Visualizzazione post con etichetta amore. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta amore. Mostra tutti i post

domenica 24 aprile 2022

Amori difficili

 

"Forse passerà [...] una mattina, a salutare. Solo a salutare, niente di importante. Non servirebbe a niente comunque, perché lei lo sa benissimo, lo sa bene quanto lui che è l'amore, imperfetto e disordinato, a tenerli separati, proprio mentre in qualche modo li unisce [...]."

La citazione, tratta dal romanzo "Gente senza storia" di Judith Guest (Traduzione di Masolino d'Amico, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1977, pg. 277; da questo romanzo è stato tratto il film di Robert Redford  "Gente comune" del 1980), si riferisce alle difficoltà relazionali tra una madre e un figlio coinvolti in una tragedia familiare, ovvero la morte del figlio primogenito, amatissimo dalla madre e modello di riferimento per il fratello. Evidenzia la necessità, in alcuni casi, di rimanere lontani, anche se ci si vuole bene, perché restando vicini si soffrirebbe troppo.


E' una situazione che può riguardare non solo le relazioni tra madri e figli, ma tutte le tipologie di relazione, comprese quelle amicali.

L'amore verso gli altri non è sempre lineare, chiaro, perfetto.

A volte è complicato, doloroso, difficile. Al punto da richiedere una separazione, per evitare di continuare a farsi del male.

sabato 28 dicembre 2019

Il pianto di Rachele e la strage degli innocenti: le responsabilità degli adulti

Muoiono. Cadono sulle strade, impregnate del loro sangue, spesso nei fine settimana, all'alba di una domenica mattina, al termine di una notte da sballo, fatta non più solo di luci stroboscopiche e musica ad altissimo volume ma spesso di pasticche a basso costo e di facile consumo e fiumi di alcol, e corse in automobile e rincorse alla ricerca di un senso di questa vita, di questa storia "anche se questa storia un senso non ce l'ha" come canta Vasco.
Spesso hanno tra i 15 e i 25 anni. Giovani, giovanissimi, che a volte non hanno nemmeno fatto in tempo a diventare anagraficamente adulti.
E noi, adulti attoniti, versiamo lacrime e imprechiamo contro un destino crudele e una società violenta, sbagliata, ingiusta.
Così, spesso, dimentichiamo, noi adulti, che la società è l'insieme di noi tutti.
Noi tutti che abbiamo accettato di rendere facile ciò che un tempo era proibito (anche se lo si faceva ugualmente), che abbiamo disimparato a dire "No", nell'illusione di rendere la vita più facile, senza complicazioni, senza traumi, senza difficoltà.
E invece il bello della vita sta proprio nello sfidarla, nel superare gli ostacoli, nell'affrontare le difficoltà e vincerle. 
Sembra che l'abbiamo dimenticato, noi adulti. Così, ai più giovani, non resta che cercare la sfida: nell'auto lanciata a gran velocità, nella nebbia di un cervello impasticcato, nella giostra di incontri sessuali consumati come un drink. Incapaci di emozioni, perché le emozioni vanno apprese e vanno insegnate, anche se fanno paura, anche se fanno male, anche se rendono fragili ed insicuri, come fragile ed insicura è l'umanità tutta.
Riappropriamoci delle emozioni. Riappropriamoci del pianto, non quello della sofferenza e del dolore di Rachele che piange per le vittime di una cultura falsa e illusoria, ma del pianto di gioia, quello di Filumena Marturano che scopre per la prima volta la forza e la bellezza dell'amore.

sabato 26 gennaio 2019

"Essere felici - Il cinema insegna"

“Io penso che la felicità è quando ti vai a prendere quello che c’è di grande nella vita, anche se devi superare tantissimi ostacoli e difficoltà. Quindi la felicità è una cosa che se proprio la vuoi te la devi andare a prendere. A questa cosa ci penso molto spesso, perché io delle volte mi sento solo e disperato, ma altre volte sento proprio di essere felice.
E non ho detto allegro, contento, sereno, ho proprio detto felice!
Di solito però gli altri, le persone normali, vogliono che stai in difesa, che fai catenaccio, è come se non ci credono che ci sono le cose grandi da andarsi a prendere in attacco. In difesa uno soffre meno, ma non so se può davvero essere felice.
[…] Una cosa molto importante per essere felici sono le persone speciali, una persona speciale è quella che ti fa capire che in attacco ci sono le cose grandi e che stare in difesa è un peccato. Oppure sei tu che gli fai capire che in attacco ci sono le cose grandi e allora sei molto felice di farglielo capire.

