inizio del terzo liceo, restituendomi il compito su Manzoni in cui mi aveva dato "cinque e mezzo", mi chiese:
"Che cosa è successo? Ti ho trovato davvero poco ispirata! Non è il tuo solito tema, non è la tua scrittura".
Le risposi che Manzoni non mi piaceva per niente.
Quel voto, in effetti, era il voto più basso che lei avesse mai assegnato a un mio tema. Di solito prendevo tra il sei e il sette. Mai di più. Oltre il sette e mezzo o l'otto (appannaggio esclusivo della più brava della classe) lei non andava mai.
Quel giorno pensai che, in fondo, le piaceva come scrivevo.
La sorpresa piacevole arrivò solo agli esami di maturità. Mi guardò fiera mentre il presidente della commissione, un insegnante di italiano, si complimentò con me per aver svolto uno dei migliori temi di letteratura tra tutti gli studenti dell'istituto.
Era il 14 luglio del 1980.
Da allora non ho più visto la mia insegnante del liceo.
Mi ha "fatto tribolare", come sono soliti dire i miei attuali studenti, ma io le sono davvero grata. Mi ha insegnato tanto. L'ho apprezzata, stimata, adorata.
Ancora, nei primi anni di insegnamento, soprattutto quando mi erano state assegnate delle classi difficili, sognavo spesso di entrare in classe e scoprire di essere ancora al liceo e di dover essere interrogata da lei, dalla mia insegnante di italiano.
Che mi aveva insegnato ad essere forte, proprio con la sua ironia. Mi aveva insegnato a credere e a difendere le mie opinioni. A costo di essere ridicolizzata.

mercoledì 6 giugno 2018

Dimostrami di amarmi

Alessio (il nome è fittizio ma la vicenda è reale), 17 anni, durante uno di quei momenti di confessione che a scuola accadono tra studenti e docenti, rivela che non sa più quale espediente escogitare per catturare l'attenzione dei suoi genitori che, a suo dire, non lo considerano affatto.
"Per loro è come se non esistessi. Di me, a loro, non importa nulla. Mi lasciano libero di andare dappertutto senza chiedermi nulla. Affermano che lo fanno per rispettare la mia libertà. Secondo me lo fanno per rispettare la loro libertà. Non si preoccupano affatto di me. Io, per catturare la loro attenzione, ho fatto di tutto, sono rientrato a casa di notte sempre più tardi. Mai un rimprovero, mai. Niente. Per loro non esisto."
Riflettano quei genitori che, come quelli di Alessio, hanno dimenticato che il loro ruolo non è quello di essere amici e complici dei loro figli ma quello di educare, indicare un modello di vita, trasmettere sogni, passioni, definire regole e farle rispettare. 
L'adolescente, per crescere, ha bisogno  di sfidare regole e limiti per sentirsi vivo e per dare un senso a ciò che vive. Ma se i limiti e le regole non esistono più, i più giovani si sentiranno sempre più soli, sempre più vuoti, sempre meno amati.

martedì 22 maggio 2018

22 maggio: "Lacrime nerazzurre"

Il 22 Maggio il calendario festeggia Santa Rita da Cascia, la santa dei Casi impossibili.
Otto anni fa, per chi tifa Inter, qualcosa che alla vigilia poteva sembrare impossibile, accadde.
Accadde a Madrid, la sera del 22 Maggio 2010. 

Due giorni dopo, il 24 Maggio, sul blog "La panchina in cima al monte" pubblicai "Lacrime nerazzurre".

"Le lacrime del Capitano, quelle del Chucu, dello Special One, del Principe, di coloro che sugli spalti piangevano di gioia per un'emozione attesa per decenni, un sogno che sembrava dover rimanere tale ed invece diventava realtà in una splendida serata di maggio.
Le mie lacrime di gioia per questa squadra che ho imparato ad amare in età adulta, seguendo il fratello che, lui sì, l'aveva scelta fin da bambino. A me l'Inter era piaciuta perché soffriva, perché ci provava e non vinceva, perché inseguiva un sogno. Mi piaceva pensare che quel sogno si sarebbe realizzato e che la sofferenza, tanta, si sarebbe trasformata in una felicità intensa, indescrivibile, fortissima.
Una felicità maturata dopo anni di sfottò, di delusioni e sconfitte cocenti, di lacrime di amarezza, il derby perso 6 a 0, il 5 maggio 2002, l'esclusione dalla Champions a favore del Milan senza aver mai perso, i  "Non vincete mai!", i cori come "Interista chiacchierone bravo sotto l'ombrellone ... [... ] e come l'anno scorso e come l'anno prima [...]", "Interista diventi pazzo!" e quant'altro.
Eppure ci credevo davvero, lo sentivo nel profondo del cuore che sarebbe capitato. Perché ero convinta anch'io, con Jim Morrison, che "A volte il vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato".
Così, mentre continuo a piangere di gioia, penso che sia valsa la pena sopportare tanta sofferenza per provare, adesso, il dolce sapore del trionfo."

