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mercoledì 6 novembre 2019

Ciò che non si doveva dire (e che ancora si preferisce non dire)

A Taranto, come recita la mia carta d'identità, ci sono nata, per quanto vi abbia vissuto poco.

Non ho mai amato Taranto. Mai. Ho sempre respirato a fatica la sua aria infetta, pesante, che lasciava, lo ricordo bene, un tappeto di polvere nera sul balcone della casa di mia nonna, dove trascorrevo, a volte, le mie vacanze estive.
Erano gli anni '60 - '70.
Nel frattempo l'aria diventava sempre più irrespirabile. Un numero sempre maggiore di residenti (anche tra i miei parenti) si ammalava. Moriva.
Ma Taranto accettava. L'Italsider (come molti, fino a qualche tempo fa continuavano a chiamare quella che sarebbe diventata l'Ilva e attualmente Arcelor Mittal) dava lavoro ai tarantini della città e della provincia. Di fronte al lavoro si chiudeva un occhio. Anche due. 
In qualche caso si ricorreva all'amico sindacalista, al parroco, a chi poteva garantire un'assunzione. Il sistema clientelare si autoalimentava creando l'illusione del benessere. 
E non importava se un lavoro, quel lavoro, avrebbe potuto chiedere in cambio la propria salute, la propria vita.

Poi è accaduto qualcosa. La magistratura, finalmente, dopo cinquant'anni, ha sollevato il caso Ilva, e così si è cominciato a parlare di ciò che, almeno a Taranto, tutti sapevano ma nessuno aveva voglia parlarne.
Perché certe cose non si possono (e/o non si vogliono) dire.

domenica 6 ottobre 2019

Voto ai sedicenni

"Parliamone", mi sono detta. Così, ho interpellato gli studenti delle classi cui sono stata assegnata quest'anno: una classe prima, una quarta, una quinta di un Istituto Professionale, frequentate da studenti che hanno, rispettivamente, tra i 14 e 16 anni, tra i 17 e i 19 anni e tra i 17 e i 23 anni.
Ho chiesto loro di esprimersi, dichiarando se fossero favorevoli o contrari all'idea di offrire la possibilità di votare ai sedicenni, eventualmente motivando la propria opinione.
I risultati hanno evidenziato una netta differenza tra gli studenti più piccoli e quelli delle classi quarte e quinte.
Dei 20 studenti della classe prima, 14 si sono detti favorevoli e 6 contrari.
Su 14 studenti della classe quarta, solo 1 si è dichiarato favorevole alla proposta, contrari i restanti 13.
Ugualmente, nella classe quinta, su 15 studenti, 14 si sono dichiarati contrari e solo 1 favorevole.
"A 16 anni non si è ancora maturi." o "A 16 anni è molto più facile farsi condizionare dagli adulti." sono state le ragioni addotte per motivare la propria contrarietà alla proposta.
Sono saggi i nostri ragazzi. A volte molto più di tanti adulti che parlano tanto e ascoltano poco o nulla.



mercoledì 31 ottobre 2018

Il vizio della memoria - "Io so"

"Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
[...]
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. [...]
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
[...]
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
(Tratto da "Corriere della Sera", 14 novembre 1974 -
"Cos'è questo golpe? Io so"
di Pier Paolo Pasolini)


lunedì 29 ottobre 2018

Obiettori di coscienza e piccole storie ignobili

A chi si ostina a tuonare contro la 194, sarebbe opportuno ricordare che l'aborto è sempre esistito. La 194 del 1978 è stata solo (e finalmente, nonostante le sue imperfezioni) la legge che lo ha regolamentato, nel tentativo di evitare che le donne delle classi più povere o le minorenni morissero di setticemia sotto i ferri da calza delle mammane. Noi che c'eravamo ce lo ricordiamo e vorremmo che tutti ricordassero che tanti obiettori di coscienza erano in precedenza proprio coloro che, clandestinamente e compensati con ricche parcelle, praticavano gli aborti clandestini.
Quegli stessi aborti clandestini evocati da Francesco Guccini nel 1976 con "Piccola storia ignobile".



"E così ti sei trovata come a un tavolo di marmo desiderando quasi di morire,
presa come un animale macellato stavi urlando, ma quasi l'urlo non sapeva uscire
e così ti sei trovata fra paure e fra rimorsi davvero sola fra le mani altrui,
che pensavi nel sentire nella carne tua quei morsi
di tuo padre, di tua madre e anche di lui,
di tuo padre, di tua madre e anche di lui,
di tuo padre, di tua madre e anche di lui.