Io ci provo ad essere felice, costi quello che costi. Certo, mica si può essere felici di tutto, però forse basta esserlo di qualcosa, che poi quel qualcosa illumina tutto il resto… e siamo salvi.” (Tratto dalla sceneggiatura del film “Banana” di  Andrea Jublin. Italia, 2015)


mercoledì 10 ottobre 2018

Per sempre

Giura che lo ama. 

Che resteranno insieme per sempre. 

Che da quando lo ha incontrato, la sua vita ha avuto, finalmente, un senso.

Hanno festeggiato il loro anniversario con un video pubblicato su un social network, affinché tutti sapessero dell'importanza del loro amore.
Ho sorriso e ho provato tenerezza e timore guardando quel video. Loro hanno 16 anni.
Io quasi 60.
E ho imparato che gli amori giovanili spesso svaniscono, con la stessa immediatezza con cui sono nati.
(Rielaborazione di un vecchio post già pubblicato sulla piattaforma Splinder)

sabato 7 luglio 2018

Il cuore non basta

"Figli si nasce, genitori no." recitava uno slogan di una trentina di anni fa. L'esperienza genitoriale, da sempre sfidante, è diventata parecchio complessa soprattutto negli ultimi decenni. Non bastano l'intuito e l'amore di una madre e di un padre per evitare di commettere errori gravissimi nel crescere i propri figli. Gli studi specifici hanno dimostrato e dimostrano con sempre più precisione quanto possano influire ed essere deleteri i comportamenti dei genitori sullo sviluppo di ciascun figlio. La cui educazione, di fatto, inizia già nel momento del concepimento. L'idea che i genitori si fanno della creatura che sta per nascere comincerà già ad influire su ciò che quella creatura diventerà. 
Forse sarebbe il caso che i futuri genitori e i genitori stessi seguissero corsi specifici di aggiornamento per imparare ad essere genitori. Genitori si diventa e si impara ad esserlo studiando, leggendo testi specifici. Perché tutto l'amore del mondo e l'intuito di una madre e di un padre non bastano più.



mercoledì 6 giugno 2018

Dimostrami di amarmi

Alessio (il nome è fittizio ma la vicenda è reale), 17 anni, durante uno di quei momenti di confessione che a scuola accadono tra studenti e docenti, rivela che non sa più quale espediente escogitare per catturare l'attenzione dei suoi genitori che, a suo dire, non lo considerano affatto.
"Per loro è come se non esistessi. Di me, a loro, non importa nulla. Mi lasciano libero di andare dappertutto senza chiedermi nulla. Affermano che lo fanno per rispettare la mia libertà. Secondo me lo fanno per rispettare la loro libertà. Non si preoccupano affatto di me. Io, per catturare la loro attenzione, ho fatto di tutto, sono rientrato a casa di notte sempre più tardi. Mai un rimprovero, mai. Niente. Per loro non esisto."
Riflettano quei genitori che, come quelli di Alessio, hanno dimenticato che il loro ruolo non è quello di essere amici e complici dei loro figli ma quello di educare, indicare un modello di vita, trasmettere sogni, passioni, definire regole e farle rispettare. 
L'adolescente, per crescere, ha bisogno  di sfidare regole e limiti per sentirsi vivo e per dare un senso a ciò che vive. Ma se i limiti e le regole non esistono più, i più giovani si sentiranno sempre più soli, sempre più vuoti, sempre meno amati.

