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domenica 6 gennaio 2019

La strega e l'emarginazione della donna nella modernità: un laboratorio di storia locale.

Suor Maria Valenza Marchionne, nata in una famiglia di contadini a Sezze Romano nel 1630, cresciuta in un contesto di religiosità popolare fortemente caratterizzata dal francescanesimo, divenuta badessa del monastero delle Clarisse di Santa Chiara di Sezze intorno al 1670, venne condannata nel 1703 dal Tribunale dell’Inquisizione romana a dieci anni di carcere per quietismo depravato.

Le accuse che avevano portato al processo erano turpi e infamanti: suor Maria era accusata di vanagloria e di pretesa di santità paravento di lussuria, falsità e di sete di potere.

La ricostruzione della biografia della protagonista, effettuata strategicamente dai contemporanei, tesa a screditare la donna francescana che aveva osato diventare, da umile popolana, badessa del convento del suo luogo di origine, si inserisce all’interno delle lotte religiose e di potere, caratteristiche del XVII secolo, che coinvolsero numerose vittime innocenti, in particolare donne, accusate o di quietismo depravato o di stregoneria.

Dopo il Concilio di Trento (1545 – 1563) la Chiesa fu animata da un profondo spirito di rinnovamento e, per altro verso, caratterizzata da una sistematica repressione del dissenso. Queste due istanze si espressero l’una attraverso un profondo anelito spirituale che investì la vita quotidiana, l’altra mediante una persecuzione metodica e organizzata della stregoneria.

A livello popolare, l’anelito spirituale si tradusse spesso nell’interesse spasmodico per il miracolo e il soprannaturale in genere.

La Chiesa della Controriforma seppe gestire abilmente questi bisogni popolari e alimentò la fede nei miracoli.

L’anelito più profondo e sincero alla santità fu espresso soprattutto da figure come Teresa d’Avila, monaca carmelitana e scrittrice instancabile. Nei suoi scritti ella affrontò il tema del rapimento, dell’estasi derivante dall’unione amorosa col Cristo, ma anche il senso di angoscia e disagio che la diversità della santità mistica comporta.

La necessità, da parte della Chiesa, di disciplinare l’anima e di evitarle di perdersi del nulla, comportava il controllo esercitato mediante i “tribunali della coscienza” cui erano sottoposti tutti coloro accusati di essersi allontanati dalle indicazioni dei trattati di spiritualità ufficialmente riconosciuti. Costoro, per lo più donne, venivano accusati di quietismo. Attraverso il racconto delle vicende “nefande” di cui si erano resi protagonisti, diffuso all’interno della comunità locale particolarmente sensibile a riconoscersi unita coalizzandosi contro l’altro, il diverso, costoro diventavano il capro espiatorio su cui riversare le proprie paure, i propri incubi, i propri sensi di colpa, i propri peccati.

 Lo stesso accadde a coloro, nella maggior parte donne, che vennero accusati di stregoneria.

Il Tribunale dell’Inquisizione di Milano, ad esempio, nel periodo che va dal giugno 1603 al giugno 1611, condannò al rogo Vetra Isabella Arienti, detta la Fabene, Gabbana la Montina, Vetra Doralice de’ Volpi e Vetra Antonia de’ Santini.

 I primi provvedimenti contro le streghe si collocano all’interno del più ampio fenomeno volto alla repressione delle eresie e risalgono alla prima metà del XII secolo.

La caccia alle streghe continuò a svilupparsi durante tutto il Medioevo, ma raggiunse proporzioni notevoli tra il XVI e il XVII secolo, nel clima di intransigenza religiosa, diffuso non solo sul fronte cattolico ma anche nei Paesi  protestanti, a seguito della Riforma protestante, della Riforma e della Controriforma cattolica, per poi esaurirsi nel corso del XVIII secolo.

Una vera e propria organizzazione della persecuzione della stregoneria e di ogni “diversità” religiosa e non, trovò il suo riferimento teorico dapprima nella bolla papale Summis desiderantes, che convalidava la credenza nelle streghe e nel potere stregonesco, e successivamente nel Malleus maleficarum.

