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domenica 24 aprile 2022

Amori difficili

 

"Forse passerà [...] una mattina, a salutare. Solo a salutare, niente di importante. Non servirebbe a niente comunque, perché lei lo sa benissimo, lo sa bene quanto lui che è l'amore, imperfetto e disordinato, a tenerli separati, proprio mentre in qualche modo li unisce [...]."

La citazione, tratta dal romanzo "Gente senza storia" di Judith Guest (Traduzione di Masolino d'Amico, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1977, pg. 277; da questo romanzo è stato tratto il film di Robert Redford  "Gente comune" del 1980), si riferisce alle difficoltà relazionali tra una madre e un figlio coinvolti in una tragedia familiare, ovvero la morte del figlio primogenito, amatissimo dalla madre e modello di riferimento per il fratello. Evidenzia la necessità, in alcuni casi, di rimanere lontani, anche se ci si vuole bene, perché restando vicini si soffrirebbe troppo.


E' una situazione che può riguardare non solo le relazioni tra madri e figli, ma tutte le tipologie di relazione, comprese quelle amicali.

L'amore verso gli altri non è sempre lineare, chiaro, perfetto.

A volte è complicato, doloroso, difficile. Al punto da richiedere una separazione, per evitare di continuare a farsi del male.

sabato 26 gennaio 2019

"Essere felici - Il cinema insegna"

“Io penso che la felicità è quando ti vai a prendere quello che c’è di grande nella vita, anche se devi superare tantissimi ostacoli e difficoltà. Quindi la felicità è una cosa che se proprio la vuoi te la devi andare a prendere. A questa cosa ci penso molto spesso, perché io delle volte mi sento solo e disperato, ma altre volte sento proprio di essere felice.
E non ho detto allegro, contento, sereno, ho proprio detto felice!
Di solito però gli altri, le persone normali, vogliono che stai in difesa, che fai catenaccio, è come se non ci credono che ci sono le cose grandi da andarsi a prendere in attacco. In difesa uno soffre meno, ma non so se può davvero essere felice.
[…] Una cosa molto importante per essere felici sono le persone speciali, una persona speciale è quella che ti fa capire che in attacco ci sono le cose grandi e che stare in difesa è un peccato. Oppure sei tu che gli fai capire che in attacco ci sono le cose grandi e allora sei molto felice di farglielo capire.

Io ci provo ad essere felice, costi quello che costi. Certo, mica si può essere felici di tutto, però forse basta esserlo di qualcosa, che poi quel qualcosa illumina tutto il resto… e siamo salvi.” (Tratto dalla sceneggiatura del film “Banana” di  Andrea Jublin. Italia, 2015)


mercoledì 10 ottobre 2018

Per sempre

Giura che lo ama. 

Che resteranno insieme per sempre. 

Che da quando lo ha incontrato, la sua vita ha avuto, finalmente, un senso.

Hanno festeggiato il loro anniversario con un video pubblicato su un social network, affinché tutti sapessero dell'importanza del loro amore.
Ho sorriso e ho provato tenerezza e timore guardando quel video. Loro hanno 16 anni.
Io quasi 60.
E ho imparato che gli amori giovanili spesso svaniscono, con la stessa immediatezza con cui sono nati.
(Rielaborazione di un vecchio post già pubblicato sulla piattaforma Splinder)

mercoledì 25 luglio 2018

Ripartire dall'essenziale

"Mi domando: [...] (i miei figli) sapranno che fare quando si troveranno al buio? Capiranno da dove può arrivare la luce della salvezza, da quale parte guardare? Ecco quello che dovremmo chiederci, noi genitori: se il nostro tempo sta lasciando loro qualcosa, se stiamo trasmettendo un patrimonio morale. Per riconquistare i nostri figli è da qui che dobbiamo ripartire: dall'essenziale." (Antonio Polito: "Riprendiamoci i nostri figli - La solitudine dei padri e la generazione senza eredità", Marsilio - Nodi, Venezia, 2017, Pagina 173)

