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sabato 11 giugno 2022

Da numero a fantasma: il dramma della dispersione scolastica

 Fantasmi, è vero. O, più semplicemente, come si diceva una volta, numeri. Sorprende che nella scuola, soprattutto in certi indirizzi di scuole, non ci si renda conto del dramma che noi tutti, e in primo luogo i più giovani (mi riferisco ai bambini e, soprattutto, agli adolescenti) abbiamo vissuto negli ultimi due anni. La scuola è diventata così lo specchio di un fallimento educativo che già era presente prima della diffusione della pandemia e che con la pandemia ha mostrato tutte le sue criticità: una scuola a volte esageratamente selettiva che non è stata capace di far emergere le potenzialità di ciascuno degli studenti che gli erano stati affidati e, d'altra parte, una scuola fin troppo lassista, ugualmente incapace di trasmettere passione, conoscenza, entusiasmo per la vita e per il sapere. Una scuola con docenti spesso disillusi o trasformati in meri burocrati, impegnati a compilare moduli e a formulare discorsi in cui non ci si crede. Una scuola che a volte, tuttavia, resiste, e lo fa con chi, maestro, insegnante, genitore, dirigente, operatore o collaboratore a qualunque titolo nella scuola, continua a credere che gli studenti abbiano il diritto di avere almeno un maestro, un insegnante che segnerà il percorso della loro vita per sempre, che trasmetterà loro la passione per la conoscenza, per il sapere, per la vita, e che sarà capace di mostrare a ciascuno il proprio talento. Ci sono questi docenti, ci sono queste scuole ed è nel loro entusiasmo e nella loro passione che bisogna riporre le speranze, nonostante tutto.

mercoledì 18 dicembre 2019

#Ediciamolo!

Non me la prendo con i ragazzi. Me la prendo con genitori e adulti che non hanno insegnato o non insegnano loro che esistono gli altri, con cui si convive e che meritano rispetto, lo stesso che si pretende per sé stessi; che le regole, anche se non piacciono, vanno rispettate; che i semafori non servono ad illuminare le città; che, soprattutto, i genitori e gli educatori non sono amici, non possono esserlo, dato che hanno un compito nobile: quello di educare e formare e per svolgerlo non si può, non si deve essere amici.

sabato 26 gennaio 2019

"Essere felici - Il cinema insegna"

“Io penso che la felicità è quando ti vai a prendere quello che c’è di grande nella vita, anche se devi superare tantissimi ostacoli e difficoltà. Quindi la felicità è una cosa che se proprio la vuoi te la devi andare a prendere. A questa cosa ci penso molto spesso, perché io delle volte mi sento solo e disperato, ma altre volte sento proprio di essere felice.
E non ho detto allegro, contento, sereno, ho proprio detto felice!
Di solito però gli altri, le persone normali, vogliono che stai in difesa, che fai catenaccio, è come se non ci credono che ci sono le cose grandi da andarsi a prendere in attacco. In difesa uno soffre meno, ma non so se può davvero essere felice.
[…] Una cosa molto importante per essere felici sono le persone speciali, una persona speciale è quella che ti fa capire che in attacco ci sono le cose grandi e che stare in difesa è un peccato. Oppure sei tu che gli fai capire che in attacco ci sono le cose grandi e allora sei molto felice di farglielo capire.

Io ci provo ad essere felice, costi quello che costi. Certo, mica si può essere felici di tutto, però forse basta esserlo di qualcosa, che poi quel qualcosa illumina tutto il resto… e siamo salvi.” (Tratto dalla sceneggiatura del film “Banana” di  Andrea Jublin. Italia, 2015)


giovedì 6 dicembre 2018

Il coraggio di cambiare

Di fronte alla prospettiva di dover cambiare, spesso capita di irrigidirsi. La resistenza al cambiamento, in fondo, altro non è che la paura del nuovo, dell'ignoto che la novità porta con sé, il timore di non essere in grado di affrontare nuove scelte di vita, nuove sfide, nuove condizioni, nuove situazioni.
Investe vari campi, la resistenza al cambiamento: cambiare città, casa, amori, indirizzo di studi, locali frequentati, luoghi di vacanza, metodi di studio. 
O di insegnamento. Di fronte a una proposta didattica innovativa, capita spesso di trovarsi di fronte colleghi, genitori, studenti che si irrigidiscono, temono che non possa funzionare, che andrà necessariamente male. E non importa se il metodo di insegnamento utilizzato fino ad allora sia poco efficace: quel metodo è comunque garantito dall'esperienza, dall'esser stato sempre usato.
Eppure sarebbe interessante mettere a confronto tecniche didattiche differenti, introducendo modalità di insegnamento/apprendimento che stimolino la curiosità, l'interesse, la partecipazione, all'interno di una scuola che in certe occasioni appare sempre uguale a sé stessa, poco stimolate, noiosa, piatta, arida. 
Ben vengano allora docenti innovatori che riescano, salvaguardando la qualità della loro azione didattica, a proporre progetti coinvolgenti e interessanti che richiedono indubbiamente il coraggio di cambiare ma possono indurre quella riforma della scuola che, per quanto più volte evocata, non può essere imposta dall'alto ma solo partire dal basso grazie alla condivisione e all'operatività di chi crede davvero nell'istituzione scolastica.

