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giovedì 11 marzo 2021

10 marzo

 E ora, dopo tutti gli slogan, e i fiori, spesso mimose, e le belle parole, ci aspetteremmo, in ordine sparso:

- nidi e scuole dell'infanzia pubblici e di quartiere, se possibile aperti 24 ore su 24 (se lo fanno i supermercati, possono farlo anche gli asili nido, anche perché potrebbe essere che i genitori di quei bambini lavorino proprio nei supermercati aperti 24 ore su 24)
-fasciatoi anche nei bagni per signori, come accade nei Paesi dell'Europa del Nord
- un welfare che non si limiti a riconoscere un bonus una tantum a chi ha dei figli ma che consenta a tutti, uomini e donne, di scegliere serenamente di diventare genitori potendo assicurare cibo e beni primari per sé e per i propri figli
- politiche sociali e del lavoro che non costringano le donne a dover scegliere tra lavoro e maternità, tra lavoro e cura di familiari
- il riconoscimento del valore e dei talenti di ciascuno, indipendentemente dal proprio genere
- il superamento di una cultura sessista, strisciante e dominante.
Ok. Per oggi ho finito. ⏰

sabato 28 dicembre 2019

Il pianto di Rachele e la strage degli innocenti: le responsabilità degli adulti

Muoiono. Cadono sulle strade, impregnate del loro sangue, spesso nei fine settimana, all'alba di una domenica mattina, al termine di una notte da sballo, fatta non più solo di luci stroboscopiche e musica ad altissimo volume ma spesso di pasticche a basso costo e di facile consumo e fiumi di alcol, e corse in automobile e rincorse alla ricerca di un senso di questa vita, di questa storia "anche se questa storia un senso non ce l'ha" come canta Vasco.
Spesso hanno tra i 15 e i 25 anni. Giovani, giovanissimi, che a volte non hanno nemmeno fatto in tempo a diventare anagraficamente adulti.
E noi, adulti attoniti, versiamo lacrime e imprechiamo contro un destino crudele e una società violenta, sbagliata, ingiusta.
Così, spesso, dimentichiamo, noi adulti, che la società è l'insieme di noi tutti.
Noi tutti che abbiamo accettato di rendere facile ciò che un tempo era proibito (anche se lo si faceva ugualmente), che abbiamo disimparato a dire "No", nell'illusione di rendere la vita più facile, senza complicazioni, senza traumi, senza difficoltà.
E invece il bello della vita sta proprio nello sfidarla, nel superare gli ostacoli, nell'affrontare le difficoltà e vincerle. 
Sembra che l'abbiamo dimenticato, noi adulti. Così, ai più giovani, non resta che cercare la sfida: nell'auto lanciata a gran velocità, nella nebbia di un cervello impasticcato, nella giostra di incontri sessuali consumati come un drink. Incapaci di emozioni, perché le emozioni vanno apprese e vanno insegnate, anche se fanno paura, anche se fanno male, anche se rendono fragili ed insicuri, come fragile ed insicura è l'umanità tutta.
Riappropriamoci delle emozioni. Riappropriamoci del pianto, non quello della sofferenza e del dolore di Rachele che piange per le vittime di una cultura falsa e illusoria, ma del pianto di gioia, quello di Filumena Marturano che scopre per la prima volta la forza e la bellezza dell'amore.