domenica 22 luglio 2018

L'ultimo baluardo


Sempre più spesso, psicologi e pedagogisti invitano la scuola a resistere come ultimo baluardo contro una società sempre più sfaccettata che si nutre di false illusioni, di arroganza, di ignoranza, di certezze assolute mirate a raccogliere il consenso di chi, sempre meno, è abituato a pensare.
E la scuola degli insegnanti che nella scuola credono davvero cerca di resistere, nonostante tutto, incoraggiando gli studenti a discutere, a pensare, ad ascoltare, a non dar mai nulla per scontato, a non credere a tutto ciò che viene detto prima di averlo analizzato, confrontato, approfondito.
Tocca alla scuola il compito di resistere, nonostante tutto, anche valorizzando attraverso una didattica delle emozioni, l'attività in classe.
Contro l'analfabetismo emotivo, Ulisse Mariani e Rosanna Schiralli con il format Didattica delle emozioni propongono per la scuola una serie di obiettivi:
una scuola che, prima di insegnare, educhi
- prima di informare, formi
  - che, prima di integrare, interagisca
 - che, prima di diventare tecnologica, si apra alla modernità 
 - che, prima di accogliere e rispettare, si faccia rispettare
 - che, prima di cadere nella trappola del buonismo, sappia mettere regole, limiti e confini       
 - che, prima di trasformarsi in un contenitore sterile, sia luogo di studio, impegno e passioni 
 - che, prima di essere derubata di ogni risorsa, sia spazio sacro e da proteggere
 - che, prima di invitarli a ripetere la lezione, aiuti i giovani a narrarsi
 - che, ancora prima delle lettere e dei numeri, recuperi codici di linguaggio emozionale.

Soltanto così, unendo il passato al futuro, la scuola può dare senso e avere senso.

(Citazioni tratte dal testo di Ulisse Mariani e Rosanna Schiralli: Intelligenza emotiva a scuola - Percorso formativo per l'intervento con gli alunni, Erickson, Trento, 2012, pagine 129 - 130)


Contro l’analfabetismo emotivo:
la che, prima di insegnare, educhi

 prima di informare, formi

che, prima di integrare, interagisca


che, prima di diventare tecnologica, si apra alla modernità



giovedì 19 luglio 2018

Emozioni in musica

Ha una melodia accattivante, che evoca le emozioni tipicamente adolescenziali di amori estivi, intensi e fugaci, destinati a spegnersi al primo colpo di vento. Ascoltarla significa tornare indietro di quarant'anni, quando i sentimenti travolgenti sembravano dominare su tutto e tutti, anche quando erano insignificanti. E non importa se si hanno quasi sessant'anni. Si torna giovanissimi, travolti da parole e musica che sembrano quelle dell'adolescenza lontana eppure mai così vicina.








Che super taglio di capelli che hai
Potresti vincere tutto
Dobbiamo fare adesso subito qua
Una foto che spacca
E le favole e le corse
E le storie con gli effetti e le bugie
L’hai dette prima a me
Lo sai siamo sospesi in un vecchio spot dove allo specchio tu canti con il phon
Certo che lo sai, prendi tutto e te ne vai
Per vedere se è vero
Che poi ti vengo a cercare
E ritorni solo se, cambia tutto tranne te
Alla tua festa non c’ero
Ma ti hanno vista ballare
Da sola in the night
(In the night)
Che super pelle, che profumo che hai
Mi mandi fuori di testa
Le tue magliette bianche dentro quei jeans
Sono una cosa perfetta
E le favole e le corse
E le storie con gli effetti e le bugie
L’hai dette prima a me
Lo sai che non mi passa
Dal primo bacio a scuola ad occhi chiusi
Come lo vorrei ora
Certo che lo sai, prendi tutto e te ne vai
Per vedere se è vero
Che poi ti vengo a cercare
E ritorni solo se cambia tutto tranne te
Alla tua festa non c’ero
Ma ti hanno vista ballare
Da sola in the night
(In the night)
Da sola in the night
(In the night)
Certo che lo sai, prendi tutto e te ne vai
Per vedere se è vero
Che poi ti vengo a cercare
E ritorni solo se cambia tutto tranne te
Alla tua festa non c’ero
Ma ti hanno vista ballare
(In the night
Da sola
In the night
Da sola in the night
In the night)
Compositori: Alessandro Merli / Davide Petrella / Fabio Clemente / Tommaso Paradiso
Testo di Da sola / In the night © Universal Music Publishing Group

sabato 7 luglio 2018

"Chiamami col tuo nome"