domenica 15 luglio 2018

Condizione e cultura giovanile nella società e nella scuola: riflessioni e considerazioni.

Il relativismo imperante della società italiana contemporanea e l’omologazione massmediatica dei modelli di riferimento rendono sempre più difficoltoso il compito educativo.
Adulti e giovani si trovano, inoltre, spesso sommersi da una valanga di informazioni che travolgono e quasi sempre sovrastano quelle che tradizionalmente vengono trasmesse nelle aule scolastiche.

Accade così che i nostri adolescenti, con cui quotidianamente, come docenti, entriamo in contatto, appaiano lontani, apatici, annoiati di fronte a una “cultura dei libri” che non riconoscono come propria, distante anni-luce da quella che considerano la loro cultura.

La scuola viene spesso vissuta dagli adolescenti con disagio, quel disagio che nasce dalla difficoltà di capire il senso, il valore dei contenuti proposti, in un contesto sociale che dà importanza solo all’apparenza e al denaro. In un’età difficile qual è quella che va dai 13 ai 18 anni, molti finiscono per perdersi, per omologarsi al modello dello studente che non studia ma trascorre le ore scolastiche aspettando l’intervallo o scrivendo sul diario pensieri o slogan che esprimano il proprio mondo interiore, più o meno complesso.

Nelle classi dell’Istituto Professionale (ma succede anche negli altri indirizzi di studio della scuola secondaria superiore) presso cui attualmente insegno Italiano e Storia, capita spesso di trovarsi di fronte alunni così, che ritengono inutile lo studio di alcune materie perché “Il tornio gira anche senza Dante”, come ha esclamato qualche mese fa un mio studente.

La sfida allora, cui i docenti sono chiamati, è quella di aiutare i nostri ragazzi a comprendere che il ruolo della scuola non è quello informativo (in cui al momento risulterebbe perdente, visto il bombardamento di informazioni, per lo più non mediate, cui i nostri giovani sono sottoposti), ma formativo.

La scuola deve offrire a tutti la possibilità di formarsi innanzi tutto come esseri umani, uomini e donne che vivono, amano, pensano con la propria testa,  cittadini responsabili e non solo e unicamente lavoratori.

La scuola, attraverso l’attività dei docenti, può e deve fornire modelli alternativi a quelli imperanti, trasmettendo il gusto per le emozioni vere (e non quelle ad esempio, mediate dall’uso di sostanze stupefacenti, sempre più diffuse, ahimè, tra le nostre giovani generazioni); insegnando a guardarsi dentro e a capire chi si è e ciò che si vuole veramente, senza farsi trascinare per noia o debolezza dalle cosiddette “cattive compagnie”.

In fondo, poi, chi sarebbero le “cattive compagnie”? Dovremmo chiedercelo, noi adulti, e spiegarlo anche ai nostri ragazzi: le “cattive compagnie” sono date dall’unione di chi si è perso, facendosi schiacciare e travolgere da modelli falsi, dai falsi valori imperanti, seguendo la logica del “tutto e subito” o del “perché no?” che ci circonda.

Così, se lo scopo è apparire, “avere”, piuttosto che “essere”, nulla più ha senso, nulla più è sacro. Ugualmente, chi ha ancora speranze, sogni, progetti, teme di essere un alieno, un “non adatto”.

Questo non si riferisce a tutti, naturalmente. Ci sono giovani, ragazzi e ragazze, che si dedicano ad attività di volontariato di diverso tipo, attività di cui vanno fieri, o che sono solidali con i loro compagni aiutandoli a fare i compiti o coinvolgendoli nei loro hobby.



I nostri ragazzi hanno bisogno di credere. Hanno bisogno di una società adulta che dia loro delle regole certe. Che dia loro una speranza per un futuro che sembra già perduto.

“Ai suoi tempi era diverso, era tutto più certo” mi è stato detto dai miei studenti di quarta, nel momento in cui li invitavo a studiare per sé stessi, per il gusto di imparare e, magari, anche per realizzare i propri progetti, i propri sogni.