mercoledì 11 luglio 2018

Il problema siamo noi

Le polemiche sulla questione migranti che imperversano sui mass media da due mesi a questa parte, rischiano di far perdere di vista una questione centrale: il problema non sono i migranti, che sempre ci sono stati e sempre ci saranno (la storia dell'umanità è caratterizzata proprio dalle migrazioni dei popoli). Il problema siamo noi. In particolare noi italiani, così refrattari a accettare regole che viviamo come un disturbo al nostro individualismo esasperato e di cui non cogliamo invece gli aspetti positivi.
 Il problema sono gli italiani che non rispettano il codice stradale, che non pagano le tasse, che sono disposti ad accettare l'aiuto dell'amico o dell'amico dell'amico per trovare un lavoro, per superare un concorso o un colloquio, per evitare la fila ad un ufficio pubblico, per ottenere un appuntamento per una visita di controllo o un ricovero presso un ospedale pubblico, per iscrivere il figlio al nido o presso un istituto scolastico, ecc. ecc..
In questo caos che caratterizza la vita di molti italiani si inseriscono i migranti. Quelli che hanno dato e danno prestigio e lustro a questo Paese e quelli che, anziché essere risorsa per pagare le future pensioni, bivaccano nei giardinetti e nelle stazioni spacciando stupefacenti o vendendo borse e occhiali da sole taroccati anche agli italiani.
L'Italia è stata fatta quasi 160 anni fa. Per gli italiani del buon Massimo D'Azeglio stiamo ancora aspettando. O ci accontenteremo di questi.

lunedì 25 giugno 2018

Allo stato brado

Sempre più frequentemente capita di vedere bambini dall'età variabile tra i due e i dieci anni che al ritiro bagagli in aeroporto si piazzano davanti al nastro trasportatore costituendo un pericolo per sé e un disturbo per gli altri dato che il bagaglio, i bambini, non riescono a ritirarlo rischiando contemporaneamente di prendere in testa quello del passeggero che ritira il suo e non riesce a schivare il bimbo piazzato laddove non dovrebbe essere. In quest'ultimo malaugurato caso, nemmeno così improbabile, il genitore del bimbo colpito non fa che lamentarsi. "Che modi!", ripete, dando per scontato che il figlio, urlante, possa fare ciò che vuole, in sua presenza e anche in sua assenza.
Non si pensi ch'io non sia consapevole di quanto sia difficile educare.
E' difficile, per esempio, chiedere a un bambino di due/tre anni di restare seduto e composto a tavola per tutta la durata del pasto senza pretendere di avere con sé giochini vari, di alzarsi ripetutamente, di gattonare, benché abbia già imparato a camminare da un po', sotto il tavolo ai piedi degli astanti.
Certo che è difficile!
Lo è al pari di chiedere a un tredicenne/quattordicenne di restare seduto al suo banco nel momento in cui gli è richiesto, senza girare per l'aula come un uccellino che si rifiuta di rientrare in gabbia.
Per l'adolescente riottoso, quando va bene, i primi tre mesi di scuola superiore possono bastare per trasmettergli l'idea che, sì, a scuola ci sono momenti in cui bisogna stare seduti.
Mi si dirà che sono altri tempi da quando frequentavo la scuola seduta dalla parte opposta alla cattedra.
Mi si dirà che i bambini, che gli adolescenti sono cambiati.
Non è così. Non sono cambiati i bambini, non sono cambiati gli adolescenti.
Quegli adulti che, ritenendo di fare cosa buona e giusta, lasciano i bambini e gli adolescenti allo stato brado in nome di una libertà presunta da concedere a sé stessi e ai più giovani che vengono loro affidati. 
Così quella libertà diventa licenza, diventa irresponsabilità, diventa incapacità di gestire sé stessi e gli altri.
Tutti allo stato brado, con buona pace delle necessarie regole di convivenza sociale e civile.


lunedì 24 luglio 2017

Goliardia e baraonde

Che rapporto c'è tra lo spirito goliardico che da sempre appartiene agli universitari e le attuali baraonde che accompagnano i festeggiamenti per i neolaureati?
Probabilmente l'eccesso. La violazione degli ambienti istituzionali. Il confondere la libertà con la licenza. Fino a deturpare con quello che dovrebbero essere espressioni di libertà artistica (o presunta tale) i muri di prestigiose università.
(Foto del Dipartimento di Filosofia della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Bologna)





domenica 16 luglio 2017

Responsabilità

Sulle strade dell'Alto Adige, a cura della provincia autonoma di Bolzano, si incontra spesso questo cartellone.
A differenza di quelli di qualche anno fa, decisamente più lugubri e forti, invita alla responsabilità, che non deve essere solo un atteggiamento da tenere sulla strada ma in tutti i momenti della vita. Significativo appare anche il riferimento alla paternità e al rispetto della vita in generale.