Ma che piccola storia ignobile sei venuta a raccontarmi, non vedo proprio cosa posso fare.
Dirti qualche frase usata per provare a consolarti o dirti: "è fatta ormai, non ci pensare".
E' una cosa che non serve a una canzone di successo e non vale due colonne su un giornale,
se tu te la sei voluta cosa vuoi mai farci adesso
e i politici han ben altro a cui pensare
e i politici han ben altro a cui pensare
e i politici han ben altro a cui pensare..."

sabato 27 ottobre 2018

"Libertà è partecipazione"

"La libertà non è star sopra un albero [...] libertà è partecipazione" cantava Giorgio Gaber nei primi anni Settanta.
Cosa significa "libertà è partecipazione"? Significa "essere nel gioco della vita", significa "mettersi in gioco" (citando testualmente le parole di due adolescenti cui è stato chiesto di spiegare il significato della frase).
Ma quanti, davvero, hanno voglia di farlo? Quanti hanno voglia di prendersi le responsabilità che il quotidiano vivere richiede, non solo tra i più giovani, ma anche, e soprattutto, tra gli adulti? 
E' tanto facile lasciarsi guidare, delegare, per poi attribuire le colpe di ciò che va male agli altri, alla società, questo insieme di individui non meglio identificati in cui ci si rifugia, come nel branco.
Ma la società è fatta da ognuno di noi. E se ciascuno di noi, come sostengono i due adolescenti precedentemente citati, si prendesse la responsabilità di mettersi in gioco, di essere nel gioco della vita, senza nascondersi dietro le scelte altrui, forse la società sarebbe migliore.

"Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come un uomo che ha bisogno
Di spaziare con la propria fantasia
E che trova questo spazio
Solamente nella sua democrazia.
Che ha il diritto di votare
E che passa la sua vita a delegare
E nel farsi comandare
Ha trovato la sua nuova libertà."
(Giorgio Gaber: "La libertà")



domenica 16 settembre 2018

L'esigenza di fare figli

"In Italia abbiamo l'esigenza di fare figli": ammettiamo che sia questa la vera esigenza.
Ma per fare figli sarebbe necessario che un Paese creasse le condizioni perché le coppie possano decidere di mettere al mondo un figlio. Sarebbe cioè almeno necessario:
- creare opportunità di lavoro stabili per tutti, uomini e donne. Con un lavorio precario, e miseramente retribuito, è difficile decidere di affittare o comprare casa, sposarsi o anche solo convivere, progettare a lungo termine;
- creare strutture che consentano alle donne di lavorare alle stesse condizioni degli uomini, ovvero asili nido e scuole d'infanzia pubblici, a basso costo, aperti 24 ore su 24 (come saggiamente hanno cominciato a fare alcune catene di supermercati, consapevoli del fatto che ci sono lavoratori turnisti). E' finito il tempo in cui esistevano famiglie allargate in cui i bambini venivano affidati a vecchie zie e nonni, vivendo tutti insieme nelle cascine o nelle masserie. E' finito il tempo in cui si ritiene che compito delle donne sia quello di fare e allevare figli;
- smettere di pensare che le pensioni dei nonni possano essere utilizzate per aiutare economicamente figli e nipoti. Ugualmente bisognerebbe smettere di considerare i nonni come baby sitter a tempo pieno completamente gratuiti.
Siamo nel XXI secolo, non nel XIX. La società è cambiata, le persone, gli individui sono cambiati.
Sarebbe il caso di rendersene conto, una volta per tutte.