giovedì 18 maggio 2017

Non è una malattia

Sentii parlare di omosessualità, per la prima volta, nel novembre del 1975. Intendo dire che ne sentii parlare in modo serio, senza risolini o battutacce, quelle che tanto piacciono agli uomini di tutte le età.
Il 2 novembre 1975 era stato ucciso Pier Paolo Pasolini e Pino Pelosi, "diciassettenne legato al mondo della prostituzione maschile" (come si legge su "L'Italia del '900 - 1972 - 1975" di Enzo Biagi in collaborazione con Loris Mazzetti, Rizzoli, Milano, 2007, pag. 219), aveva confessato di essere l'assassino.
Io frequentavo la quarta ginnasio. La mia insegnante di lettere ce ne parlò e ci invitò a leggere quotidiani e riviste per documentarci sull'argomento. Già da allora emergevano forti dubbi e interrogativi su quello che potesse essere davvero accaduto. Tuttavia ciò che, soprattutto su certa stampa, si tendeva a mettere in evidenza, erano le abitudini sessuali di Pasolini. Non la sua lucidità e la sua perspicacia intellettuale.
Lo confesso. Io, all'epoca, non leggevo molto i quotidiani, se non la "Gazzetta" locale. Ugualmente, tra i settimanali, mi informavo su "Famiglia Cristiana", "Gente", "Oggi" e (mi vergogno un po' ad ammetterlo adesso, ma è così) "Bolero telefilm", ovvero i giornali che trovavo in casa mia.
Così, quando l'insegnante ci assegnò un tema di attualità sull'argomento ed io, alla luce delle mie fonti, scrissi che, in fondo, bisognava compatire Pasolini perché era malato di omosessualità, mi ritrovai con il compito corretto dall'insegnante che, a margine di tale affermazione, aveva scritto, in rosso e a caratteri cubitali: "Non è provato che l'omosessualità sia una malattia, può essere una libera scelta dell'individuo che asseconda una sua naturale tendenza!".
Restai confusa. Per qualche mese non mi interessai più della questione, anche se, studiando, scoprivo man mano che molti grandi personaggi della storia avevano questa malattia o tendenza, come affermava la mia insegnante: Leonardo da Vinci, Michelangelo, Alessandro Magno, ecc..
Non solo: nell'antichità greca e romana il rapporto più sublime e nobile era considerato proprio quello tra due uomini e non quello tra un uomo e una donna, che si accoppiavano spesso solo per procreare.
Accadde poi che qualche mese più tardi, era la primavera del 1976, il collettivo studentesco organizzò un incontro pomeridiano sull'omosessualità all'interno del nostro istituto. Oltre al preside e agli insegnanti, erano presenti esperti e si annunciava anche la presenza di chi avrebbe fornito la propria testimonianza in proposito.
Come molti, anch'io avevo in mente la macchietta tipica dell'omosessuale: una persona effeminata, volutamente provocatoria e anche un po' ridicola e patetica. Mi aspettavo fosse così la persona che avrebbe parlato della sua esperienza.
Con meraviglia invece scoprii che proprio il giovane uomo più bello e più "maschio", quello che tutte le ragazze avevano notato al suo ingresso, quello che pensavamo fosse un medico o uno psicologo appetibile (non aveva la fede!) era una "checca".
Esordì proprio così: "Salve, mi chiamo Mario e sono una checca."
Proseguì con il racconto della sua vita, quello di chi si sente rifiutato in primo luogo dai genitori ovvero da chi dovrebbe amarlo per quello che è e non per quello che vorrebbe che fosse. E poi una vita ai margini, con il terrore e l'angoscia di chi non riesce e non può essere sé stesso. E allora la frequentazione di certi ambienti marginali e squallidi diventa quasi una necessità, come se ci si volesse punire per la propria diversità, per la propria "malattia". Un dramma individuale, prima che un dramma sociale. Soprattutto perché non ci si sente compresi. Soprattutto perché c'è chi si ostina a dire che si può guarire. O che ci si deve tenere, senza ostentare o fingendo, la propria diversità. Come se la diversità fosse una colpa anziché una ricchezza, un'occasione di confronto per sfuggire all'omologazione.
Questo ho imparato in quel pomeriggio del 1976.
Ho imparato che rispettare gli altri significa rispettare la loro libertà. Un bene prezioso che tutti hanno il diritto di esercitare senza ledere la libertà altrui.
(Post già pubblicato il 6 febbraio 2009 sulla piattaforma Splinder, successivamente sul blog "La panchina in cima al monte" e su questo blog il 10 Gennaio 2016)