"<<Non parleremo mai più, io e te>> dissi, mentre scendevamo l'interminabile pendio, il vento tra i capelli.
<<Non dire così.>>
<<Lo so già. Ci limiteremo a chiacchierare. Chiacchierare, chiacchierare. Stop. E sai qual è la cosa più buffa? Che me lo farò bastare.>>
<<Ti è appena uscita una rima>> rimarcò.
Adoravo il modo in cui perdeva la pazienza con me." 
(André Aciman: "Chiamami col tuo nome", Guanda, Milano, 2008, Tredicesima edizione febbraio 2018, pagina 96)

Il cuore non basta

"Figli si nasce, genitori no." recitava uno slogan di una trentina di anni fa. L'esperienza genitoriale, da sempre sfidante, è diventata parecchio complessa soprattutto negli ultimi decenni. Non bastano l'intuito e l'amore di una madre e di un padre per evitare di commettere errori gravissimi nel crescere i propri figli. Gli studi specifici hanno dimostrato e dimostrano con sempre più precisione quanto possano influire ed essere deleteri i comportamenti dei genitori sullo sviluppo di ciascun figlio. La cui educazione, di fatto, inizia già nel momento del concepimento. L'idea che i genitori si fanno della creatura che sta per nascere comincerà già ad influire su ciò che quella creatura diventerà. 
Forse sarebbe il caso che i futuri genitori e i genitori stessi seguissero corsi specifici di aggiornamento per imparare ad essere genitori. Genitori si diventa e si impara ad esserlo studiando, leggendo testi specifici. Perché tutto l'amore del mondo e l'intuito di una madre e di un padre non bastano più.



mercoledì 5 luglio 2017

"Anche gli alberi bruciano"

"Questa estate ho imparato tante cose. La prima è che i nonni non si rapiscono, la seconda è che anche gli alberi bruciano, e non parlo della quercia, ma di alberi fatti di carne e sangue che legano generazioni e generazioni, alberi genealogici che crescono marci e divorano tutto, pure i loro stessi frutti. Ho imparato che la mela può cadere lontanissima dall'albero, così lontana da osservarlo bruciare mantenendo intatti i suoi semi, nonostante tutto.
Ho imparato che anche il dolore e la rabbia bruciano, proprio come l'amore. Ma lasciano dentro un marchio diverso."
(Lorenza Ghinelli: "Anche gli alberi bruciano", Rizzoli, Milano, 2017, pgg. 161 - 162)