Secondo il Malleus Maleficarum, scritto nel 1486 da Heinrich Kramer e Jacob Sprenger, due inquisitori tedeschi domenicani particolarmente attivi nella valle del Reno,  “una donna malvagia è per sua natura più pronta a ripudiare la fede, il che è la radice della stregoneria”.

E’ emblematico il fatto che l’oggetto della persecuzione fosse perlopiù la donna, definita o infida e perversa per natura, oppure fragile creatura in balia delle arti del demonio.


La strega del XVII secolo era prevalentemente una povera vecchia, spesso senza marito, dal comportamento antisociale, antifemminile, immorale, e religiosamente arretrata. Sfidando insieme le convenzioni della sua religione e del suo sesso, riusciva a offendere e spaventare i suoi superiori e chi le stava vicino. La decisione di perseguitarla e giustiziarla può essere interpretata semplicemente come un tentativo di liberare le comunità locali da figure sentite come inquietanti e pericolose. Con l’uccisione delle streghe gli abitanti del villaggio riuscivano anche a vendicarsi dei malefici che avevano colpito loro e i loro cari, confermando nel contempo che la fonte delle loro disgrazie era stata effettivamente la stregoneria.


Il bisogno d’ordine è ovviamente una costante della natura umana, e ogni epoca si è indubbiamente impegnata per soddisfarlo. Ma nel XVII secolo esso era oggetto di particolare preoccupazione, soprattutto a causa della diffusa consapevolezza che l’antico ordine fosse crollato.


All’interno della sua comunità la strega rappresentava una continua provocazione all’ideale della società ben ordinata. Innanzitutto, era generalmente al di fuori del sistema di controllo patriarcale, e perciò costituiva una sfida a quanto veniva considerato una gerarchia naturale. Era l’antitesi dell’ideale della moglie perfetta, punto centrale della maggior parte delle concezioni di una società ben organizzata. Nei rapporti con i suoi superiori si dimostrava insolente e arrogante.


Non deve quindi meravigliare che spesso ci si riferisse a questa donna come a una ribelle. Naturalmente non corrispondeva affatto allo stereotipo del ribelle. Vecchia, e talvolta decrepita, sarebbe stata la persona meno adatta a organizzare un assalto concreto contro l’ordine costituito.

Gran parte di questi discorsi sulla ribellione erano puramente retorici e rispecchiavano le paure e le insicurezze di una posizione maschile minacciata più che i timori per le attività della strega stessa.

Le streghe furono i classici capri espiatori, vittime delle nevrosi dell’élite dominante e della miseria delle classi popolari.


Come sovversiva e come capro espiatorio, la strega ha continuato ad esistere, molto dopo la fine della caccia alle streghe e quando nessuno più credeva in loro. Molte volte nella storia moderna, quando l’animo umano è stato preda di profondo timore, le autorità hanno identificato all’interno di gruppi devianti o marginali l’origine dei loro problemi: li hanno accusati di crimini non commessi; hanno attribuito loro l’ambizione di distruggere l’ordine morale e politico; e hanno fatto tutto quanto era in loro potere per annientarli. L’ebreo nella Germania nazista o il comunista in America dopo la seconda guerra mondiale, hanno assunto il ruolo, e in molti casi condiviso la sorte, della strega del XVII secolo.


Ma la strega non è stata semplicemente solo capro espiatorio e vittima.

Essa incarnò talvolta quello “spirito di rivolta” che la portò a unirsi alla protesta contro la politica delle élites al potere e contro la prassi in uso nei tribunali del XVII secolo.

In qualche caso, sorretta dalla volontà di affermare la propria innocenza, sopportò coraggiosamente le atroci torture cui venne sottoposta e riuscì a sopravvivere. Nella grande maggioranza dei casi fu giustiziata o bandita.