venerdì 12 maggio 2017

Gente comune

"Forse passerà [...] una mattina, a salutare. Solo a salutare, niente di importante. Non servirebbe a niente comunque, perché lei lo sa benissimo, lo sa bene quanto lui che è l'amore, imperfetto e disordinato, a tenerli separati, proprio mentre in qualche modo li unisce [...]."
La citazione, tratta dal romanzo "Gente senza storia" di Judith Guest (Traduzione di Masolino d'Amico, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1977, pg. 277), si riferisce alle difficoltà relazionali tra  una madre e un figlio coinvolti in una tragedia familiare, ovvero la morte del figlio primogenito, amatissimo dalla madre e modello di riferimento per il fratello. Evidenzia la necessità, in alcuni casi, di rimanere lontani, anche se ci si vuole bene, perché restando vicini si soffrirebbe troppo.
E' una situazione che può riguardare non solo le relazioni tra madri e figli, ma tutte le tipologie di relazione, comprese quelle amicali.
L'amore verso gli altri non è sempre lineare, chiaro, perfetto. 

A volte è complicato, doloroso, difficile. Al punto da richiedere una separazione, per evitare di continuare a farsi del male.

lunedì 6 marzo 2017

Come in amore (e lo sostiene anche Galimberti!)

Leggo che Umberto Galimberti (http://wisesociety.it/incontri/umberto-galimberti-la-nostra-societa-ad-alto-tasso-di-psicopatia-non-e-adatta-a-fare-figli/) sostiene che la scuola può rimediare alle carenze affettive vissute in famiglia trasmettendo i suoi contenuti con passione, facendo leva sulle emozioni degli studenti ed insegnando loro ad appassionarsi.

Qualcosa del genere aveva già scritto Antonella Landi, in un suo articolo pubblicato il 10 settembre 2011 sulle pagine fiorentine del "Corriere della Sera" dedicate a "I quaderni della Profe", la sua rubrica settimanale, esprimendosi così: "A scuola è come in amore: bisogna essere in due a voler far funzionare il giochino.".


Altrimenti, avevo aggiunto io qualche tempo dopo, in occasione di una delle più memorabili sfuriate che mi sia capitato di fare agli studenti, diventa masturbazione. Masturbazione intellettuale, ma sempre masturbazione è.



In quell'occasione, loro, gli studenti, apprezzarono. Chiesero di scrivere la frase sulla lavagna.
Ci eravamo chiariti. Ci eravamo rappacificati.
Stavano seguendo attentamente, prendendo diligentemente gli appunti per prepararsi alla prossima verifica scritta. E anch'io procedevo in modo spedito e preciso, attenta ad ogni dubbio o richiesta che provenisse da loro.
Ci eravamo chiesti reciprocamente scusa e sembrava che nulla, in precedenza, fosse accaduto.



Proprio come succede dopo un litigio tra innamorati. Proprio come succede in amore.

mercoledì 11 maggio 2016

A scuola si fa

A scuola si legge, si discute, si impara.
Basta avere la voglia di farlo.
"Ovunque è stabilito che è riprovevole essere coinvolti in una relazione omosessuale (letteralmente: 'Soddisfare gli amanti, charizesthai herastais') ciò è dovuto a difetto dei legislatori, al dispotismo da parte dei governanti, a viltà da parte dei governati" (Simposio, 182 d)", citazione dell'articolo di U. Galimberti dal titolo "Se l'amore è messo all'indice", pubblicato su "La Repubblica" del 30 ottobre 2004 e riportato nel manuale scolastico di P. Cataldi, E. Angioloni, S. Panichi "La letteratura e i saperi - Dal secondo Ottocento a oggi - Vol. 3", Palumbo Editore, 2012, a pagina 621.

venerdì 19 febbraio 2016

Chiedi di più

Ci prendevano in giro perché anziché (o oltre che) ascoltare Bob Marley o Patti Smith ascoltavamo Renato Zero, Umberto Tozzi e i Pooh.
Ci guardavano scambiarci "Tregua", "Gloria", "Boomerang" e i loro sguardi non nascondevano la loro riprovazione, come se stessimo commettendo chissà quale misfatto. Ma per le orecchie nobilissime dei ragazzi del nostro gruppo "quelli lì" erano improponibili.
Così noi ci incontravano in separata sede, a casa dell'una o dell'altra, e lì ascoltavamo canzoni d'amore che ci facevano sognare, meditare, a volte piangere perché troppo forte era la sofferenza d'amore che provavamo o pensavamo di provare.

