domenica 20 gennaio 2019

Esame di Stato 2019

Le novità comunicate dal MIUR a proposito dell'Esame di Stato conclusivo del percorso della scuola secondaria di secondo grado non dovrebbero preoccupare coloro che, già dal 2012, sulla base delle Linee Guida emanate a seguito della Riforma del 2010, hanno cominciato a elaborare ed applicare una didattica delle competenze che privilegiasse un apprendimento attivo e agito da parte dello studente. In fondo, le indicazioni che il MIUR sta continuando a fornire ai docenti e agli studenti dall'inizio dell'anno scolastico in corso si attendevano già dallo scorso anno e sono in linea con quanto indicato negli anni precedenti rispetto a una modalità di insegnamento - apprendimento basato su UDA (Unità di Apprendimento) che coinvolgano discipline diverse, prevedendo attività di team working (lavoro di gruppo) e modalità di valutazione dell'apprendimento stesso che integrino la lezione frontale e la tradizionale interrogazione alla cattedra. Naturalmente, come tutti i cambiamenti, anche questo genera ansia in chi, tra qualche mese, dovrà affrontare l'Esame di Stato, non solo gli studenti (ed eventualmente le loro famiglie), ma anche i docenti.  
Tuttavia, proprio perché si tratta, per gli studenti, di un passaggio significativo verso le responsabilità della vita adulta e per i docenti e i dirigenti scolastici di accompagnare i più giovani in tale processo, può essere opportuno, piuttosto che opporsi aprioristicamente al cambiamento, accertarlo e mettersi nelle condizioni di affrontarlo consapevolmente, sfruttando al meglio le proprie potenzialità.

domenica 6 gennaio 2019

La strega e l'emarginazione della donna nella modernità: un laboratorio di storia locale.

Suor Maria Valenza Marchionne, nata in una famiglia di contadini a Sezze Romano nel 1630, cresciuta in un contesto di religiosità popolare fortemente caratterizzata dal francescanesimo, divenuta badessa del monastero delle Clarisse di Santa Chiara di Sezze intorno al 1670, venne condannata nel 1703 dal Tribunale dell’Inquisizione romana a dieci anni di carcere per quietismo depravato.

Le accuse che avevano portato al processo erano turpi e infamanti: suor Maria era accusata di vanagloria e di pretesa di santità paravento di lussuria, falsità e di sete di potere.

La ricostruzione della biografia della protagonista, effettuata strategicamente dai contemporanei, tesa a screditare la donna francescana che aveva osato diventare, da umile popolana, badessa del convento del suo luogo di origine, si inserisce all’interno delle lotte religiose e di potere, caratteristiche del XVII secolo, che coinvolsero numerose vittime innocenti, in particolare donne, accusate o di quietismo depravato o di stregoneria.

Dopo il Concilio di Trento (1545 – 1563) la Chiesa fu animata da un profondo spirito di rinnovamento e, per altro verso, caratterizzata da una sistematica repressione del dissenso. Queste due istanze si espressero l’una attraverso un profondo anelito spirituale che investì la vita quotidiana, l’altra mediante una persecuzione metodica e organizzata della stregoneria.

A livello popolare, l’anelito spirituale si tradusse spesso nell’interesse spasmodico per il miracolo e il soprannaturale in genere.

La Chiesa della Controriforma seppe gestire abilmente questi bisogni popolari e alimentò la fede nei miracoli.

L’anelito più profondo e sincero alla santità fu espresso soprattutto da figure come Teresa d’Avila, monaca carmelitana e scrittrice instancabile. Nei suoi scritti ella affrontò il tema del rapimento, dell’estasi derivante dall’unione amorosa col Cristo, ma anche il senso di angoscia e disagio che la diversità della santità mistica comporta.

La necessità, da parte della Chiesa, di disciplinare l’anima e di evitarle di perdersi del nulla, comportava il controllo esercitato mediante i “tribunali della coscienza” cui erano sottoposti tutti coloro accusati di essersi allontanati dalle indicazioni dei trattati di spiritualità ufficialmente riconosciuti. Costoro, per lo più donne, venivano accusati di quietismo. Attraverso il racconto delle vicende “nefande” di cui si erano resi protagonisti, diffuso all’interno della comunità locale particolarmente sensibile a riconoscersi unita coalizzandosi contro l’altro, il diverso, costoro diventavano il capro espiatorio su cui riversare le proprie paure, i propri incubi, i propri sensi di colpa, i propri peccati.