giovedì 18 maggio 2017

Non è una malattia

Sentii parlare di omosessualità, per la prima volta, nel novembre del 1975. Intendo dire che ne sentii parlare in modo serio, senza risolini o battutacce, quelle che tanto piacciono agli uomini di tutte le età.
Il 2 novembre 1975 era stato ucciso Pier Paolo Pasolini e Pino Pelosi, "diciassettenne legato al mondo della prostituzione maschile" (come si legge su "L'Italia del '900 - 1972 - 1975" di Enzo Biagi in collaborazione con Loris Mazzetti, Rizzoli, Milano, 2007, pag. 219), aveva confessato di essere l'assassino.
Io frequentavo la quarta ginnasio. La mia insegnante di lettere ce ne parlò e ci invitò a leggere quotidiani e riviste per documentarci sull'argomento. Già da allora emergevano forti dubbi e interrogativi su quello che potesse essere davvero accaduto. Tuttavia ciò che, soprattutto su certa stampa, si tendeva a mettere in evidenza, erano le abitudini sessuali di Pasolini. Non la sua lucidità e la sua perspicacia intellettuale.
Lo confesso. Io, all'epoca, non leggevo molto i quotidiani, se non la "Gazzetta" locale. Ugualmente, tra i settimanali, mi informavo su "Famiglia Cristiana", "Gente", "Oggi" e (mi vergogno un po' ad ammetterlo adesso, ma è così) "Bolero telefilm", ovvero i giornali che trovavo in casa mia.
Così, quando l'insegnante ci assegnò un tema di attualità sull'argomento ed io, alla luce delle mie fonti, scrissi che, in fondo, bisognava compatire Pasolini perché era malato di omosessualità, mi ritrovai con il compito corretto dall'insegnante che, a margine di tale affermazione, aveva scritto, in rosso e a caratteri cubitali: "Non è provato che l'omosessualità sia una malattia, può essere una libera scelta dell'individuo che asseconda una sua naturale tendenza!".
Restai confusa. Per qualche mese non mi interessai più della questione, anche se, studiando, scoprivo man mano che molti grandi personaggi della storia avevano questa malattia o tendenza, come affermava la mia insegnante: Leonardo da Vinci, Michelangelo, Alessandro Magno, ecc..
Non solo: nell'antichità greca e romana il rapporto più sublime e nobile era considerato proprio quello tra due uomini e non quello tra un uomo e una donna, che si accoppiavano spesso solo per procreare.
Accadde poi che qualche mese più tardi, era la primavera del 1976, il collettivo studentesco organizzò un incontro pomeridiano sull'omosessualità all'interno del nostro istituto. Oltre al preside e agli insegnanti, erano presenti esperti e si annunciava anche la presenza di chi avrebbe fornito la propria testimonianza in proposito.
Come molti, anch'io avevo in mente la macchietta tipica dell'omosessuale: una persona effeminata, volutamente provocatoria e anche un po' ridicola e patetica. Mi aspettavo fosse così la persona che avrebbe parlato della sua esperienza.
Con meraviglia invece scoprii che proprio il giovane uomo più bello e più "maschio", quello che tutte le ragazze avevano notato al suo ingresso, quello che pensavamo fosse un medico o uno psicologo appetibile (non aveva la fede!) era una "checca".
Esordì proprio così: "Salve, mi chiamo Mario e sono una checca."
Proseguì con il racconto della sua vita, quello di chi si sente rifiutato in primo luogo dai genitori ovvero da chi dovrebbe amarlo per quello che è e non per quello che vorrebbe che fosse. E poi una vita ai margini, con il terrore e l'angoscia di chi non riesce e non può essere sé stesso. E allora la frequentazione di certi ambienti marginali e squallidi diventa quasi una necessità, come se ci si volesse punire per la propria diversità, per la propria "malattia". Un dramma individuale, prima che un dramma sociale. Soprattutto perché non ci si sente compresi. Soprattutto perché c'è chi si ostina a dire che si può guarire. O che ci si deve tenere, senza ostentare o fingendo, la propria diversità. Come se la diversità fosse una colpa anziché una ricchezza, un'occasione di confronto per sfuggire all'omologazione.
Questo ho imparato in quel pomeriggio del 1976.
Ho imparato che rispettare gli altri significa rispettare la loro libertà. Un bene prezioso che tutti hanno il diritto di esercitare senza ledere la libertà altrui.
(Post già pubblicato il 6 febbraio 2009 sulla piattaforma Splinder, successivamente sul blog "La panchina in cima al monte" e su questo blog il 10 Gennaio 2016)

sabato 13 maggio 2017

Le responsabilità degli adulti

Il Convegno Internazionale #Supereroi fragili.2017, svoltosi a Rimini il 5 e il 6 Maggio scorsi, ha evidenziato che le difficoltà degli adolescenti delle ultime generazioni sono dovute alle scelte educative adottate dagli adulti negli ultimi vent'anni.
Proprio quelle scelte che, in post pubblicato il 27 settembre 2007 e, successivamente, il 1° ottobre 2008, sul blog "Sala docenti", erano state da me stigmatizzate. 