https://vimeo.com/11960846?ref=fb-share&1

lunedì 7 maggio 2018

Emozionarsi, ancora. Anche a scuola.






“Un po’ di coraggio e tanta passione” : sono questi i due ingredienti richiesti per iniziare un programma di Didattica delle emozioni®, il format promosso da Ulisse Mariani e Rosanna Schiralli per sviluppare l’intelligenza emotiva e favorire il benessere a scuola.
Affrontare e gestire le proprie emozioni, da parte soprattutto delle  giovani generazioni che si ritrovano a vivere il vuoto della mancanza di desiderio, soffocate da una quantità di beni materiali e di relazioni virtuali che non possono appagare i più autentici bisogni di vicinanza, intimità, conferma, riconoscimento e sicurezza dell’essere umano, appare, in un’epoca come l’attuale, una vera e propria necessità al fine di affrontare e/o prevenire situazioni di scarsa attenzione e motivazione, apatia, aggressività che sempre più manifestano il malessere e il disagio degli alunni.
La Didattica delle emozioni® consiste nell’introdurre nella consueta azione didattica una serie di procedure, tecniche e strategie atte a sviluppare negli alunni, fin dalla scuola dell’infanzia, la capacità di individuare, gestire e modulare nel modo più opportuno le proprie emozioni.
L’applicazione del format non costituisce un aggravio di impegno per il docente né interferisce con la normale attività didattica; favorisce invece, come sperimentazioni e misurazioni successive su campioni di alunni molto vasti hanno dimostrato, lo sviluppo delle competenze emotive degli alunni, tanto più significative quanto minore è l’età degli alunni stessi.
Rilevante risulta il coinvolgimento del Dirigente Scolastico, dei docenti dell’Istituto e dei genitori con cui va condivisa la validità del format, al fine di una diffusione dello stesso.
L’applicazione delle tecniche proposte dal format ha trovato sempre, laddove sperimentato,  una buona accoglienza tra gli alunni che hanno avuto l’opportunità di esprimere sé stessi e il proprio mondo interiore, sentendosi ascoltati e protagonisti. Proprio per questo è importante che una volta intrapreso, il percorso venga portato avanti almeno fino alla fine dell’anno scolastico per evitare di deludere le aspettative degli alunni stessi.





lunedì 17 luglio 2017

Lezioni di vita: la montagna insegna

La montagna insegna che 
- dopo una salita c'è sempre una discesa (e viceversa)
- passo dopo passo si raggiungono anche le mete più ambiziose
- raggiungere la meta costa fatica e sacrificio ma ne vale, comunque, sempre la pena.


mercoledì 5 luglio 2017

"Anche gli alberi bruciano"

"Questa estate ho imparato tante cose. La prima è che i nonni non si rapiscono, la seconda è che anche gli alberi bruciano, e non parlo della quercia, ma di alberi fatti di carne e sangue che legano generazioni e generazioni, alberi genealogici che crescono marci e divorano tutto, pure i loro stessi frutti. Ho imparato che la mela può cadere lontanissima dall'albero, così lontana da osservarlo bruciare mantenendo intatti i suoi semi, nonostante tutto.
Ho imparato che anche il dolore e la rabbia bruciano, proprio come l'amore. Ma lasciano dentro un marchio diverso."
(Lorenza Ghinelli: "Anche gli alberi bruciano", Rizzoli, Milano, 2017, pgg. 161 - 162)