venerdì 30 giugno 2017

Accoglienza e inclusione

Accogliere e includere significa creare le condizioni per cui coloro che vengono accolti possano vivere in condizioni dignitose: avere un lavoro, un alloggio dignitoso, godere dei naturali diritti civili, sentirsi parte di una comunità.
Questo significa accogliere e includere. Non lasciare vivere di espedienti, chiudendo in occhio o anche due di fronte a piccoli o grandi abusi e violazioni delle regole. 
Non permettere di vivere alla giornata, in condizioni igieniche inadeguate, in tuguri che non sono degni di essere chiamate abitazioni, sfruttando anche o arricchendosi ai danni di chi pensava di poter migliorare le proprie condizioni di vita.
Troppo comodo lavarsi la coscienza sostenendo di aver accolto. Se si accoglie qualcuno nella propria casa, non lo si lascia poi in un angolo vicino alla porta d'ingresso riservandogli magari le briciole del proprio cibo. Non è così che si fa.

venerdì 16 giugno 2017

Doveva essere una festa

"Quella per la finale doveva essere una festa, non immaginavamo di trovarci in mezzo alla bolgia. Io non avevo un'idea precisa di cosa avrei trovato in piazza ma non era quello che mi ero immaginato: era tutto disorganizzato, c'erano venditori abusivi, entrava chiunque senza controllo, c'erano bottiglie dappertutto... Siamo un Paese così, non abbiamo imparato nulla, bastava copiare quello che avevano fatto gli spagnoli con la proiezione dentro lo stadio. Invece qui è come se la sindaca avesse lasciato aperta la porta di casa sua senza rendersi conto che entravano trentamila persone. E quando il fattaccio ormai è accaduto dice "scusate, mi spiace, pensavo sarebbero venute solo due persone per un caffè". Ecco, "mi spiace" sono parole che non riusciamo a sentire". (cit. http://torino.repubblica.it/cronaca/2017/06/16/news/_siamo_stanchi_dei_mi_spiace_dovevano_pensarci_prima_e_adesso_erika_e_morta_-168232813/?ref=RHPPBT-BH-I0-C4-P2-S1.4-T2)
Le parole drammatiche di Fabio Martinoli, compagno di Erika Pioletti, la donna rimasta uccisa a seguito delle ferite riportate la sera del 3 giugno scorso, sono le stesse pronunciate da chi, quella sera, era in Piazza San Carlo, a Torino, e che mai avrebbe pensato di vivere in quella occasione una situazione tanto drammatica quanto assurda, soprattutto perché ai più è stato chiaro, prima ancora che scoppiasse il panico, che qualcosa, nell'organizzazione di quella serata, era mancato: i controlli di filtraggio per chi volesse accedere alla Piazza, riempita fino all'inverosimile; la vendita di alcolici che aveva reso ubriachi molti, prima ancora dell'inizio della partita; i cocci delle bottiglie di vetro che come un tappeto ricoprivano l'asfalto.
Di quella serata, nella mente di chi c'era, non resterà il ricordo di una partita che si sognava di vincere ma era stata malamente persa. Di quella serata resterà il ricordo di urla, spavento, vetri, sangue, corpi schiacciati, stretti quasi in una gabbia. Le scuse non bastano. Chi avrebbe dovuto garantire la sicurezza di chi pensava di partecipare a una festa, dovrà renderne conto. Amministrare significa assumersi delle responsabilità, farsene carico. Ammettere di aver sbagliato. E pagarne le conseguenze.