"Le responsabilità degli adulti"
Nei Paesi occidentali, dalla metà degli anni Sessanta, per circa una decina d'anni, i giovani rivendicarono per sé il diritto alla libertà e alla felicità. Pensavano che potesse essere possibile costruire un mondo migliore, libero dalle ipocrisie del mondo adulto tipiche della società borghese, parlavano di fantasia al potere, scandivano slogan del tipo "Siamo realisti, vogliamo l'impossibile", attaccavano duramente quelli che erano ritenuti i pilastri della società borghese: lo Stato, la famiglia, la scuola.
Nel frattempo crescevano, quei giovani, e in nome della libertà evocata per sé mettevano su casa (o case) e famiglia (famiglie), mettevano al mondo figli che venivano lasciati liberi di esprimere la propria creatività, fuori dalla costrizione delle regole autoritarie del "sistema". E poi andavano, venivano, liberi per il mondo perché la libertà è un bene primario. E anche la scuola doveva essere libera: basta con il sapere rigido e codificato, basta con la grammatica, meglio un corso di animismo o di cucina orientale.
Però...
Il risultato, credo, sia sotto gli occhi di tutti.
Mi limiterò ad effettuare un'analisi circoscritta a quello che quotidianamente, come insegnante, vedo negli occhi dei miei studenti, senza moralismi e pregiudizi.
I nostri ragazzi sono soli, disorientati, disillusi.
Hanno quindici anni e molti di loro ammettono di non avere né sogni, né speranze.
"Non è più come ai suoi tempi!", ripetono spesso. "Lo vede, vanno avanti solo i furbi!".
E ancora: "Il vero amore non esiste", "Tutti vogliono fregarti", "Non so cosa farò da grande e sinceramente non mi interessa".
Appaiono forti, tosti, ma sono fragilissimi, al punto che se trovano qualcuno disposti ad ascoltarli gli rivelano tutti i loro dubbi, le loro paure, il loro senso di inadeguatezza.
A volte sono chiamati persino ad occuparsi delle vicende amorose di padri farfalloni e di madri nevrotiche (o viceversa).
Dunque, se sono così, è colpa loro o colpa di noi adulti che in nome della nostra libertà abbiamo privato i nostri figli della libertà di crescere sereni ed emotivamente equilibrati?


giovedì 6 aprile 2017

Parlare al cuore

Da tempo, ormai, psicologi e pedagogisti sostengono che, per favorire l'apprendimento degli studenti, in particolare degli adolescenti, occorre che il docente parli al loro cuore, sia in grado, cioè, di incuriosirli, di emozionarli, di appassionarli, trasmettendo loro non solo i contenuti della sua disciplina ma il suo amore per la disciplina e per i contenuti che insegna.
Ciascuno di noi ha sperimentato quanto sia importante che i docenti stabiliscano un clima di apprendimento sereno, che stimoli la motivazione e, che, soprattutto, sia in grado di appassionare gli studenti, quasi seducendoli con la propria passione.
Parlare al cuore può farlo solo chi parla col cuore.

mercoledì 10 agosto 2016

"Non servono parole"

A volte basta uno sguardo. Uno sguardo intenso, profondo, capace di comunicare sentimenti ed emozioni, molto più delle parole.
Quello sguardo, sui social, può essere sostituito dalle emoticon. 
L'emoticon, postata col cuore, può valere più di mille parole.

giovedì 23 giugno 2016

Esame di Stato 2016 - Prima prova scritta

APPROFONDIMENTO: 
                         Umberto Saba                               

Mio padre è stato per me “l’assassino”

Mio padre è stato per me “l’assassino”
 fino ai vent’anni che l’ho conosciuto.
 Allora ho visto ch’egli era un bambino,
  e che il dono ch’io ho da lui l’ho avuto.

Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,
 un sorriso, in miseria, dolce e astuto.
 Andò sempre pel mondo pellegrino;
 più d’una donna l’ha amato e pasciuto.

Egli era gaio e leggero; mia madre
 tutti sentiva della vita i pesi.
 Di mano ei gli sfuggì come un pallone.

“Non somigliare – ammoniva – a tuo padre.”
 Ed io più tardi in me stesso lo intesi:
 eran due razze in antica tenzone.

Il poeta triestino Umberto Saba (1883 – 1957) è una delle figure più originali del nostro Novecento. Il suo Canzoniere, ampliato nel corso delle sue varie edizioni (la prima risale al 1921, l’ultima, postuma, al 1961), contiene tutte le raccolte di liriche da lui composte. La lirica Mio padre è stato per me “l’assassino”  è tratto dalla raccolta Autobiografia, comprendente 15 sonetti che Saba scrisse ispirandosi alla propria vita e che costituiscono una sorta di poemetto scandito in 15 strofe.
Mio padre è stato per me “l’assassino” è il terzo sonetto, in cui il poeta rievoca i suoi genitori: il padre, dal carattere libero e incapace di sottostare ai legami familiari, che abbandonò la moglie prima che il figlio nascesse, e la madre, che dovette sostenere da sola l’educazione del bambino, piena di rancore per il marito che l’aveva lasciata e che chiamò sempre “l’assassino”. Un conflitto aggravato, agli occhi del poeta, dall’appartenenza a due religioni e culture diverse: ebraica la madre, cattolica il padre. Solo quando Saba, ormai adulto, conobbe il padre, ritrovò negli occhi e nel sorriso del detestato “assassino”  non solo l’uomo che lo aveva generato, ma anche una parte importante di sé, legata alla sua sensibilità umana e artistica.