CHIEDI DI PIÙ

Renato Zero > Tratto dall'Album "Tregua" (1980)


Se un amore muore, 
Una ragione ci sarà. 
Forse il coraggio sta morendo! 
Poche parole 
Una valigia, una bugia, 
Ma solo chi rimane 
Sa il buio cosa sia…! 
Allarga le tue braccia, 
A chi ti cercherà… 
A chi ti tenderà le braccia! 
A chi è pronto a sconfiggere 
La noia la dov’è. 
A chi di questo amore… 
Ha fame come me! 
Non voltarti indietro mai, 
Sarò felice se ce la farai! 
Se vedrai che dopo me, 
C’è ancora vita, 
Una speranza c’è! 
Malgrado tutto resteremo noi… 
Coi nostri dubbi dissipati mai! 
…Solo noi, ancora noi! 
No! 
A chi vorrà stupirti… 
No! 
A chi non sa accarezzarti… 
No! 
Non basterà una promessa… 
No! 
Se poi la fine è la stessa… 
Chiedi di più, 
Chiedi molto di più, ora…! 
Chiedi di più, 
Di un incontro qualunque 
Di un triste su e giù! 
Chissà che faccia avrà 
Chi mi sostituirà? 
Come saranno le sue mani! 
Basta che sappia darsi come ho fatto io! 
Che non sia solo un gioco, 
Solo un mestiere il suo! 
No! 
A chi gli basta sognarti… 
No! 
A chi vorrà violentarti… 
No! 
Se quel tuo istinto non sbaglia… 
No! 
Se l’anima tua si sveglia… 
Chiedi di più 
No! 
Perché non sei una puttana… 
No! 
Perché io ogni notte sto in pena… 
No! 
Forse non ero il migliore… 
No! 
Ma ti ho insegnato l’amore…

giovedì 18 febbraio 2016

Addii

Arriva, inevitabilmente, il momento di dire addio.
A chi si ama, a chi si è amato e non si ama più, a chi si ama ancora ma occorre lasciare per non soffocare l'anelito di libertà che c'è in ognuno di noi, per non continuare a farsi male perché a volte, pur amandosi, non si riesce a stare vicini.
Un addio fa male ma a volte è necessario.
Per non continuare a soffrire, per tornare ad essere vivi, per tornare ad essere sé stessi.

sabato 6 febbraio 2016

Folle passione

Non è follia la mia, sostiene l'amica del cuore, ma passione.
Passione ed amore per la vita, curiosità, interesse ed attenzione, desiderio. E' il bisogno di essere nelle cose e di non farsi travolgere dalle stesse. E' la voglia di vivere che sempre, anche nei momenti più oscuri, che pur necessariamente si attraversano, non manca mai e trova sempre un appiglio cui aggrapparsi, per ritrovarsi poi ad assaporare la bellezza e la gioia di essere, di esserci.

(Già pubblicato su altra piattaforma il 29 settembre 2011)

mercoledì 3 febbraio 2016

Famiglia e società civile

La famiglia la si sostiene insegnando ad amarsi reciprocamente incondizionatamente, accettando, ciascuno dei componenti e comunque sia composta, di rispettare l'altro amandolo per come è e non per come si vorrebbe che fosse, accettando le sue scelte e il suo modo di essere sé stesso.
Il rispetto reciproco lo si impara in famiglia. Solo così potrà poi esistere all'interno delle altre strutture sociali e nella società stessa. Il resto sono solo parole, proclami, ideologie. Così credo che debba essere una famiglia. Così credo debba essere una società che si definisce civile.

giovedì 21 gennaio 2016

"Chissà se mi ritroverai"

Suonavano le note di questa canzone mentre la loro storia, iniziata poco meno di due mesi prima, finiva. Sembrava una storia importante così come appaiono, nell'entusiasmo dell'innamoramento adolescenziale, tutte le storie. O, almeno, lei credeva che fosse una storia importante.