C’è, nella maggior parte dei nostri ragazzi, tanto scetticismo, tanta rassegnazione, una sorta di disillusione diffusa, spesso maschera di una voglia di credere nonostante la mancanza di punti di riferimento solidi e precisi della società contemporanea.

Per questo oggi educare è così difficile. I nostri ragazzi hanno bisogno di modelli coerenti che siano loro di esempio. Non possiamo trasmettere loro messaggi ambigui, ambivalenti. Non possiamo pretendere che credano in ciò in cui noi non crediamo.

“Uno potrà essere laico fin che vuole, ma se nulla è sacro, se tutto è manipolabile, comprabile, vendibile, allora la vita nostra è molto precaria e non vale molto.”

Il docente deve trasmettere ideali, valori, insegnando ad accettare sé stessi e i propri limiti, in un impegno costante che porti alla valorizzazione di ciascuno degli studenti di cui si occupa.

Ciò significa ascoltare gli studenti, le loro ansie, le loro difficoltà; insegnare ad esprimere emozioni e a non vergognarsene; concretamente può anche significare, come mi è capitato qualche mese fa in una classe quarta, passare due ore a discutere sulle aspettative reciproche e ritrovarsi poi più solidali, uniti in un obiettivo comune che non è solo quello disciplinare, ma è soprattutto quello formativo. 

Ascoltare, dunque. In una società che va di corsa e non è disposta a fermarsi ad ascoltare, i nostri ragazzi devono trovare nella scuola gli spazi per essere ascoltati (esigenza che il legislatore ha accolto con  la legge 309/1990 e l’istituzione dei CIC, centri di informazione e consulenza, volta a prevenire il fenomeno delle tossicodipendenze) e ascoltare, scoprendo il gusto di essere,  di sapere, di comunicare, arrivando ad apprezzare “quei beni di verità e umanità […] che possano aprire orizzonti e alimentare a lungo la vita, al di là dell’effimero”. " 

sabato 7 luglio 2018

Il cuore non basta

"Figli si nasce, genitori no." recitava uno slogan di una trentina di anni fa. L'esperienza genitoriale, da sempre sfidante, è diventata parecchio complessa soprattutto negli ultimi decenni. Non bastano l'intuito e l'amore di una madre e di un padre per evitare di commettere errori gravissimi nel crescere i propri figli. Gli studi specifici hanno dimostrato e dimostrano con sempre più precisione quanto possano influire ed essere deleteri i comportamenti dei genitori sullo sviluppo di ciascun figlio. La cui educazione, di fatto, inizia già nel momento del concepimento. L'idea che i genitori si fanno della creatura che sta per nascere comincerà già ad influire su ciò che quella creatura diventerà. 
Forse sarebbe il caso che i futuri genitori e i genitori stessi seguissero corsi specifici di aggiornamento per imparare ad essere genitori. Genitori si diventa e si impara ad esserlo studiando, leggendo testi specifici. Perché tutto l'amore del mondo e l'intuito di una madre e di un padre non bastano più.



lunedì 2 luglio 2018

L’ENIGMA CHE SIAMO


"<< Ho passato trent’anni a scavare nelle coscienze, nel grande mistero dell’uomo, >> mi confida un neuropsichiatra << ma le zone buie sono ancora molto più vaste di quelle che mi pare d’avere rischiarato.  Un giorno viene da me un uomo con il braccio destro paralizzato. Era una paralisi isterica, non provocata da un trauma, da un incidente, ma da un’alterazione di nervi. L’avevano già curato alcuni miei colleghi, senza risultato. Decido di trattarlo con l’ipnosi. Tanto per spiegarmi con te, che di medicina non sai niente, ti dirò che volevo convincerlo, sotto il trattamento d’ipnosi, a rendersi conto che il braccio non era malato e che, per recuperarlo, sarebbe bastato trasmettergli l’ordine di muoversi. Così è stato infatti. Una guarigione rapida, quasi miracolosa. Il mio cliente guardava muoversi il suo braccio e piangeva per l’emozione. Bene, neanche dieci giorni dopo quell’uomo timido e quieto va a casa, apre il cassetto in cucina, prende un coltello con venti centimetri di lama e lo pianta nel ventre della moglie. Hai capito che cosa era successo? >>
Rispondo di no, che non ho capito niente, che mi sembra solo il delitto di un pazzo. << Eh no, >> riprende il medico << la faccenda è più complessa. Quell’uomo da tempo odiava la moglie e nell’inconscio aveva già stabilito di ucciderla. La paralisi era stata, senza che lui lo sapesse, la sua difesa. Insomma, il delitto gli ripugnava, ma, terrorizzato dal pensiero di poterlo compiere in un momento di follia, aveva bloccato con la paralisi il braccio destro. Ed ora, recuperato il braccio, tolto il freno che la coscienza gli aveva misteriosamente imposto, aveva ucciso. Vedi che enigma siamo? >>”
 Vittorio Buttafava: "La fortuna di vivere - Taccuino", Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1982, Pagg. 79 - 80 (Prima Edizione: Rizzoli Editore, Milano, 1981) 