lunedì 22 maggio 2017

Bullismo e violazione del diritto di esistere

<<Il bullismo è terribile, ed è uno. Prende di mira persone a cui appiccica etichette diverse, ma parte da un unico terribile principio: la negazione del diritto all'esistenza di tutto quello che non viene considerato "normale", secondo parametri molto spesso non decisi dai ragazzi stessi, ma ritenuti indiscutibili, diffusi nella società, avvalorati dai discorsi degli adulti, dalle loro parole, sostenuti dalle rappresentazioni e dalle stigmatizzazioni che anche dal punto di vista politico si fanno di tutto ciò che è ritenuto - per vari motivi - differente dalla norma.>> (Ivan Cotroneo - Febbraio 2016 - "Un bacio - dal racconto al film" in Ivan Cotroneo: "Un bacio", Bompiani, 2016, pgg. 97 - 98)

lunedì 1 maggio 2017

"Un uomo" da ricordare

ORIANA FALLACI: “UN UOMO”, Rizzoli, Milano, 1979
(Pgg. 11,12, 17, 456, 457)

Un ruggito di dolore e di rabbia si alzava sulla città, e rintronava incessante, ossessivo, spazzando qualsiasi altro suono, scandendo la grande menzogna. Zi, zi, zi! Vive, vive, vive! […] Alle due del pomeriggio erano cinquecentomila, alle tre un milione, alle quattro un milione e mezzo, alle cinque non si contavano più. […] Il popolo insomma. Quel popolo che fino a ieri t’aveva scansato, lasciato solo come un cane scomodo, ignorandoti quando dicevi non lasciatevi intruppare dai dogmi, dalle uniformi, dalle dottrine, non lasciatevi turlupinare da chi vi comanda, da chi vi promette, da chi vi spaventa, da chi vuole sostituire un padrone con un nuovo padrone, non siate gregge perdio, non riparatevi sotto l’ombrello delle colpe altrui, lottate, ragionate col vostro cervello, ricordate che ciascuno è qualcuno, un individuo prezioso, responsabile, artefice di se stesso, difendetelo il vostro io, nocciolo di ogni libertà, la libertà è un dovere, prima che un diritto è un dovere. Ora ti ascoltavano, ora che eri morto. […] Mi toglieva il respiro […] la certezza che tutto ciò non sarebbe durato che un giorno, poi il ruggito si sarebbe spento, il dolore si sarebbe dissolto nell’indifferenza, la rabbia nell’ubbidienza, e le acque si sarebbero placate morbide molli obliose sul gorgo della tua nave affondata: il Potere avrebbe vinto ancora una volta. L’eterno Potere che non muore mai, cade sempre per risorgere dalle sue ceneri, magari credi di averlo abbattuto con una rivoluzione e invece rieccolo, intatto, diverso nel colore e basta, qua nero, là rosso, o giallo o verde o viola, mentre il popolo accetta o subisce o si adegua. Per questo sorridevi quel sorriso impercettibile, amaro e beffardo? […]

Ma più scappavo, più lo rifiutavo, più il maledetto ruggito mi inseguiva con l’eco del ricordo, del dubbio, quindi della speranza, consolandomi e perseguitandomi come il tic-tac di un orologio senza lancette. Vive, vive. Vive, vive. Vive, vive. […] Sicché, a un certo punto, cominciai a dirmi che forse era vero. E, se non era vero, bisognava fare qualcosa perché sembrasse vero o diventasse vero.

*  *  *

Fu così che viaggiando per sentieri ora limpidi e ora foschi di nebbia, ora aperti al passaggio e ora ostruiti da rovi e liane, le due facce della vita senza le quali non esisterebbe la vita, ricalcando piste a me note perché le avevamo tracciate insieme o quasi ignote perché le conoscevo esclusivamente attraverso gli episodi che mi avevi narrato, andai alla ricerca della tua fiaba. La solita fiaba dell’eroe che si batte da solo, preso a calci, vilipeso, incompreso. La solita storia dell’uomo che rifiuta di piegarsi alle chiese, alle paure, alle mode, agli schemi ideologici, ai principii assoluti da qualsiasi parte essi vengano, di qualsiasi colore si vestano, e predica la libertà. La solita tragedia dell’individuo che non si adegua, che non si rassegna, che pensa con la propria testa, e per questo muore ucciso da tutti. Eccola, e tu mio unico interlocutore possibile, laggiù sottoterra, mentre l’orologio senza lancette segna il cammino della memoria.

