Appena
arrivata al liceo, cominciai a sentir parlare di "mobilitazione".
Era
passato poco più di un lustro dal periodo delle grandi contestazioni
studentesche, i decreti delegati erano entrati in vigore da circa due anni e
tutti, anche coloro che li consideravano un "contentino" concesso dal
potere costituito per placare la rivolta studentesca, cercavano di utilizzarli
al meglio: erano comunque un'occasione di democrazia nella scuola, un'occasione
di partecipazione e, dunque, parafrasando Gaber, di libertà.
Certo,
le ore mensili di assemblee concesse erano ben poca cosa rispetto alle
assemblee permanenti di qualche stagione prima, ma gli studenti non si
perdevano d'animo.
Mi
accadde così di assistere, nel dicembre del 1975, alla convocazione immediata
di un'assemblea non autorizzata.
I
leader del movimento studentesco della mia scuola bussarono alla porta,
salutarono l'insegnante di lettere (al ginnasio di solito in aula c'è sempre
l'insegnante di lettere, dato che svolge le sue 18 ore settimanali su una sola
classe) e dissero: "Vorremmo avvisare gli studenti che tra mezz'ora è
convocata un'assemblea non autorizzata degli studenti, assemblea che si
svolgera nel cortile della scuola. Se volete partecipare, ed è un vostro
diritto, lasciate l'aula e raggiungeteci in cortile." Salutarono e se ne
andarono.
Noi
ci guardammo perplessi e poi rivolgemmo uno sguardo interrogativo verso
l'insegnante. Avevamo tutti tra i tredici e i quattordici anni. Qualcuno di noi
forse era un po' più informato ma di politica, intesa in senso lato, non
capivamo quasi nulla.
L'insegnante,
una bella donna di circa 35 anni, ideologicamente orientata, senza strafare, a
sinistra, non disse nulla. Aspettò le nostre domande. Parlò Lara, la più brava
della classe nonché rappresentante degli studenti.
"Possiamo
farlo?" chiese.
"In
teoria no, dato che non sareste autorizzati e potreste incorrere in un
provvedimento disciplinare del Consiglio di Classe o del Preside. In pratica,
se volete, fatelo, ma ve ne assumerete la responsabilità. Qualora
decidiate di andare, sappiate che per domani avevo intenzione di spiegare tale
argomento di latino. Vorrà dire che lo studierete per conto vostro e porterete
la versione relativa a pagina xx."
Così
disse.
Io
e Laura, la mia compagna di banco, ci guardammo. Se fossimo andate, cosa che
morivano dalla voglia di fare e ci era bastato guardarci per saperlo, avremmo
dovuto fare i conti con l'ira funesta dei nostri genitori. Però volevamo
capire, volevamo sapere.
L'insegnante
riprese la lezione.
Arrivata
l'ora dell'assemblea non autorizzata, la rappresentante alzò la mano e, su
cenno dell'insegnante che la autorizzava a parlare, disse: "Professoressa,
mi perdoni, ma io vorrei partecipare a quella assemblea, assumendomene le
responsabilità."
Raccolse
i suoi libri, salutò, si alzò dal suo banco e si avvicinò alla porta.
Immediatamente, tutti noi della IV C seguimmo il suo esempio. Guardammo
dispiaciuti, ma non impauriti, l'insegnante e raggiungemmo il cortile.
Là
c'erano altri studenti. Una buona parte di studenti. Non tutti.
Uno
dei leader cominciò a parlare. "E' iniziata la mobilitazione!" urlò
alla folla.
Ed
io, guardando Laura, pensai che era iniziata anche la mia mobilitazione. (continua)
(Post già pubblicato su "Sala docenti" - Per rispetto della privacy alcuni dati sono stati cambiati ma, sostanzialmente, la vicenda è realmente accaduta)