"Abbiamo dentro, tutti, una ferita piccola o grande che non osiamo scoprire, che ci farebbe gridare di dolore solo a sfiorarla. Meglio lasciarla lì, nel silenzio, in attesa che diventi una cicatrice."
Vittorio Buttafava: "Una stretta di mano e via", Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1978, Pag. 30 (Prima Edizione: Rizzoli Editore, Milano, 1976) 


"Forse passerà [...] una mattina, a salutare. Solo a salutare, niente di importante. Non servirebbe a niente comunque, perché lei lo sa benissimo, lo sa bene quanto lui che è l'amore, imperfetto e disordinato, a tenerli separati, proprio mentre in qualche modo li unisce [...]."
La citazione, tratta dal romanzo "Gente senza storia" di Judith Guest (Traduzione di Masolino d'Amico, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1977, pg. 277), si riferisce alle difficoltà relazionali tra  una madre e un figlio coinvolti in una tragedia familiare, ovvero la morte del figlio primogenito, amatissimo dalla madre e modello di riferimento per il fratello. Evidenzia la necessità, in alcuni casi, di rimanere lontani, anche se ci si vuole bene, perché restando vicini si soffrirebbe troppo.
E' una situazione che può riguardare non solo le relazioni tra madri e figli, ma tutte le tipologie di relazione, comprese quelle amicali.
L'amore verso gli altri non è sempre lineare, chiaro, perfetto. 
A volte è complicato, doloroso, difficile. Al punto da richiedere una separazione, per evitare di continuare a farsi del male.




lunedì 25 giugno 2018

Allo stato brado

Sempre più frequentemente capita di vedere bambini dall'età variabile tra i due e i dieci anni che al ritiro bagagli in aeroporto si piazzano davanti al nastro trasportatore costituendo un pericolo per sé e un disturbo per gli altri dato che il bagaglio, i bambini, non riescono a ritirarlo rischiando contemporaneamente di prendere in testa quello del passeggero che ritira il suo e non riesce a schivare il bimbo piazzato laddove non dovrebbe essere. In quest'ultimo malaugurato caso, nemmeno così improbabile, il genitore del bimbo colpito non fa che lamentarsi. "Che modi!", ripete, dando per scontato che il figlio, urlante, possa fare ciò che vuole, in sua presenza e anche in sua assenza.
Non si pensi ch'io non sia consapevole di quanto sia difficile educare.
E' difficile, per esempio, chiedere a un bambino di due/tre anni di restare seduto e composto a tavola per tutta la durata del pasto senza pretendere di avere con sé giochini vari, di alzarsi ripetutamente, di gattonare, benché abbia già imparato a camminare da un po', sotto il tavolo ai piedi degli astanti.
Certo che è difficile!
Lo è al pari di chiedere a un tredicenne/quattordicenne di restare seduto al suo banco nel momento in cui gli è richiesto, senza girare per l'aula come un uccellino che si rifiuta di rientrare in gabbia.
Per l'adolescente riottoso, quando va bene, i primi tre mesi di scuola superiore possono bastare per trasmettergli l'idea che, sì, a scuola ci sono momenti in cui bisogna stare seduti.
Mi si dirà che sono altri tempi da quando frequentavo la scuola seduta dalla parte opposta alla cattedra.
Mi si dirà che i bambini, che gli adolescenti sono cambiati.
Non è così. Non sono cambiati i bambini, non sono cambiati gli adolescenti.
Quegli adulti che, ritenendo di fare cosa buona e giusta, lasciano i bambini e gli adolescenti allo stato brado in nome di una libertà presunta da concedere a sé stessi e ai più giovani che vengono loro affidati. 
Così quella libertà diventa licenza, diventa irresponsabilità, diventa incapacità di gestire sé stessi e gli altri.
Tutti allo stato brado, con buona pace delle necessarie regole di convivenza sociale e civile.