Invece erano troppo diversi: per lei l'impegno veniva prima di ogni cosa. L'impegno verso ogni sua attività: prendeva tutto sul serio. Lui invece era più leggero, meno integralista, più possibilista. Continuarono a restare amici, tuttavia, per qualche tempo. Lui l'accompagnò, il pomeriggio del 31 dicembre di qualche anno dopo, in riva al mare, a distruggere, con un falò, i  tre diari-agenda su cui lei si era raccontata la sua vita degli ultimi tre anni. Un gesto simbolico per voltare pagina.

Del resto, anche lui continuava a raccomandarle di volersi più bene ed essere ancora più esigente con gli altri, piuttosto che con se stessa, di quanto già non lo fosse.

Dopo quella volta si videro solo sporadicamente e poi si persero di vista.





“Chissà se mi ritroverai” Gianni Togni (1980)


Amore com’era facile da dire
amore da solo non sapevo mai che fare
quando ogni giorno
aveva il tuo nome

Amore cercare sempre di cambiare insieme
amore chiedersi tutto senza aver pudore
ci siamo persi tra la gente
di te non so più niente

Chissà se mi ritroverai
ed io saprò farti capire
cosa sei stata amore
in qualche piccola stazione
in qualche posto senza cuore
con l’aria di chi sta lì per errore
chissà se mi troverai

Amore era la cosa più normale
amore e mi domando adesso che rimane
di quelle notti
delle nostre parole

Amore la realtà non mi fa più paura
amore nella mia testa non c’è confusione
niente da perdonare
né da dimenticare

Chissà se mi ritroverai
così per caso sulla strada
che strana questa vita
in una sera come tante
in un’estate già finita
di me allora che penserai
chissà se mi ritroverai

Chissà se mi ritroverai
se parleremo un po’ di noi
come buoni amici
in qualche piccola città
nascosti dentro qualche bar
con le tue incertezze con la mia età
chissà se mi ritroverai

(Già pubblicato su altra piattaforma l'11 maggio 2010)

mercoledì 13 gennaio 2016

A scuola di felicità

Si può imparare la felicità? C'è chi sostiene che sì, che attraverso il Coaching ci si possa allenare alla felicità.
L'idea è quella di individuare proprio attraverso la tecnica del  Coaching il talento o i talenti di cui ciascuno di noi è naturalmente dotato. Successivamente il proprio talento dovrà essere sfruttato per poter arrivare a fare ciò che davvero ci piace.
Se è vero, infatti, che siamo felici quando facciamo ciò che ci piace, il segreto della felicità dovrebbe essere nella costruzione di una vita di relazioni in cui ciascuno possa esprimere sé stesso.
Occorrerà naturalmente essere in grado di fare i conti con il proprio passato e ciò potrà essere tanto più complicato quanto più avremo impostato false relazioni con chi ci circonda.
Nei rapporti umani il rischio è infatti quello di voler compiacere coloro cui si vuole bene (i genitori, gli amici, il partner, etc.) scegliendo non ciò che si desidera davvero per sè stessi ma ciò che altri giudicano più adatto a noi.
La costruzione  della propria vita è difficile e complicata ma occorre far sì che tale difficoltà non impedisca di guardarsi dentro a fondo per poter poi determinare le proprie scelte individuando gli obiettivi del proprio benessere in ciò che noi stessi potremmo realizzare. 
Ciò significa innanzi tutto imparare a star bene con sé stessi e non affidare la propria felicità a qualcosa/qualcuno esterno da noi. 
Gli altri potranno certamente arricchire la nostra vita ma se non saremmo noi stessi gli unici da cui dipendere per realizzare i nostri sogni non potremo mai essere felici.