La sua morte o l’esilio rappresentano una tragedia orribile, l’esito di uno dei più grandi errori giudiziari nella storia dell’Occidente. Ripensando alla sua sfida contro le autorità che la perseguivano, agli sforzi per sopportare le torture che le venivano inflitte, all’insistenza con cui negava ogni sua colpa, non si può non provare per lei ammirazione e allo stesso tempo pietà.

(SVOLGIMENTO ELABORATO PIATTAFORMA ON-LINE PER DOCENTI NEO-IMMESSI IN RUOLO - A.S. 2005/2006)

domenica 9 dicembre 2018

Noi e il '68

In principio era il sogno di una quasi sessantenne, insegnante, che fin da bambina ha imparato a sognare e a credere nella forza dei suoi sogni. 
Poi,  dopo averlo condiviso con studenti, colleghi, con il Dirigente Scolastico del suo Istituto, quel sogno è diventato un progetto da realizzare consentendo di sviluppare abilità e competenze trattando un argomento, il Sessantotto, che, compreso nei manuali di storia, spesso non viene nemmeno affrontato.
Ricorrendo anche a una delle tecniche (I laboratori di ricerca) della "Didattica delle emozioni" (il format elaborato da Ulisse Mariani e Rosanna Schiralli), il progetto si propone, attraverso l’organizzazione di un evento da presentare anche all'esterno dell’Istituto, coinvolgendo il territorio, di offrire la possibilità di ripensare e riflettere su un anno, il 1968, che ha cambiato la politica, il costume, la cultura, i comportamenti delle persone: praticamente tutto. 
L'evento "Noi e il '68" è un viaggio virtuale da vivere da chi c'era e, soprattutto, da chi non c'era,  nel tentativo di restituire alle giovani generazioni la bellezza della passione, dell'immaginazione e del sogno.





mercoledì 31 ottobre 2018

Il vizio della memoria - "Io so"

"Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
[...]
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. [...]
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
[...]
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
(Tratto da "Corriere della Sera", 14 novembre 1974 -
"Cos'è questo golpe? Io so"
di Pier Paolo Pasolini)


sabato 27 ottobre 2018

"Libertà è partecipazione"

"La libertà non è star sopra un albero [...] libertà è partecipazione" cantava Giorgio Gaber nei primi anni Settanta.
Cosa significa "libertà è partecipazione"? Significa "essere nel gioco della vita", significa "mettersi in gioco" (citando testualmente le parole di due adolescenti cui è stato chiesto di spiegare il significato della frase).
Ma quanti, davvero, hanno voglia di farlo? Quanti hanno voglia di prendersi le responsabilità che il quotidiano vivere richiede, non solo tra i più giovani, ma anche, e soprattutto, tra gli adulti? 
E' tanto facile lasciarsi guidare, delegare, per poi attribuire le colpe di ciò che va male agli altri, alla società, questo insieme di individui non meglio identificati in cui ci si rifugia, come nel branco.
Ma la società è fatta da ognuno di noi. E se ciascuno di noi, come sostengono i due adolescenti precedentemente citati, si prendesse la responsabilità di mettersi in gioco, di essere nel gioco della vita, senza nascondersi dietro le scelte altrui, forse la società sarebbe migliore.

"Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come un uomo che ha bisogno
Di spaziare con la propria fantasia
E che trova questo spazio
Solamente nella sua democrazia.
Che ha il diritto di votare
E che passa la sua vita a delegare
E nel farsi comandare
Ha trovato la sua nuova libertà."
(Giorgio Gaber: "La libertà")



domenica 8 luglio 2018

Quelli del professionale

Quante volte è capitato di dover assistere all'autodenigrazione da parte degli studenti degli istituti professionali!
 