sabato 13 maggio 2017

Schiavi e signori

"IDEOLOGIE DEL NOVECENTO"
"La cultura filosofica del primo Novecento trovò in Friedrich Nietzsche (1844 -1900) il distruttore di tutti i valori borghesi tradizionali, definiti vere e proprie schiavitù psicologiche dell’individuo, e l’esaltatore di quella volontà di potenza che esprime le energie più vitali e profonde dell’individuo, proiettandolo in una dimensione oltreumana, al di là degli schemi conformistici e dei condizionamenti della cultura occidentale." (Tratto da: Antonio Brancati: “Storia di popoli e di civiltà”, volume 3, La Nuova Italia, Firenze, 1995, pg. 14)
"LA CONFUSIONE MODERNA"

"Io non vedo che cosa si voglia fare con l’operaio europeo. Egli sta troppo bene per non pretendere ora un poco alla volta di più, per non pretendere con sempre maggiore esasperazione: alla fine ha il numero dalla sua. E’ completamente finita la speranza che si costituisca qui una specie d’uomo modesta e facilmente contentabile di sé, una schiavitù nel senso più blando del termine, in breve una classe, qualcosa che abbia immutabilità. Si è reso l’operaio militarmente abile: gli si è dato il diritto di voto, il diritto di associazione: si è fatto di tutto per corrompere quegli istinti sui quali si poteva fondare una cineseria operaia: così che l’operaio già oggi sente e fa sentire la sua esistenza come uno stato di bisogno (in termini morali come un’ingiustizia…)… Ma cosa vogliamo? Domandiamo ancora una volta. Se si vuole uno scopo, è necessario volere i mezzi: se vogliamo schiavi, e occorrono! – non bisogna educarli da signori." (Tratto da: Friedrich W. Nietzsche: “La volontà di potenza”, in “L’Anticristo”, “Crepuscolo degli idoli”, “Ecce homo”, “La volontà di potenza”, Grandi Tascabili Economici, Newton, Roma, 1989, pg. 348)

mercoledì 12 aprile 2017

Biciclettate in testa e tutti zitti!

La locandina del quotidiano locale di qualche giorno fa riportava la notizia secondo cui la città in cui vivo,  si ritrova a occupare uno dei primi posti per numero di multe comminate. Non nego che sia così. Osservo tuttavia che l'elevato numero di multe, almeno al momento, non mi sembra abbia modificato comportamenti che violano sistematicamente le regole della convivenza civile nonché quelle del codice stradale.
Quotidianamente incrocio (a volte mettendo a rischio anche la stabilità delle mie ginocchia, essendo costretta a cambi di direzione improvvisi) ciclisti che percorrono (talvolta anche a velocità sostenuta)  marciapiedi non individuati come piste ciclabili, ciclisti che percorrono contromano carreggiate riservate alla circolazione dei veicoli, pedoni che attraversano fuori dalle strisce pedonali, sbucando a volte dietro autobus o mezzi che impediscono di vederli chiaramente, costringendo gli automobilisti a brusche ed improvvise frenate, pedoni che attraversano con il rosso, automobilisti che in prossimità delle strisce pedonali accelerano anziché rallentare, automobilisti che, al scatto del verde, partono come se partecipassero al gran premio.
Tacerò poi delle strade disseminate di escrementi di cane i cui proprietari si guardano bene dal raccogliere.
Quel che maggiormente mi indigna, tuttavia, è l'arroganza di chi non rispetta le regole e che risponde seccato se glielo si fa notare.
Un paio di settimane fa, in una circostanza simile, ho rischiato una biciclettata in testa: percorrevo il marciapiede antistante il mio edificio scolastico; era l'ora di inizio delle lezioni e c'erano molti pedoni. Improvvisamente, facendosi avanti tra uno slalom e l'altro, è arrivato un ciclista che ha chiesto sì permesso, ma lo ha fatto sfiorando i pedoni che gli impedivano il passaggio. Ho commentato fra me e me (ma non tanto da non essere sentita): "Chiede pure permesso! Roba da matti!". Non lo avessi mai fatto: il tipo, grande e grosso, ha afferrato a due mani la bicicletta, sollevandola, e a cominciato a inveire contro di me in inglese (o almeno, penso che di inglese si trattasse, avendo io riconosciuto, tra le altre parole, quella del titolo di una canzone di un po' di anni fa degli Articolo 31 cantata con Paola Turci). Non ho osato guardarlo e ho temuto di ricevere la bicicletta sulla testa. Sono ammutolita e ho proseguito il mio cammino, temendo di essere aggredita. Mi sono indignata e, ancora oggi, ricordando l'episodio, mi indigno ancora di più: sinceramente io non ne posso più di avere a che fare con chi, sempre più spesso, non solo non rispetta le regole ma non rispetta nemmeno gli altri che, muti, devono accettare la legge di chi urla più forte.