*  *  *


E così, mentre accadevano altre cose leggiadre, […] mentre Papandreu adottava il tuo cadavere come si adotta un orfanello indifeso e lo sbandierava come un cencio in comizi mentre i tuoi amici e compagni finivano in blocco con lui in cambio d’una bella poltroncina in Parlamento; […] mentre anch’io venivo minacciata con lettere e telefonate, prova-a-scrivere-certe-cose-e-vedrai; stampa-il-tuo-libro-e-vedrai; mentre il popolo accettava questo, di nuovo, subiva questo, di nuovo, cieco e sordo e zitto, di nuovo, piegato di nuovo all’obbedienza o alla convenienza o all’impotenza; mentre nessuno osava dire assassini tutti, a destra a sinistra al centro, lo avete ammazzato tutti insieme, lerci assassini […], il Potere vinse ancora una volta. L’eterno Potere che non muore mai, che cade solo per risorgere, uguale a se stesso, diverso solo nella tinta. Ma tu lo avevi ben capito che sarebbe finita a quel modo e, se mai avesti un dubbio, esso svanì nell’attimo in cui tirasti il respiro profondo che ti succhiava dall’altra parte del tunnel: nel pozzo dove vengono puntualmente gettati coloro che vogliono cambiare il mondo, abbattere la Montagna, dare voce e dignità al gregge che bela dentro il suo fiume di lana. I disubbidienti. I solitari incompresi. I poeti. Gli eroi delle fiabe insensate ma senza le quali la vita non avrebbe alcun senso, e battersi sapendo di perdere sarebbe pura follia. Tuttavia per un giorno, quel giorno che conta, che riscatta, che viene magari quando non si spera più, […] lo capì anche il gregge che bela dentro il suo fiume di lana. Non più gregge, quel giorno, ma piovra che strozza e ruggisce zi, zi, zi! Alekos zi, zi, zi! Alekos vive, vive, vive! Ecco perché sorridevi tanto misteriosamente ora che calavi dentro la fossa dove il Gran Sacerdote coperto di ori e collane, zaffiri smeraldi rubini, simbolo di ogni potere presente e passato e futuro, ruzzolava grottesco, rompendo il cristallo, calpestando la statua di marmo, credendo che soltanto quella restasse di un sogno, di un uomo.

mercoledì 26 aprile 2017

Lentamente muore

Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che
fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore
davanti all’errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia
aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o
della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non
risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere
vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto
di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una 
splendida felicità.

" [...] Lentamente muore chi non capovolge il tavolo [...]"
Ricordo che qualche anno fa alcuni dei miei alunni erano rimasti particolarmente colpiti da questo verso tratto da "Lentamente muore". Avevamo imbastito in proposito una lunga discussione.
L'intera poesia era piaciuta molto. Una poesia attribuita, sul loro manuale scolastico, a Pablo Neruda.
Quando, successivamente, ho comunicato agli studenti che il testo della poesia non è stato scritto da Pablo Neruda ma da Martha Medeiros, " E' comunque bella!" hanno commentato alcuni mentre altri hanno sottolineato che:
a) anche i libri di testo possono contenere degli errori;
b) tutte le conoscenze possono essere messe in discussione;
c) "Lentamente muore [...] chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" / piuttosto che un insieme di emozioni [...]".
In queste situazioni gli studenti sono straordinari...


lunedì 6 marzo 2017

Come in amore (e lo sostiene anche Galimberti!)

Leggo che Umberto Galimberti (http://wisesociety.it/incontri/umberto-galimberti-la-nostra-societa-ad-alto-tasso-di-psicopatia-non-e-adatta-a-fare-figli/) sostiene che la scuola può rimediare alle carenze affettive vissute in famiglia trasmettendo i suoi contenuti con passione, facendo leva sulle emozioni degli studenti ed insegnando loro ad appassionarsi.

Qualcosa del genere aveva già scritto Antonella Landi, in un suo articolo pubblicato il 10 settembre 2011 sulle pagine fiorentine del "Corriere della Sera" dedicate a "I quaderni della Profe", la sua rubrica settimanale, esprimendosi così: "A scuola è come in amore: bisogna essere in due a voler far funzionare il giochino.".