"Profe, non siamo al liceo, noi siamo del professionale!"
"Profe, è inutile, perde tempo, queste cose non le capiremo mai!"
"Profe, non siamo capaci, non riusciamo, profe, lasciamo perdere!!!"
Spesso, l'atteggiamento autodenigratorio è dettato dalla paura di imbattersi in un insuccesso, l'ennesimo della loro storia scolastica, fatta di frasi ascoltate da docenti o presunti tali che li hanno feriti, offesi con quelle che sarebbero dovute essere battute divertenti quali "Non capisci proprio niente!" oppure "Lo sapevo che non avresti capito nulla, la scuola non è proprio per te!".
A volte, invece, l'autodenigrazione è il tentativo di non impegnarsi, di bighellonare piuttosto che approfittare dell'opportunità di imparare che la scuola italiana, seppur malandata, può offrire.
In fondo, che gli studenti giochino al ribasso ci può anche stare.
Ciò che trovo inammissibile e assolutamente censurabile è invece l'atteggiamento di quegli insegnanti, di diverso ordine e grado, che di fronte alle difficoltà degli alunni degli istituti professionali esclamano: "Ma è chiaro che abbiamo difficoltà, sono i peggiori provenienti dalle elementari e dalle medie!"
Spiegatemi una cosa, cari colleghi che così vi esprimete. Peggiori si nasce o si diventa?
Troppo comodo insegnare a chi ha buone capacità e ottima volontà. Ma la sfida, come ci ha insegnato Don Milani, è insegnare a Gianni, non a Pierino del dottore.
"Se si perde loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. É un ospedale che cura i sani e respinge i malati." (Scuola di Barbiana: "Lettera a una professoressa", Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, I edizione 1967, pg. 20)
(Rielaborazione di un vecchio post pubblicato sulla piattaforma Splinder il ‎3 ‎ottobre ‎2008 e postato su Sala Docenti il 27 ottobre 2012) 

venerdì 29 giugno 2018

Compagno di scuola


Per molti della mia generazione è stata una delle canzoni di riferimento. C’era chi pensava con disprezzo al “Compagno di scuola” evocato nella canzone cui, tanti giuravano, mai avrebbero assomigliato. Sbagliavano, come spesso succede.
E molti di noi, attualmente, conoscono perfettamente quelli che davvero non sono diventati “Compagni di scuola” e quelli che lo sono diventati ma non lo riconoscono e disprezzano gli altri, identici a loro.




Antonello Venditti: “Compagno di scuola”

Da “Lilly” (1975)


Davanti alla scuola tanta gente
otto e venti, prima campana
"e spegni quella sigaretta"
e migliaia di gambe e di occhiali
di corsa sulle scale.
Le otto e mezza, tutti in piedi
il presidente, la croce e il professore
che ti legge sempre la stessa storia
nello stesso modo, sullo stesso libro, con le stesse parole

da quarant'anni di onesta professione.
Ma le domande non hanno mai avuto
una risposta chiara.
E la Divina Commedia, sempre più commedia
al punto che ancora oggi io non so
se Dante era un uomo libero, un fallito o un servo di partito

un servo di partito.
Ma Paolo e Francesca, quelli io me li ricordo bene
perché, ditemi, chi non si è mai innamorato
di quella del primo banco,
la più carina, la più cretina,
cretino tu, che rideva sempre
proprio quando il tuo amore aveva le stesse parole,
gli stessi respiri del libro che leggevi di nascosto
sotto il banco.
Mezzogiorno, tutto scompare,
"avanti! tutti al bar".
Dove Nietzsche e Marx si davano la mano
e parlavano insieme dell'ultima festa
e del vestito nuovo, buono, fatto apposta
e sempre di quella ragazza che filava tutti (meno che te)
e le assemblee, i cineforum, i dibattiti
mai concessi allora
e le fughe vigliacche davanti al cancello
e le botte nel cortile e nel corridoio,
primi vagiti di un '68
ancora lungo da venire e troppo breve, da dimenticare!
E il tuo impegno che cresceva sempre più forte in te...
"Compagno di scuola, compagno di niente
ti sei salvato dal fumo delle barricate?
Compagno di scuola, compagno per niente
ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?”




mercoledì 27 giugno 2018

Il dovere della memoria

Ci sono date che segnano per sempre il destino di un Paese. Ci sono date che non possono essere dimenticate, che devono essere ricordate, per sempre.


