mercoledì 6 gennaio 2016

Parliamo?

Adorano parlare, i miei studenti.
E non lo fanno, come affermano i colleghi più maligni, per perdere tempo ed evitare di far lezione o un'interrogazione.
Sono pieni di dubbi e vogliono capire: il senso della vita, dell'amicizia, dell'amore...
"Perché?" chiedono spesso, sperando che io possa dar loro la risposta giusta.
E io, di fronte alle loro domande che io stessa mi pongo e che da sempre l'essere umano si pone, non posso fare altro che ascoltare e lasciarli parlare. Confrontandosi, parlando, hanno l'occasione di scoprire che l'ansia, l'angoscia, i dubbi che ciascuno di loro prova sono gli stessi che ciascuno di noi ha provato e prova.
Ecco perché parlarne ci fa bene.
(Già pubblicato con altro account su altro blog e su altra piattaforma il 16 marzo 2009)

lunedì 4 gennaio 2016

"Se tutti gli sfigati, gli sfigati del mondo..."

"Profe," mi dice ad un tratto uno studente "io sono uno "sfigato!".
Sollevo lo sguardo dalle mie carte e lo guardo negli occhi. E' seduto al primo banco, il suo banco fin dal primo giorno di scuola. E' uno studente di prima, attento, volenteroso, partecipe. Almeno con noi docenti.
Non mi sembra però che abbia legato molto con i compagni.
Durante la ricreazione resta spesso in classe con l'insegnante, non esce dall'aula, come fa invece la maggior parte dei suoi compagni.
E' stato proprio durante l'intervallo che, mentre eravamo rimasti in aula da soli, mi ha detto così: "Profe, sono uno sfigato!"
Gli ho chiesto perché ritenesse di esserlo.
Ha cominciato a spiegarmi che sono i suoi compagni a definirlo così: lui continua a fare la vita di sempre, quella che conduceva alle scuole medie.
Studia, fa i compiti, esce con i suoi amici d'infanzia. Non fuma, non beve il sabato sera, non prende pasticche o cocaina, non va in discoteca.
"Capisce, profe? Sono proprio uno sfigato!".
L'insegnante di italiano che è in me vorrebbe dirgli di adoperare un registro linguistico più formale. Ma non è una situazione formale, questa.
E' il grido di aiuto di chi, mentre sta crescendo, si trova a non accontentarsi più di essere accettato dagli adulti. Ha bisogno dell'accettazione del gruppo dei pari. Di cui, tuttavia, non condivide i valori.
"Sai," gli dico "anch'io sono stata una "sfigata", anche se all'epoca non ci definivano così".
Gli dico che ne conosco e ne ho conosciuti tantissimi di sfigati come lui, che spesso preferiscono nascondersi o adeguarsi a modelli che non condividono.
Ma forse sarebbe meglio che tutti gli "sfigati" del mondo si unissero e si opponessero al conformismo di chi definisce gli altri "sfigati" per non ammettere la propria fragilità, la propria debolezza, il proprio senso di inadeguatezza.

(Rielaborazione di un vecchio post pubblicato sul blog "La panchina in cima al monte" - piattaforma Splinder - il 14 novembre 2008)

domenica 3 gennaio 2016

Per sempre

Giura che lo ama. Che resteranno insieme per sempre. Che da quando lo ha incontrato, la sua vita ha avuto, finalmente, un senso.
Hanno festeggiato il loro anniversario con un video pubblicato su un social network, affinché tutti sapessero dell'importanza del loro amore.
Ho sorriso e ho provato tenerezza e timore guardando quel video. Loro hanno 16 anni.
Io quasi 55.
E ho imparato che gli amori giovanili spesso svaniscono, con la stessa immediatezza con cui sono nati.
(Già pubblicato sul blog "Sala Docenti")

La 500 gialla

La 500 gialla è stata l'auto dei miei vent'anni. Non

era la mia (non mi è mai piaciuto guidare e all'epoca

non avevo nemmeno la patente), era la macchina

della madre del mio amico più caro che, appena ne

 aveva la possibilità, ne usufruiva.

La 500 gialla aveva infinite possibilità, riusciva a

contenere fino a sei-sette persone, schiacciate come

sardine, d'accordo, ma era sempre meglio di niente.

