giovedì 13 luglio 2017

Una laurea è per sempre (quasi o meglio di un diamante)

"Un diamante è per sempre" recitava lo slogan di una campagna pubblicitaria di qualche tempo fa.
Ma come e più di un diamante anche una laurea o un titolo di studio che corrisponda effettivamente al titolo stesso può avere un valore inestimabile.
Naturalmente, non si tratta qui del titolo di per sé stesso ma della preparazione, della competenza, della cultura, dell'apertura mentale che lo studio porta necessariamente con sé.
Chi ha studiato davvero sa che, alla fine del suo percorso di studi, si è ritrovato ad essere una persona completamente diversa da quella che inizialmente era. Studiare davvero significa, al di là delle discipline approfondite, acquisire consapevolezze, valori, idee, modalità di relazione che coloro che non hanno avuto la fortuna di studiare o che hanno considerato e considerano il titolo di studio unicamente il mezzo per trovare lavoro (cosa che, al momento, non è nemmeno più garantita) o un mero pezzo di carta, da ottenere nel modo più veloce o magari meno ortodosso possibile, non riescono nemmeno ad immaginare.
Un Paese che vuole crescere davvero, che vuole riconoscere la sovranità del suo popolo, deve dare al suo popolo la possibilità di studiare, studiare davvero, perché possa avvalersi dei suoi diritti e possa rispettare i suoi doveri. 
Ma se un popolo si nega il diritto di scegliere, se ricorre ad imbrogli e compromessi, inseguendo il benessere individuale anziché riconoscere il benessere collettivo, è destinato a soccombere e merita il destino amaro che si è costruito.

La "classe capovolta"

A proposito di "classe capovolta" o "flipped classroom", risulta interessante l'articolo cui si rimanda, già pubblicato sulla pagina Facebook di questo blog (Sala Docenti).

domenica 9 luglio 2017

Libertà e (in)dipendenza

Si dicono liberi ed indipendenti. E non riescono a restare un paio d'ore senza lo smartphone. Così, anche dove l'uso ne sarebbe sconsigliato e vietato, continuano a consultare freneticamente il loro cellulare, fosse solo per controllare l'ultima notifica ricevuta, in una sorta di frenesia incontrollabile che li rende simili a tossicodipendenti. E, in fondo, anche l'ossessione e la dipendenza da smartphone rientrano tra le forme di dipendenza da curare.
Così, un oggetto che avrebbe dovuto rendere le persone più libere, in questi casi le ha rese solo schiave e dipendenti. 
Ma guai a farlo notare a chi da  tale  dipendenza è affetto. Reclamerà la sua libertà e il suo diritto a usare il cellulare quando ne ha voglia. Chiuso nel suo ostinato individualismo e nella sua dipendenza da un oggetto.

mercoledì 5 luglio 2017

"Anche gli alberi bruciano"

"Questa estate ho imparato tante cose. La prima è che i nonni non si rapiscono, la seconda è che anche gli alberi bruciano, e non parlo della quercia, ma di alberi fatti di carne e sangue che legano generazioni e generazioni, alberi genealogici che crescono marci e divorano tutto, pure i loro stessi frutti. Ho imparato che la mela può cadere lontanissima dall'albero, così lontana da osservarlo bruciare mantenendo intatti i suoi semi, nonostante tutto.
Ho imparato che anche il dolore e la rabbia bruciano, proprio come l'amore. Ma lasciano dentro un marchio diverso."
(Lorenza Ghinelli: "Anche gli alberi bruciano", Rizzoli, Milano, 2017, pgg. 161 - 162)


lunedì 3 luglio 2017

Compiti per le vacanze

Li ho sempre detestati, sin da quando, bambina, mi venivano assegnati. Mi riducevo a svolgerli negli ultimi giorni di vacanza, tra gli sguardi torvi dei miei che mal tolleravano quella pessima abitudine. Ma io pensavo (e penso tuttora) che le vacanze siano sacre e se sono sacre non devono essere dedicate ai compiti scolastici ma ad altro rispetto alle abituali attività.
I miei studenti lo sanno: assegno sempre pochi (o non ne assegno affatto) compiti per le vacanze. Al massimo indico un libro da leggere o chiedo di sceglierne e leggerne
uno a piacere da una lista appositamente predisposta o ancora, come è accaduto quest'anno, chiedo di preparare, già per il primo giorno di scuola, tutti i quaderni delle discipline di mia competenza con la prima pagina intestata e personalizzata.