Altrimenti, avevo aggiunto io qualche tempo dopo, in occasione di una delle più memorabili sfuriate che mi sia capitato di fare agli studenti, diventa masturbazione. Masturbazione intellettuale, ma sempre masturbazione è.



In quell'occasione, loro, gli studenti, apprezzarono. Chiesero di scrivere la frase sulla lavagna.
Ci eravamo chiariti. Ci eravamo rappacificati.
Stavano seguendo attentamente, prendendo diligentemente gli appunti per prepararsi alla prossima verifica scritta. E anch'io procedevo in modo spedito e preciso, attenta ad ogni dubbio o richiesta che provenisse da loro.
Ci eravamo chiesti reciprocamente scusa e sembrava che nulla, in precedenza, fosse accaduto.



Proprio come succede dopo un litigio tra innamorati. Proprio come succede in amore.

domenica 8 maggio 2016

Le altre madri

E poi ci sono le altre madri.
Quelle di cui non si parla mai, men che meno nel giorno della Festa della Mamma.
Le madri che sono diventate tali loro malgrado, che mai avrebbero voluto esserlo e che vivono o hanno vissuto con disagio, fastidio e sofferenza il loro essere madri.
Quelle che hanno abbozzato, quelle che si sono ribellate, quelle che sono o sono state madri cattive o indifferenti o fredde o crudeli.
E' l'altra faccia della medaglia di una condizione dell'essere che è esaltata, forse in modo eccessivo. 
"Essere mamma non è un mestiere. Non è nemmeno un dovere. E' solo un diritto fra tanti diritti. Faticherai tanto a urlarlo. E spesso, quasi sempre, perderai." (Oriana Fallaci: "Lettera a un bambino mai nato", Rizzoli Editore, Milano, 1975, pagina 13).

venerdì 8 aprile 2016

Quelli che non si lasciano stare

Bruno e Freccia a Radio Raptus International – Quelli che non si lasciano stare 

Bruno: E’ sabato notte e in questo momento molti di voi avranno
            di meglio da fare che stare ad ascoltare noi alla radio…
            Molti avranno anche di peggio da fare… Molti se la stanno             spassando di sicuro, ma sono convinto che tanti di voi che, guarda caso, avranno diciotto - vent’anni sono lì che non si lasciano stare neanche a quest’ora di sabato.
             Io non so com’era avere diciotto - vent’anni negli anni ’50 o ’60. So cosa vuol dire, per me e per tanti che conosco, averli adesso. ‘Sto 1977 è un gran casino. C’è un gran movimento in  giro. Non so dire se è bello o brutto… però… però… è…veloce.
            Ci sono le bombe, c’è il movimento studentesco, ci sono le radio libere, ci sono i genitori che sempre di più sono come tu giuri che non sarai mai.
            Ci sono le utopie, ci sono le religioni… e ci sono, appunto, quelli che non si lasciano stare.
Freccia: … vuoi dire che tocca a me?
Bruno:  Secondo me sì.
             Ci sono i buchi. E in mezzo a tutto questo c’è il nostro bisogno di saperne di più. Stiamo viaggiando senza cartina… o con una cartina illeggibile.
             E secondo me è arrivato il momento che questa cartina ce la facciamo noi… E una volta fatta la facciamo circolare.
Freccia: Si dicono un sacco di stronzate sull’eroina.
Bruno:  Vero. Te ad esempio, come hai cominciato?
Freccia: Io mi sono lasciato cominciare… E’ stata una tipa a farmi provare. A me non sarebbe mai venuto in mente di infilarmi un ago in vena.
Bruno:  E perché hai lasciato che lei lo facesse?
Freccia:Probabilmente quella volta più che chiedermi “perché” mi
             sono chiesto “perché no?”.
Bruno:  E com’è stato?
Freccia: Be’, quella volta lì bellissimo. Mi è arrivata una gran botta
              e sono sparite di colpo tutte le stronzate. Un gran calore e poi… come tanti orgasmi che provavo tutt’insieme lungo la              schiena, sulle gambe, dappertutto.
Bruno:  E poi?
Freccia: E poi ho fatto come fanno tutti, cioè mi sono detto: mi
             buco una volta o due ancora, tanto smetto quando mi pare.
Bruno:  Ed è andata così?
Freccia: No, mi sa che non va mai così. Io, almeno, dopo un paio
             di volte c’ero dentro.
Bruno:   Cioè?
Freccia: (un po’ secco) Cioè… cioè devi rubare hai capito? Perché
              non te la regala nessuno, capito?                Comunque
              dopo un po’ smette anche di darti piacere. Però stai male
              se non ti buchi, allora  ti fai solo per essere normale. Comunque alla fine diventa una cosa tra te e lei. Il resto non conta più un cazzo.
Bruno:    Come sei riuscito a smettere?
Freccia:  Cagandomi addosso.    Cagandomi addosso, con lo
              stomaco che mi si spaccava e il cuore a mille. Gran botte
              di caldo e poi di freddo e una paura bestia di morire di  
             dolore. Ho passato dieci giorni in un letto che continuavo a
             sporcare e che una persona continuava a   pulire. Se non
             era per lei sicuramente non ne venivo fuori.
             Però sai, non so se posso dire di avere proprio smesso.
             Cioè, sì! Da qualche mese non mi faccio più però forse è
             meglio se non ci penso troppo.
Bruno:  E adesso pensi che valesse la pena chiedersi quel
            “perché no?” la sera che hai fatto il primo buco?
Freccia: Questa è una domanda del cazzo.
Bruno: E allora su questa domanda del cazzo chiudiamo “Ora
            d’aria”. Stanotte abbiamo parlato di buchi. O meglio dei
            buchi che si è fatto uno. Non sappiamo se è così per tutti
            ma adesso, forse, ne sappiamo un po’ di più. Buonanotte.