martedì 19 giugno 2018

Siamo quello che siamo stati

"Siamo quello che siamo stati" è la frase che utilizzo ogni volta che apro il mio corso di storia all'inizio dell'anno scolastico.
C'è una continuità nelle storie individuali e nelle storie delle gruppi sociali.
Il presente è sempre il risultato del passato.
Circa una trentina di anni fa, qualcuno ha cominciato a irridere la cultura, proponendo al posto delle opinioni di studiosi e intellettuali stimati e riconosciuti quelli di starlette e gente diversa dello spettacolo che si sostituiva ai vari Enzo Biagi, Umberto Eco, Giorgio Bocca, Indro Montanelli, etc. etc., accantonati e ridicolizzati da chi, in nome della libertà di parola, esigeva il diritto di esprimere tutta la propria ignoranza.
"La nostra forza è l'ignoranza!": la ricordo ancora la scritta apparsa sul muro di fronte all'edificio scolastico dove all'epoca insegnavo (saranno stati gli inizi degli anni Novanta, più o meno) che mi inorridì.
Continuavo a sottolineare agli studenti delle classi che mi venivano assegnate quanta illusione si nascondesse dietro quelle parole: l'attacco alla cultura e alle istituzioni scolastiche che iniziava in quegli anni, l'illusione di strappare un titolo di studio senza aver mai aperto libro, i diplomifici, l'arroganza dell'ignoranza, tutto questo, sostenevo, serviva solo a far sì che le lotte che nei decenni passati erano state fatte per il diritto allo studio per tutti, venissero così completamente designificate. 
"Vi vogliono ignoranti e lo fanno rendendo la scuola un centro sociale e un'istituzione superata e inutile." Qualcuno mi credeva; molti no.
Considerai un insulto alla mia professionalità la pubblicazione, nel 1992, di un libro dal titolo "Mai più bocciati - Come essere promossi senza studiare mai".



 solitudine, egoismo, arroganza, ignoranza.

mercoledì 6 giugno 2018

Dimostrami di amarmi

Alessio (il nome è fittizio ma la vicenda è reale), 17 anni, durante uno di quei momenti di confessione che a scuola accadono tra studenti e docenti, rivela che non sa più quale espediente escogitare per catturare l'attenzione dei suoi genitori che, a suo dire, non lo considerano affatto.
"Per loro è come se non esistessi. Di me, a loro, non importa nulla. Mi lasciano libero di andare dappertutto senza chiedermi nulla. Affermano che lo fanno per rispettare la mia libertà. Secondo me lo fanno per rispettare la loro libertà. Non si preoccupano affatto di me. Io, per catturare la loro attenzione, ho fatto di tutto, sono rientrato a casa di notte sempre più tardi. Mai un rimprovero, mai. Niente. Per loro non esisto."
Riflettano quei genitori che, come quelli di Alessio, hanno dimenticato che il loro ruolo non è quello di essere amici e complici dei loro figli ma quello di educare, indicare un modello di vita, trasmettere sogni, passioni, definire regole e farle rispettare. 
L'adolescente, per crescere, ha bisogno  di sfidare regole e limiti per sentirsi vivo e per dare un senso a ciò che vive. Ma se i limiti e le regole non esistono più, i più giovani si sentiranno sempre più soli, sempre più vuoti, sempre meno amati.

mercoledì 12 aprile 2017

Biciclettate in testa e tutti zitti!

La locandina del quotidiano locale di qualche giorno fa riportava la notizia secondo cui la città in cui vivo,  si ritrova a occupare uno dei primi posti per numero di multe comminate. Non nego che sia così. Osservo tuttavia che l'elevato numero di multe, almeno al momento, non mi sembra abbia modificato comportamenti che violano sistematicamente le regole della convivenza civile nonché quelle del codice stradale.
Quotidianamente incrocio (a volte mettendo a rischio anche la stabilità delle mie ginocchia, essendo costretta a cambi di direzione improvvisi) ciclisti che percorrono (talvolta anche a velocità sostenuta)  marciapiedi non individuati come piste ciclabili, ciclisti che percorrono contromano carreggiate riservate alla circolazione dei veicoli, pedoni che attraversano fuori dalle strisce pedonali, sbucando a volte dietro autobus o mezzi che impediscono di vederli chiaramente, costringendo gli automobilisti a brusche ed improvvise frenate, pedoni che attraversano con il rosso, automobilisti che in prossimità delle strisce pedonali accelerano anziché rallentare, automobilisti che, al scatto del verde, partono come se partecipassero al gran premio.
Tacerò poi delle strade disseminate di escrementi di cane i cui proprietari si guardano bene dal raccogliere.
Quel che maggiormente mi indigna, tuttavia, è l'arroganza di chi non rispetta le regole e che risponde seccato se glielo si fa notare.
Un paio di settimane fa, in una circostanza simile, ho rischiato una biciclettata in testa: percorrevo il marciapiede antistante il mio edificio scolastico; era l'ora di inizio delle lezioni e c'erano molti pedoni. Improvvisamente, facendosi avanti tra uno slalom e l'altro, è arrivato un ciclista che ha chiesto sì permesso, ma lo ha fatto sfiorando i pedoni che gli impedivano il passaggio. Ho commentato fra me e me (ma non tanto da non essere sentita): "Chiede pure permesso! Roba da matti!". Non lo avessi mai fatto: il tipo, grande e grosso, ha afferrato a due mani la bicicletta, sollevandola, e a cominciato a inveire contro di me in inglese (o almeno, penso che di inglese si trattasse, avendo io riconosciuto, tra le altre parole, quella del titolo di una canzone di un po' di anni fa degli Articolo 31 cantata con Paola Turci). Non ho osato guardarlo e ho temuto di ricevere la bicicletta sulla testa. Sono ammutolita e ho proseguito il mio cammino, temendo di essere aggredita. Mi sono indignata e, ancora oggi, ricordando l'episodio, mi indigno ancora di più: sinceramente io non ne posso più di avere a che fare con chi, sempre più spesso, non solo non rispetta le regole ma non rispetta nemmeno gli altri che, muti, devono accettare la legge di chi urla più forte.