La vacanza è sacra e deve essere rispettata. Vale per me come per i miei studenti.

domenica 2 luglio 2017

A scuola si fa

A scuola si parla, si discute, si analizza, ci si confronta.
Ed è forse questo che ad alcuni non piace. 
E, aggiungerei, fa paura.

venerdì 30 giugno 2017

Accoglienza e inclusione

Accogliere e includere significa creare le condizioni per cui coloro che vengono accolti possano vivere in condizioni dignitose: avere un lavoro, un alloggio dignitoso, godere dei naturali diritti civili, sentirsi parte di una comunità.
Questo significa accogliere e includere. Non lasciare vivere di espedienti, chiudendo in occhio o anche due di fronte a piccoli o grandi abusi e violazioni delle regole. 
Non permettere di vivere alla giornata, in condizioni igieniche inadeguate, in tuguri che non sono degni di essere chiamate abitazioni, sfruttando anche o arricchendosi ai danni di chi pensava di poter migliorare le proprie condizioni di vita.
Troppo comodo lavarsi la coscienza sostenendo di aver accolto. Se si accoglie qualcuno nella propria casa, non lo si lascia poi in un angolo vicino alla porta d'ingresso riservandogli magari le briciole del proprio cibo. Non è così che si fa.

giovedì 22 giugno 2017

#noncelapossofare

Li vedi in tenuta da spiaggia (compresi i commissari) e poi capisci che


son quelli dell'Esame di Stato.

venerdì 16 giugno 2017

Doveva essere una festa

"Quella per la finale doveva essere una festa, non immaginavamo di trovarci in mezzo alla bolgia. Io non avevo un'idea precisa di cosa avrei trovato in piazza ma non era quello che mi ero immaginato: era tutto disorganizzato, c'erano venditori abusivi, entrava chiunque senza controllo, c'erano bottiglie dappertutto... Siamo un Paese così, non abbiamo imparato nulla, bastava copiare quello che avevano fatto gli spagnoli con la proiezione dentro lo stadio. Invece qui è come se la sindaca avesse lasciato aperta la porta di casa sua senza rendersi conto che entravano trentamila persone. E quando il fattaccio ormai è accaduto dice "scusate, mi spiace, pensavo sarebbero venute solo due persone per un caffè". Ecco, "mi spiace" sono parole che non riusciamo a sentire". (cit. http://torino.repubblica.it/cronaca/2017/06/16/news/_siamo_stanchi_dei_mi_spiace_dovevano_pensarci_prima_e_adesso_erika_e_morta_-168232813/?ref=RHPPBT-BH-I0-C4-P2-S1.4-T2)
Le parole drammatiche di Fabio Martinoli, compagno di Erika Pioletti, la donna rimasta uccisa a seguito delle ferite riportate la sera del 3 giugno scorso, sono le stesse pronunciate da chi, quella sera, era in Piazza San Carlo, a Torino, e che mai avrebbe pensato di vivere in quella occasione una situazione tanto drammatica quanto assurda, soprattutto perché ai più è stato chiaro, prima ancora che scoppiasse il panico, che qualcosa, nell'organizzazione di quella serata, era mancato: i controlli di filtraggio per chi volesse accedere alla Piazza, riempita fino all'inverosimile; la vendita di alcolici che aveva reso ubriachi molti, prima ancora dell'inizio della partita; i cocci delle bottiglie di vetro che come un tappeto ricoprivano l'asfalto.
Di quella serata, nella mente di chi c'era, non resterà il ricordo di una partita che si sognava di vincere ma era stata malamente persa. Di quella serata resterà il ricordo di urla, spavento, vetri, sangue, corpi schiacciati, stretti quasi in una gabbia. Le scuse non bastano. Chi avrebbe dovuto garantire la sicurezza di chi pensava di partecipare a una festa, dovrà renderne conto. Amministrare significa assumersi delle responsabilità, farsene carico. Ammettere di aver sbagliato. E pagarne le conseguenze.