mercoledì 11 luglio 2018

Il problema siamo noi

Le polemiche sulla questione migranti che imperversano sui mass media da due mesi a questa parte, rischiano di far perdere di vista una questione centrale: il problema non sono i migranti, che sempre ci sono stati e sempre ci saranno (la storia dell'umanità è caratterizzata proprio dalle migrazioni dei popoli). Il problema siamo noi. In particolare noi italiani, così refrattari a accettare regole che viviamo come un disturbo al nostro individualismo esasperato e di cui non cogliamo invece gli aspetti positivi.
 Il problema sono gli italiani che non rispettano il codice stradale, che non pagano le tasse, che sono disposti ad accettare l'aiuto dell'amico o dell'amico dell'amico per trovare un lavoro, per superare un concorso o un colloquio, per evitare la fila ad un ufficio pubblico, per ottenere un appuntamento per una visita di controllo o un ricovero presso un ospedale pubblico, per iscrivere il figlio al nido o presso un istituto scolastico, ecc. ecc..
In questo caos che caratterizza la vita di molti italiani si inseriscono i migranti. Quelli che hanno dato e danno prestigio e lustro a questo Paese e quelli che, anziché essere risorsa per pagare le future pensioni, bivaccano nei giardinetti e nelle stazioni spacciando stupefacenti o vendendo borse e occhiali da sole taroccati anche agli italiani.
L'Italia è stata fatta quasi 160 anni fa. Per gli italiani del buon Massimo D'Azeglio stiamo ancora aspettando. O ci accontenteremo di questi.

venerdì 6 luglio 2018

La letteratura insegna: Pier Paolo Pasolini


  Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico
ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.
Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.

(Pier Paolo Pasolini: “Alla mia nazione” da "La religione del mio tempo", 1961)

venerdì 29 giugno 2018

Compagno di scuola


Per molti della mia generazione è stata una delle canzoni di riferimento. C’era chi pensava con disprezzo al “Compagno di scuola” evocato nella canzone cui, tanti giuravano, mai avrebbero assomigliato. Sbagliavano, come spesso succede.
E molti di noi, attualmente, conoscono perfettamente quelli che davvero non sono diventati “Compagni di scuola” e quelli che lo sono diventati ma non lo riconoscono e disprezzano gli altri, identici a loro.




Antonello Venditti: “Compagno di scuola”

Da “Lilly” (1975)


Davanti alla scuola tanta gente
otto e venti, prima campana
"e spegni quella sigaretta"
e migliaia di gambe e di occhiali
di corsa sulle scale.
Le otto e mezza, tutti in piedi
il presidente, la croce e il professore
che ti legge sempre la stessa storia
nello stesso modo, sullo stesso libro, con le stesse parole

da quarant'anni di onesta professione.
Ma le domande non hanno mai avuto
una risposta chiara.
E la Divina Commedia, sempre più commedia
al punto che ancora oggi io non so
se Dante era un uomo libero, un fallito o un servo di partito

un servo di partito.
Ma Paolo e Francesca, quelli io me li ricordo bene
perché, ditemi, chi non si è mai innamorato
di quella del primo banco,
la più carina, la più cretina,
cretino tu, che rideva sempre
proprio quando il tuo amore aveva le stesse parole,
gli stessi respiri del libro che leggevi di nascosto
sotto il banco.
Mezzogiorno, tutto scompare,
"avanti! tutti al bar".
Dove Nietzsche e Marx si davano la mano
e parlavano insieme dell'ultima festa
e del vestito nuovo, buono, fatto apposta
e sempre di quella ragazza che filava tutti (meno che te)
e le assemblee, i cineforum, i dibattiti
mai concessi allora
e le fughe vigliacche davanti al cancello
e le botte nel cortile e nel corridoio,
primi vagiti di un '68
ancora lungo da venire e troppo breve, da dimenticare!
E il tuo impegno che cresceva sempre più forte in te...
"Compagno di scuola, compagno di niente
ti sei salvato dal fumo delle barricate?
Compagno di scuola, compagno per niente
ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?”




martedì 29 maggio 2018

DEMOCRAZIE (Sempre attuale...)

Come costruire una democrazia rafforzata, capace di trasformare le differenze in risorse?


MODELLO DI DEMOCRAZIA PARLAMENTARE

1) DIRITTO DI PAROLA

2) DIRITTO DI CONTRADDITTORIO

3) DIRITTO DELLA MAGGIORANZA CUI LA MINORANZA SI ADEGUA

Può esistere una democrazia basata sull’ascolto che potenzia la democrazia parlamentare


MODELLO DI DEMOCRAZIA BASATO SULL’ASCOLTO DELLE MINORANZE

1) DIRITTO DI ESSERE ASCOLTATO

2) DIRITTO DI MOLTIPLICARE LE PROGETTUALITÀ

3) COOPROGETTUALITÀ CREATIVA (DIALOGO E ASCOLTO BASATI SULLA DISCUSSIONE E SULL’ESPLORAZIONE)