 Lo stesso accadde a coloro, nella maggior parte donne, che vennero accusati di stregoneria.

Il Tribunale dell’Inquisizione di Milano, ad esempio, nel periodo che va dal giugno 1603 al giugno 1611, condannò al rogo Vetra Isabella Arienti, detta la Fabene, Gabbana la Montina, Vetra Doralice de’ Volpi e Vetra Antonia de’ Santini.

 I primi provvedimenti contro le streghe si collocano all’interno del più ampio fenomeno volto alla repressione delle eresie e risalgono alla prima metà del XII secolo.

La caccia alle streghe continuò a svilupparsi durante tutto il Medioevo, ma raggiunse proporzioni notevoli tra il XVI e il XVII secolo, nel clima di intransigenza religiosa, diffuso non solo sul fronte cattolico ma anche nei Paesi  protestanti, a seguito della Riforma protestante, della Riforma e della Controriforma cattolica, per poi esaurirsi nel corso del XVIII secolo.

Una vera e propria organizzazione della persecuzione della stregoneria e di ogni “diversità” religiosa e non, trovò il suo riferimento teorico dapprima nella bolla papale Summis desiderantes, che convalidava la credenza nelle streghe e nel potere stregonesco, e successivamente nel Malleus maleficarum.

Secondo il Malleus Maleficarum, scritto nel 1486 da Heinrich Kramer e Jacob Sprenger, due inquisitori tedeschi domenicani particolarmente attivi nella valle del Reno,  “una donna malvagia è per sua natura più pronta a ripudiare la fede, il che è la radice della stregoneria”.

E’ emblematico il fatto che l’oggetto della persecuzione fosse perlopiù la donna, definita o infida e perversa per natura, oppure fragile creatura in balia delle arti del demonio.


La strega del XVII secolo era prevalentemente una povera vecchia, spesso senza marito, dal comportamento antisociale, antifemminile, immorale, e religiosamente arretrata. Sfidando insieme le convenzioni della sua religione e del suo sesso, riusciva a offendere e spaventare i suoi superiori e chi le stava vicino. La decisione di perseguitarla e giustiziarla può essere interpretata semplicemente come un tentativo di liberare le comunità locali da figure sentite come inquietanti e pericolose. Con l’uccisione delle streghe gli abitanti del villaggio riuscivano anche a vendicarsi dei malefici che avevano colpito loro e i loro cari, confermando nel contempo che la fonte delle loro disgrazie era stata effettivamente la stregoneria.


Il bisogno d’ordine è ovviamente una costante della natura umana, e ogni epoca si è indubbiamente impegnata per soddisfarlo. Ma nel XVII secolo esso era oggetto di particolare preoccupazione, soprattutto a causa della diffusa consapevolezza che l’antico ordine fosse crollato.


All’interno della sua comunità la strega rappresentava una continua provocazione all’ideale della società ben ordinata. Innanzitutto, era generalmente al di fuori del sistema di controllo patriarcale, e perciò costituiva una sfida a quanto veniva considerato una gerarchia naturale. Era l’antitesi dell’ideale della moglie perfetta, punto centrale della maggior parte delle concezioni di una società ben organizzata. Nei rapporti con i suoi superiori si dimostrava insolente e arrogante.


Non deve quindi meravigliare che spesso ci si riferisse a questa donna come a una ribelle. Naturalmente non corrispondeva affatto allo stereotipo del ribelle. Vecchia, e talvolta decrepita, sarebbe stata la persona meno adatta a organizzare un assalto concreto contro l’ordine costituito.

Gran parte di questi discorsi sulla ribellione erano puramente retorici e rispecchiavano le paure e le insicurezze di una posizione maschile minacciata più che i timori per le attività della strega stessa.

Le streghe furono i classici capri espiatori, vittime delle nevrosi dell’élite dominante e della miseria delle classi popolari.


Come sovversiva e come capro espiatorio, la strega ha continuato ad esistere, molto dopo la fine della caccia alle streghe e quando nessuno più credeva in loro. Molte volte nella storia moderna, quando l’animo umano è stato preda di profondo timore, le autorità hanno identificato all’interno di gruppi devianti o marginali l’origine dei loro problemi: li hanno accusati di crimini non commessi; hanno attribuito loro l’ambizione di distruggere l’ordine morale e politico; e hanno fatto tutto quanto era in loro potere per annientarli. L’ebreo nella Germania nazista o il comunista in America dopo la seconda guerra mondiale, hanno assunto il ruolo, e in molti casi condiviso la sorte, della strega del XVII secolo.