lunedì 10 aprile 2017

I semini della buona educazione.

In attesa che gli umani recuperino "la legge morale dentro di sé" di kantiana memoria, ci si potrebbe affidare alla tecnologia che, nel contempo, ha fatto passi da giganti: un microchip, inserito alla nascita in ciascun umano, che possa impedire gli attraversamenti con il rosso, l'invasione di piste ciclabili da parte di automobilisti frettolosi, bevute esagerate accompagnate da corse folli in auto, corruzione e collusi, etc., etc, etc.. Sarebbe un mondo asettico, non certo felice e, forse, nemmeno meno violento. E, allora, non ci rimane che sperare nei semini lasciati da una buona educazione.

giovedì 6 aprile 2017

Parlare al cuore

Da tempo, ormai, psicologi e pedagogisti sostengono che, per favorire l'apprendimento degli studenti, in particolare degli adolescenti, occorre che il docente parli al loro cuore, sia in grado, cioè, di incuriosirli, di emozionarli, di appassionarli, trasmettendo loro non solo i contenuti della sua disciplina ma il suo amore per la disciplina e per i contenuti che insegna.
Ciascuno di noi ha sperimentato quanto sia importante che i docenti stabiliscano un clima di apprendimento sereno, che stimoli la motivazione e, che, soprattutto, sia in grado di appassionare gli studenti, quasi seducendoli con la propria passione.
Parlare al cuore può farlo solo chi parla col cuore.

sabato 25 marzo 2017

Angherie da bulli: le responsabilità degli adulti

C'è stato un periodo, una ventina di anni fa, in cui si tendeva a liberare le famiglie dalle loro responsabilità, attribuendo certi comportamenti giovanili alla cattiva influenza della società. La verità è che la società è data dalle persone che la costituiscono e se tra queste persone ci sono genitori che non educano i figli al rispetto di sé stessi e degli altri, ritenendo magari certi comportamenti solo innocenti ragazzate, non possiamo che aspettarci tali risultati. Quando tuttavia si verificano certi episodi, non si può non sottolineare la grave responsabilità degli adulti, lontani a volte da quel patto educativo che permette ai più giovani di crescere senza dover calpestare e umiliare coloro che si ritengono più deboli, nell'illusione di essere più forti. 
Non si è più forti: si è solo dei deboli vigliacchi.

lunedì 6 marzo 2017

Come in amore (e lo sostiene anche Galimberti!)

Leggo che Umberto Galimberti (http://wisesociety.it/incontri/umberto-galimberti-la-nostra-societa-ad-alto-tasso-di-psicopatia-non-e-adatta-a-fare-figli/) sostiene che la scuola può rimediare alle carenze affettive vissute in famiglia trasmettendo i suoi contenuti con passione, facendo leva sulle emozioni degli studenti ed insegnando loro ad appassionarsi.

Qualcosa del genere aveva già scritto Antonella Landi, in un suo articolo pubblicato il 10 settembre 2011 sulle pagine fiorentine del "Corriere della Sera" dedicate a "I quaderni della Profe", la sua rubrica settimanale, esprimendosi così: "A scuola è come in amore: bisogna essere in due a voler far funzionare il giochino.".


Altrimenti, avevo aggiunto io qualche tempo dopo, in occasione di una delle più memorabili sfuriate che mi sia capitato di fare agli studenti, diventa masturbazione. Masturbazione intellettuale, ma sempre masturbazione è.



In quell'occasione, loro, gli studenti, apprezzarono. Chiesero di scrivere la frase sulla lavagna.
Ci eravamo chiariti. Ci eravamo rappacificati.
Stavano seguendo attentamente, prendendo diligentemente gli appunti per prepararsi alla prossima verifica scritta. E anch'io procedevo in modo spedito e preciso, attenta ad ogni dubbio o richiesta che provenisse da loro.
Ci eravamo chiesti reciprocamente scusa e sembrava che nulla, in precedenza, fosse accaduto.