(Appunti tratti dalla relazione di Marianella Sclavi, Albino (Bg), Seminario: "Educare al conflitto", 16 settembre 2010)




venerdì 14 luglio 2017

Parlare di ombrelloni mentre arriva lo tsunami

Qualche anno fa, nel corso di un incontro tra docenti e imprenditori nell'ambito di un aggiornamento su progetti di "Alternanza Scuola - Lavoro", un imprenditore affermò che, a livello nazionale, non ci si stava rendendo conto, da parte degli amministratori locali e nazionali, che il mondo stava cambiando, che nuove erano le sfide che la società doveva essere in grado di affrontare, a tutti i livelli. Questo comportava la capacità di progettare a medio e a lungo termine un'organizzazione, anche del lavoro, completamente diversa, e richiedeva, allo stesso tempo, un investimento forte sulla formazione.
Completò il suo intervento con un'immagine estremamente efficace: "Qui è come se stessimo su una spiaggia e continuassimo a parlare del colore degli ombrelloni senza renderci conto che sta arrivando lo tsunami."

domenica 2 luglio 2017

A scuola si fa

A scuola si parla, si discute, si analizza, ci si confronta.
Ed è forse questo che ad alcuni non piace. 
E, aggiungerei, fa paura.

venerdì 30 giugno 2017

Accoglienza e inclusione

Accogliere e includere significa creare le condizioni per cui coloro che vengono accolti possano vivere in condizioni dignitose: avere un lavoro, un alloggio dignitoso, godere dei naturali diritti civili, sentirsi parte di una comunità.
Questo significa accogliere e includere. Non lasciare vivere di espedienti, chiudendo in occhio o anche due di fronte a piccoli o grandi abusi e violazioni delle regole. 
Non permettere di vivere alla giornata, in condizioni igieniche inadeguate, in tuguri che non sono degni di essere chiamate abitazioni, sfruttando anche o arricchendosi ai danni di chi pensava di poter migliorare le proprie condizioni di vita.
Troppo comodo lavarsi la coscienza sostenendo di aver accolto. Se si accoglie qualcuno nella propria casa, non lo si lascia poi in un angolo vicino alla porta d'ingresso riservandogli magari le briciole del proprio cibo. Non è così che si fa.

venerdì 16 giugno 2017

Doveva essere una festa

"Quella per la finale doveva essere una festa, non immaginavamo di trovarci in mezzo alla bolgia. Io non avevo un'idea precisa di cosa avrei trovato in piazza ma non era quello che mi ero immaginato: era tutto disorganizzato, c'erano venditori abusivi, entrava chiunque senza controllo, c'erano bottiglie dappertutto... Siamo un Paese così, non abbiamo imparato nulla, bastava copiare quello che avevano fatto gli spagnoli con la proiezione dentro lo stadio. Invece qui è come se la sindaca avesse lasciato aperta la porta di casa sua senza rendersi conto che entravano trentamila persone. E quando il fattaccio ormai è accaduto dice "scusate, mi spiace, pensavo sarebbero venute solo due persone per un caffè". Ecco, "mi spiace" sono parole che non riusciamo a sentire". (cit. http://torino.repubblica.it/cronaca/2017/06/16/news/_siamo_stanchi_dei_mi_spiace_dovevano_pensarci_prima_e_adesso_erika_e_morta_-168232813/?ref=RHPPBT-BH-I0-C4-P2-S1.4-T2)
Le parole drammatiche di Fabio Martinoli, compagno di Erika Pioletti, la donna rimasta uccisa a seguito delle ferite riportate la sera del 3 giugno scorso, sono le stesse pronunciate da chi, quella sera, era in Piazza San Carlo, a Torino, e che mai avrebbe pensato di vivere in quella occasione una situazione tanto drammatica quanto assurda, soprattutto perché ai più è stato chiaro, prima ancora che scoppiasse il panico, che qualcosa, nell'organizzazione di quella serata, era mancato: i controlli di filtraggio per chi volesse accedere alla Piazza, riempita fino all'inverosimile; la vendita di alcolici che aveva reso ubriachi molti, prima ancora dell'inizio della partita; i cocci delle bottiglie di vetro che come un tappeto ricoprivano l'asfalto.
Di quella serata, nella mente di chi c'era, non resterà il ricordo di una partita che si sognava di vincere ma era stata malamente persa. Di quella serata resterà il ricordo di urla, spavento, vetri, sangue, corpi schiacciati, stretti quasi in una gabbia. Le scuse non bastano. Chi avrebbe dovuto garantire la sicurezza di chi pensava di partecipare a una festa, dovrà renderne conto. Amministrare significa assumersi delle responsabilità, farsene carico. Ammettere di aver sbagliato. E pagarne le conseguenze.