sabato 25 marzo 2017

Angherie da bulli: le responsabilità degli adulti

C'è stato un periodo, una ventina di anni fa, in cui si tendeva a liberare le famiglie dalle loro responsabilità, attribuendo certi comportamenti giovanili alla cattiva influenza della società. La verità è che la società è data dalle persone che la costituiscono e se tra queste persone ci sono genitori che non educano i figli al rispetto di sé stessi e degli altri, ritenendo magari certi comportamenti solo innocenti ragazzate, non possiamo che aspettarci tali risultati. Quando tuttavia si verificano certi episodi, non si può non sottolineare la grave responsabilità degli adulti, lontani a volte da quel patto educativo che permette ai più giovani di crescere senza dover calpestare e umiliare coloro che si ritengono più deboli, nell'illusione di essere più forti. 
Non si è più forti: si è solo dei deboli vigliacchi.

martedì 12 aprile 2016

Maternità e paternità responsabile

Maternità e paternità, tra gli esseri umani, non sono un mero fatto biologico: genitori si diventa e diventarlo implica una forte assunzione di responsabilità.
Bisognerebbe dirlo a tutti i genitori, a quelli che si apprestano a diventarlo, a quelli che lo sono già, magari da vari anni, magari di più figli.
Essere genitore significa accettare, prendersi cura, e, soprattutto, educare i propri figli, fin dal primo vagito.
Credere che un bambino sia troppo piccolo per imporgli delle regole, aspettando il momento giusto, significa andare incontro a difficoltà nel riuscire poi ad imporre la propria autorevolezza.
Un bambino impara (o dovrebbe imparare) in famiglia che esistono luoghi e persone da rispettare, che lui non è al centro del mondo (anche se è convinto di esserlo), che non è un principe e i suoi genitori non sono la sua corte.
Trovo triste e deprecabile vedere bimbi di tre/quattro anni che, per strada, pretendono di vedere immediatamente assecondati i loro capricci, urlando e volendo averla sempre vinta.
Molti genitori acconsentono, a volte per stanchezza, a volte perché pensano che c'è tempo per insegnare ai loro pargoli come si sta al mondo. Sbagliano. Forse si ritroveranno a gestire adolescenti riottosi e maleducati, ingestibili e, peggio ancora, già dediti ad abitudini nocive e rischiose per sé e per gli altri.
Educare è un impegno gravoso che deve essere assunto con grande consapevolezza. Non è come comprare "Cicciobello" nel negozio di giocattoli ed accantonarlo in uno stanzino quando non si ha più voglia di giocarci.
Illudersi che tutto rimanga come prima, che ci si possa permettere uscite o frequentazioni non adatte ai ritmi dei più piccoli, è una delle tante utopie di cui ci si è alimentati negli ultimi anni.
(Già pubblicato su altra piattaforma il 15 ottobre 2011)

Educazione

1) Uscendo di casa, mentre apro il cancello d'ingresso del condominio, incrocio una ragazzetta che contemporaneamente sta arrivando per entrare. Spalancando io il cancello, la tipa si infila senza dire né grazie, né prego, né arrivederci o similia.
2) Camminando sul marciapiedi, incrocio una ragazzetta (un'altra, non quella di cui sopra) che sta tranquillamente circolando in bicicletta e si scoccia anche un po' perché io le intralcio il cammino. Le faccio notare (sono o non sono una rompiscatole?) che la pista ciclabile è esattamente sul marciapiedi opposto e che, visto che c'è, sarebbe anche il caso di sfruttarla. La tipa mi guarda infastidita e scocciata.
Cari genitori, ma voi insegnate l'educazione ai vostri figli?