Proprio come succede dopo un litigio tra innamorati. Proprio come succede in amore.

martedì 24 maggio 2016

Che fare?

"Che fare?" mi sento spesso chiedere da genitori alle prese con figli adolescenti indolenti, sgarbati, incontenibili, irritanti.

"Eppure" sostengono "fino a qualche tempo fa era tanto tranquillo...".

A me, sinceramente, verrebbe da rispondere che no, quel ragazzino, tranquillo, da che io lo conosco (e sono ormai molti anni), non lo è mai stato. Era indisponente, prepotente, egocentrico e, soprattutto, abituato a vedere appagata ogni sua richiesta non appena fosse formulata. Che cosa è cambiato, adesso? E' cambiato il valore, la qualità delle sue richieste.

Un adolescente ha esigenze diverse rispetto a quelle di un ragazzino di tre, cinque, sette anni. Dal suo punto di vista egli continua ad essere come è sempre stato.

Il genitore, invece, pensa che sia arrivato il momento di dire no. Ma ai "no" ci si deve abituare fin dalla più tenera età. Altrimenti si penserà, come alcuni adolescenti fanno, di subire un sopruso, di perdere un diritto acquisito. Chi di noi ha mai voluto rinunciare ad un diritto acquisito?

Ecco perché è importante che i genitori stabiliscano, da subito, regole precise e coerenti nell'educazione dei propri figli. Naturalmente tali regole dovranno essere adeguate all'età del bambino, ma non si può assolutamente pensare di far vivere come un selvaggio il proprio pargolo pensando poi di addomesticarlo quando diventerà più grande, stupendosi poi della difficoltà di farlo.

Vivere con un adolescente è indubbiamente difficile, ma lo è ancora di più quando ci si trova alle prese con un adolescente maleducato o ineducato. A cui è stato detto, magari in nome di un maggior presunto amore, troppe poche volte "NO!".



"Tu non mi vuoi bene!"

"Quante volte ve lo siete sentito dire dai vostri figli in tono accusatore?

E quante volte avete resistito alla tentazione di spiegar loro quanto li amavate?

Un giorno, quando i miei figli saranno abbastanza grandi da capire la logica che spinge una madre a comportarsi in un certo modo, glielo dirò.

Ti ho amato abbastanza da chiederti continuamente dove andavi, con chi e a che ora saresti tornato.

Ti ho amato abbastanza da insistere perché ti comprassi una bicicletta con i tuoi soldi, anche se noi potevamo permettercela e tu no.

Ti ho amato abbastanza da star zitta e lasciare che scoprissi da solo chi era l'amico che ti eri scelto.

Ti ho amato abbastanza da costringerti a restituire al proprietario del negozio la cioccolata già morsicata e confessare: <<L'ho rubata>>.

Ti ho amato abbastanza da restar lì come un gendarme per più di due ore a guardarti pulire la stanza, un lavoro che io avrei potuto fare in un quarto d'ora.

Ti ho amato abbastanza da dire: <<Sì, vai pure al luna park. Non importa se è il giorno della mamma>>.

Ti ho amato abbastanza da lasciare che vedessi la rabbia, la delusione, il disgusto e le lacrime nei miei occhi.

Ti ho amato abbastanza da non scusarmi mai con gli altri per le tue mancanze o cattive maniere.

Ti ho amato abbastanza da ammettere di aver avuto torto e chiederti scusa.

Ti ho amato abbastanza da ignorare quello che dicevano o facevano <<le altre madri>>.

Ti ho amato abbastanza da lasciare che inciampassi, cadessi, ti facessi male, sbagliassi.

Ti ho amato abbastanza da lasciare che ti prendessi le responsabilità delle tue azioni, a sei, come a dieci, o a sedici anni.

Ti ho amato abbastanza da sospettare che avevi mentito sulla presenza dei genitori del tuo amico a quella festa, e lasciar correre... dopo aver scoperto che non mi sbagliavo.

Ti ho amato abbastanza da metterti a terra, lasciarti andare la mano, non rispondere alle tue suppliche... perché imparassi a stare in piedi da solo.

Ti ho amato abbastanza da accettarti per quello che sei, non per quello che avrei voluto che fossi.

Ma soprattutto ti ho amato abbastanza da continuare a dire <<No>> anche sapendo che mi avresti odiato. E' stata questa la decisione più difficile."