27 giugno 1980

"Un DC9 dell'Itavia con ottantuno persone a bordo esplode in volo e si inabissa nel mare al largo dell'isola di Ustica. Le vere cause della tragedia resteranno ignote.
Le ricostruzioni più accreditate sosterranno però che il velivolo sia stato colpito da un missile lanciato durante un combattimento aereo tra caccia libici e statunitensi." ("Storia Fotografica d'Italia 1967 - 1985 la contestazione, le nuove conquiste sociali, gli anni di piombo", Collana La Memoria, Edizioni Intra Moenia, 2008, Napoli, pagina 244)


domenica 16 luglio 2017

Lezioni di vita: la letteratura insegna

"La vita attuale è inquinata alle radici. L'uomo s'è  messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l'aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste e attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio delle altre forze. V'è una minaccia di questo genere in aria. Ne seguirà una grande ricchezza... nel numero degli uomini. Ogni metro quadrato sarà occupato da un uomo. Chi ci guarirà dalla mancanza di aria e di spazio? Solamente al pensarci soffoco!
Ma non è questo, non è questo soltanto.
[...] Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po' più ammalato, ruberà tale esplosivo e s'arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie." (Italo Svevo: "La coscienza di Zeno", 1923)

sabato 13 maggio 2017

Schiavi e signori

"IDEOLOGIE DEL NOVECENTO"
"La cultura filosofica del primo Novecento trovò in Friedrich Nietzsche (1844 -1900) il distruttore di tutti i valori borghesi tradizionali, definiti vere e proprie schiavitù psicologiche dell’individuo, e l’esaltatore di quella volontà di potenza che esprime le energie più vitali e profonde dell’individuo, proiettandolo in una dimensione oltreumana, al di là degli schemi conformistici e dei condizionamenti della cultura occidentale." (Tratto da: Antonio Brancati: “Storia di popoli e di civiltà”, volume 3, La Nuova Italia, Firenze, 1995, pg. 14)
"LA CONFUSIONE MODERNA"

"Io non vedo che cosa si voglia fare con l’operaio europeo. Egli sta troppo bene per non pretendere ora un poco alla volta di più, per non pretendere con sempre maggiore esasperazione: alla fine ha il numero dalla sua. E’ completamente finita la speranza che si costituisca qui una specie d’uomo modesta e facilmente contentabile di sé, una schiavitù nel senso più blando del termine, in breve una classe, qualcosa che abbia immutabilità. Si è reso l’operaio militarmente abile: gli si è dato il diritto di voto, il diritto di associazione: si è fatto di tutto per corrompere quegli istinti sui quali si poteva fondare una cineseria operaia: così che l’operaio già oggi sente e fa sentire la sua esistenza come uno stato di bisogno (in termini morali come un’ingiustizia…)… Ma cosa vogliamo? Domandiamo ancora una volta. Se si vuole uno scopo, è necessario volere i mezzi: se vogliamo schiavi, e occorrono! – non bisogna educarli da signori." (Tratto da: Friedrich W. Nietzsche: “La volontà di potenza”, in “L’Anticristo”, “Crepuscolo degli idoli”, “Ecce homo”, “La volontà di potenza”, Grandi Tascabili Economici, Newton, Roma, 1989, pg. 348)

sabato 22 aprile 2017

25 Aprile


« Partigiano!

 Ti ho visto appeso
immobile.
Solo i capelli si muovevano
leggermente sulla tua fronte.
Era l'aria della sera
che sottilmente strisciava
nel silenzio
e ti accarezzava,
come avrei voluto fare io. »

(Giacomo Manzù, 5, dedica incisa sul "Monumento al partigiano" - Bergamo)




 Salvatore Quasimodo

ALLE FRONDE DEI SALICI

E come potevano noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
tra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.