Le ragioni del cuore

"Se ne farà una ragione", gli aveva risposto, quando lui le aveva parlato di Marco, della sua sofferenza, della sua difficoltà ad accettare la loro separazione.
Marco era un suo collega e il suo migliore amico, gli dispiaceva non riuscire a far nulla per lui. E forse proprio per questo, quando l'aveva incontrata, le aveva parlato di lui.
Ora, di fronte a quella risposta, di fronte a quel "Se ne farà una ragione", era ammutolito e imbarazzato.
Ricordava di averli visti felici insieme, una coppia solida e complice che suscitava l'ammirazione (e a volte anche un po' di invidia) degli altri. E poi...
E poi tutto era finito. Senza nessun segnale. Improvvisamente. Come un uragano che aveva travolto la vita di coppia di Marco che, gli aveva raccontato, era convinto che lei fosse la donna della sua vita e con lei sarebbe rimasto per sempre. Gli aveva parlato di lei, dopo averla incontrata, proprio in questi termini: lei era la sua donna ideale, era una storia definitiva.
Ma in amore non esistono le definizioni. L'amore non si definisce. Ha bisogno di cure, quotidiane, costanti, continue. Altrimenti, come una pianta trascurata, muore.
Marco non aveva capito che quell'amore che credeva eterno si stava consumando nella noia quotidiana, nella certezza di una definizione. Aveva dato per scontato quell'amore.
Lei c'era, era lì per sempre. E, certo di questo, non aveva colto i segnali che lei, da un certo momento in poi, aveva cominciato a mandargli.
Usciva sempre più spesso, con un'amica. Con le amiche. Da sola. Comunque senza di lui.
A pensarci bene, a differenza del passato, non sembravano nemmeno più tanto solidi e complici.
Di quel periodo ricordava di averla incontrata qualche volta per caso. Da sola. O con qualche amica. Ricordava anche che, in un paio di quelle occasioni, lei si era lamentata dell'eccessivo carico di lavoro di Marco. "E' a casa, sta lavorando." oppure "Sai, lo vedi più tu di quanto non lo veda io."
Non aveva considerato quelle risposte fino a quando, una mattina di settembre, Marco era arrivato in ufficio in ritardo, scompigliato, trasandato, stravolto. "Mi ha lasciato." Gli aveva detto.
Erano passati cinque anni da allora. Quella coppia non esisteva più, almeno per l'anagrafe.
Tuttavia, nonostante fosse passato un po' di tempo, Marco non riusciva a farsene una ragione.
E come avrebbe potuto? Lui la amava. Di un amore definitivo. Che, una volta conquistato, non ha bisogno di cure. Lei c'era e ci sarebbe stata per sempre. Così aveva pensato lui, il giorno del loro matrimonio.
Tale era la sua convinzione. E questo, forse, gli aveva impedito di vedere negli occhi di lei un'ombra, quell'ombra che, a poco a poco, era diventato grigiore e noia.
Quella stessa convinzione gli aveva impedito di ascoltare i pianti notturni di lei, pianti soffocati per non farsi sentire da lui che, sereno come un angioletto, dormiva al suo fianco.
Era stato difficile per lei prendere atto di quanto stava accadendo. Ma i segnali c'erano. Tutti.
Non riusciva più a vedere negli occhi di Marco quelli del ragazzo che l'aveva incantata al primo sguardo, che l'aveva conquistata con la sua intelligenza e la sua creatività, che l'aveva fatta piangere di gioia e di timore che altre lo seducessero e glielo portassero via, che l'aveva avvolta magicamente e le aveva fatto credere di essere la più fortunata e la più felice di tutte le donne.
Lui la amava ancora. Era quello il suo modo di amare.  Ma lei non lo amava più. Aveva cercato di parlargliene ma lui non era stato capace di ascoltarla.
E quando, dopo aver meditato a lungo, aveva preso la sua decisione, una decisione irrevocabile, gliela aveva comunicata.
Era andata via.
"Se ne farà una ragione", aveva pensato.
Trascurando che, come aveva imparato leggendo "I pensieri" di Pascal, "il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce".
(Vecchio post già pubblicato sul blog "La panchina in cima al monte")