Per andare al mare, tentare di vedere l'alba il primo 

giorno dell'anno, raggiungere il palazzetto dello sport 

per assistere alle partite della locale squadra di

basket, effettuare testa-coda magistralmente 

calcolati e altre imprese varie su cui sorvolerò, non 

c'era niente di meglio dell'indimenticabile 500 gialla.

sabato 2 gennaio 2016

Capodanno

Il primo giorno dell'anno trascorso in una località del cuore, a passeggiare sotto un sole caldo benché sia gennaio, a leggere un romanzo accattivante, chiacchierando con chi più ci sta a cuore. Che altro si può desiderare?

https://www.youtube.com/watch?v=tO7NfLC-ydI


venerdì 1 gennaio 2016

Diana

Diana morì di parto nel giorno del suo ventiduesimo compleanno, una decina di giorni prima di Natale.
La ricordava bene, o meglio, ricordava il suo viso splendente fissato nella foto sulla lapide della sua tomba. 
Da bambina, insieme a sua madre, aveva visitato spesso quella tomba. Aveva appreso così, proprio da bambina, che nascere, a volte, significa anche morire, proprio come era accaduto alla creatura che Diana portava in grembo.
Era il 1962. Forse allora si moriva molto più spesso di parto.
Nel 2015, ancora, si moriva di parto, si moriva alla nascita. Forse non così spesso, come accadeva ai tempi di Diana.
Ma ancora accadeva.

domenica 27 dicembre 2015

Ragazza da parete

Forse anche lei era una ragazza da parete. 
Da sempre preferiva ascoltare, anche ciò che non veniva detto. 
Ecco perché le sembrava sempre di aver capito come sarebbero andate le cose: ascoltare le consentiva di prevedere ciò che sarebbe accaduto.
Non sempre ciò era un vantaggio, tutt'altro. Ma era così.








https://www.youtube.com/watch?v=EiXWCnKw-eE

sabato 26 dicembre 2015

Tornare

Ogni volta che mi capita di tornare nella regione in cui sono nata e in cui ho passato poco meno di un terzo della mia vita, vengo colta da un senso di estraneità. "Che ci faccio qui?" mi capita di pensare e, contemporaneamente, mi sorprendo a constatare che, in fondo, non c'è nessun luogo in cui vi siano le mie radici.

Sono nata in Puglia ma sono stata portata (o "deportata", come un collega simpatico amava dire a proposito della sua situazione assai simile alla mia) pochi mesi dopo in  Liguria, dove ho trascorso la prima parte della mia esistenza.

Alla Liguria sono tuttora molto legata anche se, già da bambina, c'era chi mi considerava un'estranea. "Napoletana": mi chiamava così qualcuno (da Roma in giù, per qualcuno, tutti sono "napoletani") ed io sentivo il peso dell'essere "diversa".

Quando, a dodici anni, la mia famiglia ritornò nella regione d'origine dove io ero nata, scoprii che anche lì mi consideravano un'estranea. Non conoscevo e non capivo il dialetto, avevo abitudini differenti. In sintesi, anche lì ero considerata diversa.
Inoltre, non apprezzavo nulla di quei luoghi (le spiagge della mia amata Liguria erano belle, anche e soprattutto perchè circondate dalle colline) e mal tolleravo la faciloneria e l'invadenza dei più, che veniva definità simpatia e disponibilità. Per me, taciturna e riservata, non era così.

Cominciai allora a pensare che, appena ne avessi avuto la possibilità, sarei andata via. In Liguria, possibilmente, o in qualunque altro luogo purché fosse più confacente a me stessa. Ero ormai consapevole che sarei sempre rimasta comunque un'estranea o, almeno, senza radici.

Quando, più di un quarto di secolo fa, arrivai a Bergamo, città in cui tuttora vivo, pensai che fosse adatta a me. Considerata comunque in principio un'immigrata "terrona" per lavoro, mi sorprendevo sempre più a familiarizzare con i colleghi lombardi piuttosto che con i pugliesi, i siciliani, i calabresi, i laziali, etc.

Non mi mancavano e non mi mancano né l'olio buono né le mozzarelle di bufala né i pomodori "come i nostri".