martedì 24 maggio 2016

Che fare?

"Che fare?" mi sento spesso chiedere da genitori alle prese con figli adolescenti indolenti, sgarbati, incontenibili, irritanti.

"Eppure" sostengono "fino a qualche tempo fa era tanto tranquillo...".

A me, sinceramente, verrebbe da rispondere che no, quel ragazzino, tranquillo, da che io lo conosco (e sono ormai molti anni), non lo è mai stato. Era indisponente, prepotente, egocentrico e, soprattutto, abituato a vedere appagata ogni sua richiesta non appena fosse formulata. Che cosa è cambiato, adesso? E' cambiato il valore, la qualità delle sue richieste.

Un adolescente ha esigenze diverse rispetto a quelle di un ragazzino di tre, cinque, sette anni. Dal suo punto di vista egli continua ad essere come è sempre stato.

Il genitore, invece, pensa che sia arrivato il momento di dire no. Ma ai "no" ci si deve abituare fin dalla più tenera età. Altrimenti si penserà, come alcuni adolescenti fanno, di subire un sopruso, di perdere un diritto acquisito. Chi di noi ha mai voluto rinunciare ad un diritto acquisito?

Ecco perché è importante che i genitori stabiliscano, da subito, regole precise e coerenti nell'educazione dei propri figli. Naturalmente tali regole dovranno essere adeguate all'età del bambino, ma non si può assolutamente pensare di far vivere come un selvaggio il proprio pargolo pensando poi di addomesticarlo quando diventerà più grande, stupendosi poi della difficoltà di farlo.

Vivere con un adolescente è indubbiamente difficile, ma lo è ancora di più quando ci si trova alle prese con un adolescente maleducato o ineducato. A cui è stato detto, magari in nome di un maggior presunto amore, troppe poche volte "NO!".



"Tu non mi vuoi bene!"

"Quante volte ve lo siete sentito dire dai vostri figli in tono accusatore?

E quante volte avete resistito alla tentazione di spiegar loro quanto li amavate?

Un giorno, quando i miei figli saranno abbastanza grandi da capire la logica che spinge una madre a comportarsi in un certo modo, glielo dirò.

Ti ho amato abbastanza da chiederti continuamente dove andavi, con chi e a che ora saresti tornato.

Ti ho amato abbastanza da insistere perché ti comprassi una bicicletta con i tuoi soldi, anche se noi potevamo permettercela e tu no.

Ti ho amato abbastanza da star zitta e lasciare che scoprissi da solo chi era l'amico che ti eri scelto.

Ti ho amato abbastanza da costringerti a restituire al proprietario del negozio la cioccolata già morsicata e confessare: <<L'ho rubata>>.

Ti ho amato abbastanza da restar lì come un gendarme per più di due ore a guardarti pulire la stanza, un lavoro che io avrei potuto fare in un quarto d'ora.

Ti ho amato abbastanza da dire: <<Sì, vai pure al luna park. Non importa se è il giorno della mamma>>.

Ti ho amato abbastanza da lasciare che vedessi la rabbia, la delusione, il disgusto e le lacrime nei miei occhi.

Ti ho amato abbastanza da non scusarmi mai con gli altri per le tue mancanze o cattive maniere.

Ti ho amato abbastanza da ammettere di aver avuto torto e chiederti scusa.

Ti ho amato abbastanza da ignorare quello che dicevano o facevano <<le altre madri>>.

Ti ho amato abbastanza da lasciare che inciampassi, cadessi, ti facessi male, sbagliassi.