sabato 13 maggio 2017

Schiavi e signori

"IDEOLOGIE DEL NOVECENTO"
"La cultura filosofica del primo Novecento trovò in Friedrich Nietzsche (1844 -1900) il distruttore di tutti i valori borghesi tradizionali, definiti vere e proprie schiavitù psicologiche dell’individuo, e l’esaltatore di quella volontà di potenza che esprime le energie più vitali e profonde dell’individuo, proiettandolo in una dimensione oltreumana, al di là degli schemi conformistici e dei condizionamenti della cultura occidentale." (Tratto da: Antonio Brancati: “Storia di popoli e di civiltà”, volume 3, La Nuova Italia, Firenze, 1995, pg. 14)
"LA CONFUSIONE MODERNA"

"Io non vedo che cosa si voglia fare con l’operaio europeo. Egli sta troppo bene per non pretendere ora un poco alla volta di più, per non pretendere con sempre maggiore esasperazione: alla fine ha il numero dalla sua. E’ completamente finita la speranza che si costituisca qui una specie d’uomo modesta e facilmente contentabile di sé, una schiavitù nel senso più blando del termine, in breve una classe, qualcosa che abbia immutabilità. Si è reso l’operaio militarmente abile: gli si è dato il diritto di voto, il diritto di associazione: si è fatto di tutto per corrompere quegli istinti sui quali si poteva fondare una cineseria operaia: così che l’operaio già oggi sente e fa sentire la sua esistenza come uno stato di bisogno (in termini morali come un’ingiustizia…)… Ma cosa vogliamo? Domandiamo ancora una volta. Se si vuole uno scopo, è necessario volere i mezzi: se vogliamo schiavi, e occorrono! – non bisogna educarli da signori." (Tratto da: Friedrich W. Nietzsche: “La volontà di potenza”, in “L’Anticristo”, “Crepuscolo degli idoli”, “Ecce homo”, “La volontà di potenza”, Grandi Tascabili Economici, Newton, Roma, 1989, pg. 348)

domenica 14 febbraio 2016

Ciò che non si poteva dire

A Taranto, come recita la mia carta d'identità, ci sono nata.
Vi ho vissuto poco, per fortuna, portata via già a due mesi in Liguria e poi tornata, durante l'adolescenza, in Puglia, sì, ma in quella Brindisi che attualmente vive il disagio di una città i cui amministratori comunali si sono dimessi in massa in seguito all'arresto del primo cittadino.
A Taranto, da bambina, tornavo d'estate e, da un po' di anni, a volte, solo d'inverno, un paio di giorni, in occasione delle vacanze natalizie o, come accaduto recentemente, delle vacanze di Carnevale.
Non ho mai amato Taranto. Mai. Ho sempre respirato a fatica la sua aria infetta, pesante, che lasciava, lo ricordo bene, un tappeto di polvere nera sul balcone della casa di mia nonna, dove sono nata e dove trascorrevo, a volte, le mie vacanze estive.
Erano gli anni '60 - '70.
Nel frattempo l'aria diventava sempre più irrespirabile. Un numero sempre maggiore di residenti (anche tra i miei parenti) si ammalava. Moriva.
Ma Taranto accettava. L'Italsider (come molti, fino a qualche tempo fa continuavano a chiamare l'attuale Ilva) dava lavoro ai tarantini della città e della provincia. Di fronte al lavoro si chiudeva un occhio. Anche due. Si ricorreva all'amico sindacalista, al parroco, a chi poteva garantire un'assunzione. Il sistema clientelare si autoalimentava creando l'illusione del benessere.
Certo, molti degli attuali lavoratori Ilva sono anche capaci e sono stati assunti per merito. Ma anche no.
Poi è accaduto qualcosa. E ho ammirato, spudoratamente, Patrizia Todisco, il magistrato che, finalmente, dopo cinquant'anni, ha sollevato il caso Ilva. Perché, da quel momento, si è cominciato a parlare di ciò che, almeno a Taranto, tutti sapevano ma nessuno aveva voglia di raccontare e raccontarsi.
Perché certe cose non si possono (e/o non si vogliono) dire.

venerdì 25 dicembre 2015

Improvvisamente...