domenica 10 gennaio 2016

Non è una malattia

Sentii parlare di omosessualità, per la prima volta, nel novembre del 1975. Intendo dire che ne sentii parlare in modo serio, senza risolini o battutacce, quelle che tanto piacciono agli uomini di tutte le età.
Il 2 novembre 1975 era stato ucciso Pier Paolo Pasolini e Pino Pelosi, "diciassettenne legato al mondo della prostituzione maschile" (come si legge su "L'Italia del '900 - 1972 - 1975" di Enzo Biagi in collaborazione con Loris Mazzetti, Rizzoli, Milano, 2007, pag. 219), aveva confessato di essere l'assassino.
Io frequentavo la quarta ginnasio. La mia insegnante di lettere ce ne parlò e ci invitò a leggere quotidiani e riviste per documentarci sull'argomento. Già da allora emergevano forti dubbi e interrogativi su quello che potesse essere davvero accaduto. Tuttavia ciò che, soprattutto su certa stampa, si tendeva a mettere in evidenza, erano le abitudini sessuali di Pasolini. Non la sua lucidità e la sua perspicacia intellettuale.
Lo confesso. Io, all'epoca, non leggevo molto i quotidiani, se non la "Gazzetta" locale. Ugualmente, tra i settimanali, mi informavo su "Famiglia Cristiana", "Gente", "Oggi" e (mi vergogno un po' ad ammetterlo adesso, ma è così) "Bolero telefilm", ovvero i giornali che trovavo in casa mia.
Così, quando l'insegnante ci assegnò un tema di attualità sull'argomento ed io, alla luce delle mie fonti, scrissi che, in fondo, bisognava compatire Pasolini perché era malato di omosessualità, mi ritrovai con il compito corretto dall'insegnante che, a margine di tale affermazione, aveva scritto, in rosso e a caratteri cubitali: "Non è provato che l'omosessualità sia una malattia, può essere una libera scelta dell'individuo che asseconda una sua naturale tendenza!".
Restai confusa. Per qualche mese non mi interessai più della questione, anche se, studiando, scoprivo man mano che molti grandi personaggi della storia avevano questa malattia o tendenza, come affermava la mia insegnante: Leonardo da Vinci, Michelangelo, Alessandro Magno, ecc..
Non solo: nell'antichità greca e romana il rapporto più sublime e nobile era considerato proprio quello tra due uomini e non quello tra un uomo e una donna, che si accoppiavano spesso solo per procreare.
Accadde poi che qualche mese più tardi, era la primavera del 1976, il collettivo studentesco organizzò un incontro pomeridiano sull'omosessualità all'interno del nostro istituto. Oltre al preside e agli insegnanti, erano presenti esperti e si annunciava anche la presenza di chi avrebbe fornito la propria testimonianza in proposito.
Come molti, anch'io avevo in mente la macchietta tipica dell'omosessuale: una persona effeminata, volutamente provocatoria e anche un po' ridicola e patetica. Mi aspettavo fosse così la persona che avrebbe parlato della sua esperienza.
Con meraviglia invece scoprii che proprio il giovane uomo più bello e più "maschio", quello che tutte le ragazze avevano notato al suo ingresso, quello che pensavamo fosse un medico o uno psicologo appetibile (non aveva la fede!) era una "checca".
Esordì proprio così: "Salve, mi chiamo Mario e sono una checca."
Proseguì con il racconto della sua vita, quello di chi si sente rifiutato in primo luogo dai genitori ovvero da chi dovrebbe amarlo per quello che è e non per quello che vorrebbe che fosse. E poi una vita ai margini, con il terrore e l'angoscia di chi non riesce e non può essere sé stesso. E allora la frequentazione di certi ambienti marginali e squallidi diventa quasi una necessità, come se ci si volesse punire per la propria diversità, per la propria "malattia". Un dramma individuale, prima che un dramma sociale. Soprattutto perché non ci si sente compresi. Soprattutto perché c'è chi si ostina a dire che si può guarire. O che ci si deve tenere, senza ostentare o fingendo, la propria diversità. Come se la diversità fosse una colpa anziché una ricchezza, un'occasione di confronto per sfuggire all'omologazione.
Questo ho imparato in quel pomeriggio del 1976.
Ho imparato che rispettare gli altri significa rispettare la loro libertà. Un bene prezioso che tutti hanno il diritto di esercitare senza ledere la libertà altrui.
(Post già pubblicato il 6 febbraio 2009 sulla piattaforma Splinder e successivamente sul blog "La panchina in cima al monte")

domenica 3 gennaio 2016

Per sempre

Giura che lo ama. Che resteranno insieme per sempre. Che da quando lo ha incontrato, la sua vita ha avuto, finalmente, un senso.
Hanno festeggiato il loro anniversario con un video pubblicato su un social network, affinché tutti sapessero dell'importanza del loro amore.
Ho sorriso e ho provato tenerezza e timore guardando quel video. Loro hanno 16 anni.
Io quasi 55.
E ho imparato che gli amori giovanili spesso svaniscono, con la stessa immediatezza con cui sono nati.
(Già pubblicato sul blog "Sala Docenti")