(Il brano dal titolo "Tu non mi vuoi bene" è tratto da: Erma Bombeck: "Se la Vita è un piatto di Ciliege, perché a me solo i Noccioli?", Edizioni Club del Libro su licenza della Longanesi & C., Milano, 1981, Edizione Longanesi: 1980, pgg. 210 - 212)
(Già pubblicato su altra piattaforma l'8 febbraio 2010)

martedì 12 aprile 2016

Maternità e paternità responsabile

Maternità e paternità, tra gli esseri umani, non sono un mero fatto biologico: genitori si diventa e diventarlo implica una forte assunzione di responsabilità.
Bisognerebbe dirlo a tutti i genitori, a quelli che si apprestano a diventarlo, a quelli che lo sono già, magari da vari anni, magari di più figli.
Essere genitore significa accettare, prendersi cura, e, soprattutto, educare i propri figli, fin dal primo vagito.
Credere che un bambino sia troppo piccolo per imporgli delle regole, aspettando il momento giusto, significa andare incontro a difficoltà nel riuscire poi ad imporre la propria autorevolezza.
Un bambino impara (o dovrebbe imparare) in famiglia che esistono luoghi e persone da rispettare, che lui non è al centro del mondo (anche se è convinto di esserlo), che non è un principe e i suoi genitori non sono la sua corte.
Trovo triste e deprecabile vedere bimbi di tre/quattro anni che, per strada, pretendono di vedere immediatamente assecondati i loro capricci, urlando e volendo averla sempre vinta.
Molti genitori acconsentono, a volte per stanchezza, a volte perché pensano che c'è tempo per insegnare ai loro pargoli come si sta al mondo. Sbagliano. Forse si ritroveranno a gestire adolescenti riottosi e maleducati, ingestibili e, peggio ancora, già dediti ad abitudini nocive e rischiose per sé e per gli altri.
Educare è un impegno gravoso che deve essere assunto con grande consapevolezza. Non è come comprare "Cicciobello" nel negozio di giocattoli ed accantonarlo in uno stanzino quando non si ha più voglia di giocarci.
Illudersi che tutto rimanga come prima, che ci si possa permettere uscite o frequentazioni non adatte ai ritmi dei più piccoli, è una delle tante utopie di cui ci si è alimentati negli ultimi anni.
(Già pubblicato su altra piattaforma il 15 ottobre 2011)

Educazione

1) Uscendo di casa, mentre apro il cancello d'ingresso del condominio, incrocio una ragazzetta che contemporaneamente sta arrivando per entrare. Spalancando io il cancello, la tipa si infila senza dire né grazie, né prego, né arrivederci o similia.
2) Camminando sul marciapiedi, incrocio una ragazzetta (un'altra, non quella di cui sopra) che sta tranquillamente circolando in bicicletta e si scoccia anche un po' perché io le intralcio il cammino. Le faccio notare (sono o non sono una rompiscatole?) che la pista ciclabile è esattamente sul marciapiedi opposto e che, visto che c'è, sarebbe anche il caso di sfruttarla. La tipa mi guarda infastidita e scocciata.
Cari genitori, ma voi insegnate l'educazione ai vostri figli?

martedì 12 gennaio 2016

Cose utili e inutili

Io ripartirei da qui. Dall'affermazione di Don Lorenzo Milani "La scuola è quel luogo dove si insegnano cose utili, quelle cose che il mondo non insegna, sennò non va bene." riportata in "Una lezione alla scuola di Barbiana" (Don Lorenzo Milani: "Una lezione alla scuola di Barbiana", a cura di Michele Gesualdi, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 2004, pg.11).
E' indubbio che quelle che cinquant'anni fa Don Milani riteneva "cose inutili" attualmente possano essere considerate utilissime, o viceversa.
In generale, riprendendo la citazione del priore di Barbiana, devono considerarsi cose utili "quelle cose che il mondo non insegna".
Attualmente sono tantissime le cose che il mondo non insegna: il rispetto per sè stessi e per gli altri, la passione, la curiosità vera, l'arte di saper aspettare, la bellezza, il sacrificio.
A scuola ci si può (anzi, a mio avviso si deve) dedicare al ballo, alla musica, al teatro etc., a patto che non lo si faccia seguendo mode e fenomeni culturali di basso profilo (che potrebbero al limite essere analizzati per la loro capacità di attrarre le masse).
La scuola che auspico è quella che dia a tutti la possibilità di crescere, di scoprire sé stessi e le proprie potenzialità, di formarsi come persona nel senso più completo del termine, imparando a non farsi schiacciare dalle mode, dalla massa che tutto omologa e appiattisce.

‎(Vecchio post, già pubblicato sulla piattaforma Splinder da Critolao il ‎17 ‎giugno ‎2008 ma oggi come allora attualissimo)