... può succedere che la lettura delle pagine di un libro ti riporti indietro, tra esperienze e ricordi, lontani nella memoria, che si rianimano. Ed ecco, sei di nuovo nel '76 e hai di nuovo 15 anni.
"Non mi piaceva fingere di capire, ma mi faceva comodo: così almeno nessuno mi guardava storto o se la prendeva con me dicendomi che ero una qualunquista. Parola che allora si usava molto, come anche fascista. E se ti dicevano fascista o qualunquista, credo volesse solo dire che non facevi politica. Non era bello, eri finito e nessuno ti voleva più."

La citazione è tratta dal romanzo di Paola Mastrocola: "Più lontana della luna", Ugo Guanda Editore, Parma, 2007, pg. 76

(Post pubblicato sul blog "Sala docenti" il 28 dicembre 2007)

sabato 28 novembre 2015

Gli ingranaggi

Che tristezza per coloro che accettarono
di essere gli ingranaggi di una macchina
credendo che fosse la loro voce
i monotoni rumori della macchina

Che orrore quando vedo
mani senza testa muovere la macchina
con movimenti ritmici, gli stessi,
che una voce di altri comanda

Che inaudito schifo
osservare occhi e bocca
di chi per conto di altri parla e guarda
anche loro ingranaggi della macchina

Che odio infinito
per chi uccide con mani altrui
quando con carne costruisce ingranaggi
scavando una fossa per la vita

Che amore, culto, ammirazione
verso coloro che si battono sempre
perché scoprano voce gli ingranaggi
e nella vita trovino uno scopo

Alekos Panagulis, SFM. (Carcere Militare di Boiati) Isolamento. Luglio 1971 (In : Gian Paolo Serino: "USA & GETTA  Fallaci - Panagulis    Storia di un amore al tritolo", Aliberti editore, Reggio Emilia, 2006, pgg. 79, 80).

mercoledì 25 novembre 2015

Passione politica

Furono la mia insegnante di Lettere del ginnasio e, successivamente, la mia insegnante di filosofia del liceo a farmi appassionare alla politica.
"L'uomo è un animale politico, come diceva Aristotele, ed ogni nostra scelta è una scelta politica, anche se non ce ne rendiamo conto." , così mi è stato insegnato.
E, in effetti, quelli erano anni di grande impegno politico in cui erano coinvolte soprattutto le giovani generazioni. Erano gli anni de "Il personale è politico", in cui diventava necessario per ciascuno di noi mostrare impegno ed interesse attento verso le grandi questioni, nazionali ed internazionali. Guai a non interessarsene, si veniva tacciati di qualunquismo, nella migliore delle ipotesi, o di fascismo.
Questo era ciò che accadeva nel mio liceo e nella cittadina del sud d'Italia in cui vivevo. Ammettere di apprezzare un disco di Battisti o di Baglioni, di leggere una rivista femminile o, peggio ancora, di seguire il calcio poteva diventare occasione di disprezzo da parte degli "impegnati" di sinistra.

Inizialmente abbracciai con entusiasmo e passione l'impegno politico. Frequentavo le sezioni di partito e i collettivi femministi e scoprivo un mondo diverso da quello in cui avevo creduto di vivere fino a quel momento. Certo, c'era qualcosa che non mi convinceva e non mi piaceva. I picchetti e il servizio d'ordine per le manifestazioni e gli scioperi, ad esempio. Le spedizioni punitive contro "i fasci che hanno picchiato i compagni". La censura preventiva verso gli interventi di coloro che la pensavano diversamente durante le assemblee d'istituto al grido "I fascisti non devono parlare!".
Non mi stava bene e cominciai a dirlo. Venni tacciata di essere fascista anch'io. All'epoca (erano gli anni Settanta) era un grave insulto. Non mi importava. Non era quello ciò che mi avevano insegnato essere la politica, l'arte di partecipare alla vita pubblica. Non mi interessavano le etichette. Mi interessavano le idee. Seguace dei principi dell'Illuminismo, facevo mio l'aforisma di Voltaire: "Non sono d'accordo con te, ma darei la vita per consentirti di esprimere le tue idee".

Esprimevo così la mia passione politica. Ancora oggi la esprimo così. Ascoltando gli altri, documentandomi, disprezzando i toni aggressivi di chi attacca preventivamente l'avversario schernendolo ed insultandolo. Ciò che mi interessa è capire: capire le ragioni degli uni e degli altri, al di là degli schieramenti e delle posizioni preconcette.
(Revisione di post già pubblicato)