Ti ho amato abbastanza da lasciare che ti prendessi le responsabilità delle tue azioni, a sei, come a dieci, o a sedici anni.

Ti ho amato abbastanza da sospettare che avevi mentito sulla presenza dei genitori del tuo amico a quella festa, e lasciar correre... dopo aver scoperto che non mi sbagliavo.

Ti ho amato abbastanza da metterti a terra, lasciarti andare la mano, non rispondere alle tue suppliche... perché imparassi a stare in piedi da solo.

Ti ho amato abbastanza da accettarti per quello che sei, non per quello che avrei voluto che fossi.

Ma soprattutto ti ho amato abbastanza da continuare a dire <<No>> anche sapendo che mi avresti odiato. E' stata questa la decisione più difficile."

(Il brano dal titolo "Tu non mi vuoi bene" è tratto da: Erma Bombeck: "Se la Vita è un piatto di Ciliege, perché a me solo i Noccioli?", Edizioni Club del Libro su licenza della Longanesi & C., Milano, 1981, Edizione Longanesi: 1980, pgg. 210 - 212)
(Già pubblicato su altra piattaforma l'8 febbraio 2010)

domenica 22 maggio 2016

Lacrime nerazzurre

Vivessi cent'anni, so già che sempre ricorderò la data del 22 Maggio. Il destino, il fato o chi per lui, ha deciso che fosse per me una data significativa. Mi ha riservato dolori e gioie il 22 Maggio. 
La gioia, inenarrabile, avvolgente, totale è stata quella che la pazza Inter mi ha regalato, in diretta da Madrid, la sera del 22 Maggio 2010. 
Due giorni dopo, il 24 Maggio, su "La panchina in cima al monte" pubblicai "Lacrime nerazzurre".

"Le lacrime del Capitano, quelle del Chucu, dello Special One, del Principe, di coloro che sugli spalti piangevano di gioia per un'emozione attesa per decenni, un sogno che sembrava dover rimanere tale ed invece diventava realtà in una splendida serata di maggio.
Le mie lacrime di gioia per questa squadra che ho imparato ad amare in età adulta, seguendo il fratello che, lui sì, l'aveva scelta fin da bambino. A me l'Inter era piaciuta perché soffriva, perché ci provava e non vinceva, perché inseguiva un sogno. Mi piaceva pensare che quel sogno si sarebbe realizzato e che la sofferenza, tanta, si sarebbe trasformata in una felicità intensa, indescrivibile, fortissima.
Una felicità maturata dopo anni di sfottò, di delusioni e sconfitte cocenti, di lacrime di amarezza, il derby perso 6 a 0, il 5 maggio 2002, l'esclusione dalla Champions a favore del Milan senza aver mai perso, i "Non vincete mai!", i cori come "Interista chiacchierone bravo sotto l'ombrellone ... [... ] e come l'anno scorso e come l'anno prima [...]", "Interista diventi pazzo!" e quant'altro.
Eppure ci credevo davvero, lo sentivo nel profondo del cuore che sarebbe capitato. Perché ero convinta anch'io, con Jim Morrison, che "A volte il vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato".
Così, mentre continuo a piangere di gioia, penso che sia valsa la pena sopportare tanta sofferenza per provare, adesso, il dolce sapore del trionfo."

https://vimeo.com/11960846?ref=fb-share&1

sabato 21 maggio 2016

Complicazioni d'amore



"Forse passerà [...] una mattina, a salutare. Solo a salutare, niente di importante. Non servirebbe a niente comunque, perché lei lo sa benissimo, lo sa bene quanto lui che è l'amore, imperfetto e disordinato, a tenerli separati, proprio mentre in qualche modo li unisce [...]."

La citazione, tratta dal romanzo "Gente senza storia" di Judith Guest (Traduzione di Masolino d'Amico, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1977, pg. 277), si riferisce alle difficoltà relazionali tra  una madre e un figlio coinvolti in una tragedia familiare, ovvero la morte del figlio primogenito, amatissimo dalla madre e modello di riferimento per il fratello. Evidenzia la necessità, in alcuni casi, di rimanere lontani, anche se ci si vuole bene, perché restando vicini si soffrirebbe troppo.