Insomma, a Bergamo sto davvero bene. Adoro le sue Mura e la sua bellezza, il suo cielo terso dopo una nevicata o dopo la pioggia, la sua efficienza. L'ho adottata come mia città (o Bergamo ha adottato me).
Così,  benché mi dispiaccia, tutte le volte che riparto dalla Puglia, lasciar lì mia madre ormai anziana e gli amici cui sono più profondamente legata, penso sempre che ogni volta, in fondo, mi pesa tanto tornarvi.

(Rielaborazione di un vecchio post precedentemente pubblicato su altro blog)


Macerie d'amore

Mi guardo intorno e sempre più spesso scopro, intorno a me, macerie d'amore.
Coppie che sembravano perfette, indissolubili, unite per l'eternità, che non esistono più e che anzi sono vittime della sofferenza d'amore, del rancore, della cattiveria, dei sensi di colpa per scelte precedenti che hanno fatto male ad entrambi i partner pur se in maniera a volte opposta.
L'amore può essere eterno. Ma a volte finisce. E quando finisce, prenderne atto fa soffrire. Scoprire che l'altro non ha più lo stesso significato fa soffrire entrambi. E, a volte, altri sono coinvolti nella vicenda.
I figli.
Gli amanti. Che non dovrebbero esserci. Ma ci sono. Esistono. E se sono entrati nella nostra storia è perché ne avevamo bisogno. Niente accade per caso o per capriccio.
Se si è lasciato che qualcuno bussasse alla nostra porta e gli abbiamo aperto, era perché ci mancava qualcosa.
E poi più niente è stato come prima.

(Già pubblicato su altra piattaforma il 13 giugno 2010)

Compagno di scuola

Per molti della mia generazione "Compagno di scuola", tratta dall'album "Lilly" di Antonello Venditti e pubblicata nel 1975, è stata una delle canzoni di riferimento. C'era chi pensava con disprezzo al "compagno di scuola" evocato nella canzone, cui, tanti giuravano, mai avrebbero assomigliato. Sbagliavano, come spesso succede.
E molti di noi, attualmente, conoscono perfettamente quelli che davvero non sono diventati "compagni di scuola" e quelli che lo sono diventati ma non lo riconoscono e disprezzano gli altri, identici a loro.
 

 
Davanti alla scuola tanta gente 
otto e venti, prima campana 
"e spegni quella sigaretta" 
e migliaia di gambe e di occhiali 
di corsa sulle scale. 
Le otto e mezza, tutti in piedi 
il presidente, la croce e il professore 
che ti legge sempre la stessa storia 
nello stesso modo, sullo stesso libro, con le stesse parole
da quarant'anni di onesta professione. 
Ma le domande non hanno mai avuto 
una risposta chiara. 
la Divina Commedia, sempre più commedia 
al punto che ancora oggi io non so 
se Dante era un uomo libero, un fallito o un servo di partito
un servo di partito. 


Ma Paolo e Francesca, quelli io me li ricordo bene 

perché, ditemi, chi non si è mai innamorato 

di quella del primo banco, 

la più carina, la più cretina, 

cretino tu, che rideva sempre 

proprio quando il tuo amore aveva le stesse parole, 

gli stessi respiri del libro che leggevi di nascosto 

sotto il banco. 

Mezzogiorno, tutto scompare, 

"avanti! tutti al bar". 

Dove Nietzsche e Marx si davano la mano 

e parlavano insieme dell'ultima festa 

e del vestito nuovo, buono, fatto apposta 

e sempre di quella ragazza che filava tutti (meno che te) 

e le assemblee, i cineforum, i dibattiti 

mai concessi allora 

e le fughe vigliacche davanti al cancello 

e le botte nel cortile e nel corridoio,
 
primi vagiti di un '68 

ancora lungo da venire e troppo breve, da dimenticare! 

E il tuo impegno che cresceva sempre più forte in te... 

"Compagno di scuola, compagno di niente 

ti sei salvato dal fumo delle barricate? 

Compagno di scuola, compagno per niente 

ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?” 

(Antonello Venditti: "Compagno di scuola" - 1975)

(Post già pubblicato sul blog "Sala docenti")