domenica 10 aprile 2016

H 24

Lo sviluppo e la diffusione sempre maggiore delle nuove tecnologie richiedono un ripensamento sulle condizioni lavorative che, soprattutto per certe mansioni, rischiano di diventare una vera e propria schiavitù per il lavoratore che, dotato di smartphone, finisce per essere, 24 ore su 24, a completa disposizione del datore di lavoro, dei clienti o di tutti coloro che, avendo bisogno di contattarlo, si sentono autorizzati a farlo in qualunque momento della giornata.

 Così, lo studente che ha necessità di un chiarimento,  non esita a contattare l'insegnante e ugualmente farà il datore o il collega di lavoro, senza farsi scrupolo di considerare che, come tutti, il periodo di riposo per ciascuno di noi è un diritto, oltre che un dovere. Staccare il cervello dalle fatiche quotidiane, dalle incombenze lavorative, è una vera e propria necessità. Le vacanze, le ferie, sono state pensate proprio per questo. Non si può pensare di lavorare 365 giorni all'anno per 24 ore su 24. Il lavoro intellettuale rischia di diventare un lavoro a tempo pieno che non si interrompe mai e non contempla giorni festivi e feste comandate.

lunedì 28 marzo 2016

Donne e gonne

"Con lo scoppio della prima guerra mondiale, che ebbe tra le sue conseguenze la presenza sempre maggiore delle donne nel mondo del lavoro, gli abiti arrivarono al polpaccio, le linee divennero meno sinuose e più geometriche, appena addolcite dalla cosiddetta <<crinolina di guerra>>, una sottogonna di tulle.
Si può dire che il progressivo accorciarsi delle gonne coincise con altrettante tappe dell'emancipazione femminile.
La moda non è, insomma, qualcosa di frivolo o superficiale. La moda rispecchia e testimonia un'epoca, una società, una cultura. Le necessità economiche e le sovrimposizioni morali; la condizione dell'essere umano nel corso del tempo.
O, con le parole di Roland Barthes nel suo <<Il sistema della moda>>: <<Ogni nuova moda è rifiuto di ereditare, è sovvertimento contro l'oppressione della vecchia moda; la moda si vive come un diritto, il diritto naturale del presente sul passato>>." ( Maria Letizia Putti e Roberta Ricca: "La signora dei Baci Luisa Spagnoli", Graphofeel Edizioni, Roma, 2016, pagina 97)  

mercoledì 3 febbraio 2016

Uteri in affitto

Un tempo, quando le tecnologie non erano così sviluppate, le coppie che desideravano un figlio ma non riuscivano ad averne ricorrevano a una modalità che si potrebbe definire "utero in affitto" ante litteram, per quanto, più che di utero in affitto sarebbe più opportuno parlare di "coppia fecondante al servizio di coppia sterile".
La pratica, abbastanza diffusa anche se non sempre esplicitamente ammessa, consisteva nel generare, gratuitamente, s'intende, un figlio destinato a una coppia sterile che sarebbe diventata la coppia genitoriale del feto appositamente messo in cantiere. Solitamente uno dei membri della coppia sterile era un fratello o una sorella della coppia fertile, tanto fertile da potersi permettere una ricca prole da destinare poi ai meno fortunati.

Famiglia e società civile

La famiglia la si sostiene insegnando ad amarsi reciprocamente incondizionatamente, accettando, ciascuno dei componenti e comunque sia composta, di rispettare l'altro amandolo per come è e non per come si vorrebbe che fosse, accettando le sue scelte e il suo modo di essere sé stesso.
Il rispetto reciproco lo si impara in famiglia. Solo così potrà poi esistere all'interno delle altre strutture sociali e nella società stessa. Il resto sono solo parole, proclami, ideologie. Così credo che debba essere una famiglia. Così credo debba essere una società che si definisce civile.