E' una situazione che può riguardare non solo le relazioni tra madri e figli, ma tutte le tipologie di relazione, comprese quelle amicali.

L'amore verso gli altri non è sempre lineare, chiaro, perfetto. 

A volte è complicato, doloroso, difficile. Al punto da richiedere una separazione, per evitare di continuare a farsi del male.

mercoledì 11 maggio 2016

A scuola si fa

A scuola si legge, si discute, si impara.
Basta avere la voglia di farlo.
"Ovunque è stabilito che è riprovevole essere coinvolti in una relazione omosessuale (letteralmente: 'Soddisfare gli amanti, charizesthai herastais') ciò è dovuto a difetto dei legislatori, al dispotismo da parte dei governanti, a viltà da parte dei governati" (Simposio, 182 d)", citazione dell'articolo di U. Galimberti dal titolo "Se l'amore è messo all'indice", pubblicato su "La Repubblica" del 30 ottobre 2004 e riportato nel manuale scolastico di P. Cataldi, E. Angioloni, S. Panichi "La letteratura e i saperi - Dal secondo Ottocento a oggi - Vol. 3", Palumbo Editore, 2012, a pagina 621.

venerdì 19 febbraio 2016

Chiedi di più

Ci prendevano in giro perché anziché (o oltre che) ascoltare Bob Marley o Patti Smith ascoltavamo Renato Zero, Umberto Tozzi e i Pooh.
Ci guardavano scambiarci "Tregua", "Gloria", "Boomerang" e i loro sguardi non nascondevano la loro riprovazione, come se stessimo commettendo chissà quale misfatto. Ma per le orecchie nobilissime dei ragazzi del nostro gruppo "quelli lì" erano improponibili.
Così noi ci incontravano in separata sede, a casa dell'una o dell'altra, e lì ascoltavamo canzoni d'amore che ci facevano sognare, meditare, a volte piangere perché troppo forte era la sofferenza d'amore che provavamo o pensavamo di provare.

CHIEDI DI PIÙ

Renato Zero > Tratto dall'Album "Tregua" (1980)


Se un amore muore, 
Una ragione ci sarà. 
Forse il coraggio sta morendo! 
Poche parole 
Una valigia, una bugia, 
Ma solo chi rimane 
Sa il buio cosa sia…! 
Allarga le tue braccia, 
A chi ti cercherà… 
A chi ti tenderà le braccia! 
A chi è pronto a sconfiggere 
La noia la dov’è. 
A chi di questo amore… 
Ha fame come me! 
Non voltarti indietro mai, 
Sarò felice se ce la farai! 
Se vedrai che dopo me, 
C’è ancora vita, 
Una speranza c’è! 
Malgrado tutto resteremo noi… 
Coi nostri dubbi dissipati mai! 
…Solo noi, ancora noi! 
No! 
A chi vorrà stupirti… 
No! 
A chi non sa accarezzarti… 
No! 
Non basterà una promessa… 
No! 
Se poi la fine è la stessa… 
Chiedi di più, 
Chiedi molto di più, ora…! 
Chiedi di più, 
Di un incontro qualunque 
Di un triste su e giù! 
Chissà che faccia avrà 
Chi mi sostituirà? 
Come saranno le sue mani! 
Basta che sappia darsi come ho fatto io! 
Che non sia solo un gioco, 
Solo un mestiere il suo! 
No! 
A chi gli basta sognarti… 
No! 
A chi vorrà violentarti… 
No! 
Se quel tuo istinto non sbaglia… 
No! 
Se l’anima tua si sveglia… 
Chiedi di più 
No! 
Perché non sei una puttana… 
No! 
Perché io ogni notte sto in pena… 
No! 
Forse non ero il migliore… 
No! 
Ma ti ho insegnato l’amore…

giovedì 18 febbraio 2016

Addii

Arriva, inevitabilmente, il momento di dire addio.
A chi si ama, a chi si è amato e non si ama più, a chi si ama ancora ma occorre lasciare per non soffocare l'anelito di libertà che c'è in ognuno di noi, per non continuare a farsi male perché a volte, pur amandosi, non si riesce a stare vicini.
Un addio fa male ma a volte è necessario.
Per non continuare a soffrire, per tornare ad essere vivi, per tornare ad essere sé stessi.