 (Brani tratti da: “Antonio Leotti – Luciano Ligabue: “Radiofreccia”, Fandango Libri, 1999, pgg. 117, 118, 121)



venerdì 19 febbraio 2016

Chiedi di più

Ci prendevano in giro perché anziché (o oltre che) ascoltare Bob Marley o Patti Smith ascoltavamo Renato Zero, Umberto Tozzi e i Pooh.
Ci guardavano scambiarci "Tregua", "Gloria", "Boomerang" e i loro sguardi non nascondevano la loro riprovazione, come se stessimo commettendo chissà quale misfatto. Ma per le orecchie nobilissime dei ragazzi del nostro gruppo "quelli lì" erano improponibili.
Così noi ci incontravano in separata sede, a casa dell'una o dell'altra, e lì ascoltavamo canzoni d'amore che ci facevano sognare, meditare, a volte piangere perché troppo forte era la sofferenza d'amore che provavamo o pensavamo di provare.

CHIEDI DI PIÙ

Renato Zero > Tratto dall'Album "Tregua" (1980)


Se un amore muore, 
Una ragione ci sarà. 
Forse il coraggio sta morendo! 
Poche parole 
Una valigia, una bugia, 
Ma solo chi rimane 
Sa il buio cosa sia…! 
Allarga le tue braccia, 
A chi ti cercherà… 
A chi ti tenderà le braccia! 
A chi è pronto a sconfiggere 
La noia la dov’è. 
A chi di questo amore… 
Ha fame come me! 
Non voltarti indietro mai, 
Sarò felice se ce la farai! 
Se vedrai che dopo me, 
C’è ancora vita, 
Una speranza c’è! 
Malgrado tutto resteremo noi… 
Coi nostri dubbi dissipati mai! 
…Solo noi, ancora noi! 
No! 
A chi vorrà stupirti… 
No! 
A chi non sa accarezzarti… 
No! 
Non basterà una promessa… 
No! 
Se poi la fine è la stessa… 
Chiedi di più, 
Chiedi molto di più, ora…! 
Chiedi di più, 
Di un incontro qualunque 
Di un triste su e giù! 
Chissà che faccia avrà 
Chi mi sostituirà? 
Come saranno le sue mani! 
Basta che sappia darsi come ho fatto io! 
Che non sia solo un gioco, 
Solo un mestiere il suo! 
No! 
A chi gli basta sognarti… 
No! 
A chi vorrà violentarti… 
No! 
Se quel tuo istinto non sbaglia… 
No! 
Se l’anima tua si sveglia… 
Chiedi di più 
No! 
Perché non sei una puttana… 
No! 
Perché io ogni notte sto in pena… 
No! 
Forse non ero il migliore… 
No! 
Ma ti ho insegnato l’amore…