Ma la strega non è stata semplicemente solo capro espiatorio e vittima.

Essa incarnò talvolta quello “spirito di rivolta” che la portò a unirsi alla protesta contro la politica delle élites al potere e contro la prassi in uso nei tribunali del XVII secolo.

In qualche caso, sorretta dalla volontà di affermare la propria innocenza, sopportò coraggiosamente le atroci torture cui venne sottoposta e riuscì a sopravvivere. Nella grande maggioranza dei casi fu giustiziata o bandita.



La sua morte o l’esilio rappresentano una tragedia orribile, l’esito di uno dei più grandi errori giudiziari nella storia dell’Occidente. Ripensando alla sua sfida contro le autorità che la perseguivano, agli sforzi per sopportare le torture che le venivano inflitte, all’insistenza con cui negava ogni sua colpa, non si può non provare per lei ammirazione e allo stesso tempo pietà.

(SVOLGIMENTO ELABORATO PIATTAFORMA ON-LINE PER DOCENTI NEO-IMMESSI IN RUOLO - A.S. 2005/2006)

domenica 9 dicembre 2018

Noi e il '68

In principio era il sogno di una quasi sessantenne, insegnante, che fin da bambina ha imparato a sognare e a credere nella forza dei suoi sogni. 
Poi,  dopo averlo condiviso con studenti, colleghi, con il Dirigente Scolastico del suo Istituto, quel sogno è diventato un progetto da realizzare consentendo di sviluppare abilità e competenze trattando un argomento, il Sessantotto, che, compreso nei manuali di storia, spesso non viene nemmeno affrontato.
Ricorrendo anche a una delle tecniche (I laboratori di ricerca) della "Didattica delle emozioni" (il format elaborato da Ulisse Mariani e Rosanna Schiralli), il progetto si propone, attraverso l’organizzazione di un evento da presentare anche all'esterno dell’Istituto, coinvolgendo il territorio, di offrire la possibilità di ripensare e riflettere su un anno, il 1968, che ha cambiato la politica, il costume, la cultura, i comportamenti delle persone: praticamente tutto. 
L'evento "Noi e il '68" è un viaggio virtuale da vivere da chi c'era e, soprattutto, da chi non c'era,  nel tentativo di restituire alle giovani generazioni la bellezza della passione, dell'immaginazione e del sogno.





giovedì 6 dicembre 2018

Il coraggio di cambiare

Di fronte alla prospettiva di dover cambiare, spesso capita di irrigidirsi. La resistenza al cambiamento, in fondo, altro non è che la paura del nuovo, dell'ignoto che la novità porta con sé, il timore di non essere in grado di affrontare nuove scelte di vita, nuove sfide, nuove condizioni, nuove situazioni.
Investe vari campi, la resistenza al cambiamento: cambiare città, casa, amori, indirizzo di studi, locali frequentati, luoghi di vacanza, metodi di studio. 
O di insegnamento. Di fronte a una proposta didattica innovativa, capita spesso di trovarsi di fronte colleghi, genitori, studenti che si irrigidiscono, temono che non possa funzionare, che andrà necessariamente male. E non importa se il metodo di insegnamento utilizzato fino ad allora sia poco efficace: quel metodo è comunque garantito dall'esperienza, dall'esser stato sempre usato.
Eppure sarebbe interessante mettere a confronto tecniche didattiche differenti, introducendo modalità di insegnamento/apprendimento che stimolino la curiosità, l'interesse, la partecipazione, all'interno di una scuola che in certe occasioni appare sempre uguale a sé stessa, poco stimolate, noiosa, piatta, arida. 
Ben vengano allora docenti innovatori che riescano, salvaguardando la qualità della loro azione didattica, a proporre progetti coinvolgenti e interessanti che richiedono indubbiamente il coraggio di cambiare ma possono indurre quella riforma della scuola che, per quanto più volte evocata, non può essere imposta dall'alto ma solo partire dal basso grazie alla condivisione e all'operatività di chi crede davvero nell'istituzione scolastica.

domenica 25 novembre 2018

C'è ancora tanto da fare

Non sono solo le minacce, le urla, i pedinamenti, le botte, gli assassini. Le donne sono vittime di violenza ogni volta che sentono il peso di una cultura soffocante che le costringe a tacere, a mediare, ad accettare sopportando, quotidianamente, di essere quello che non sono.
Sono vittime di violenza quando nascondono i propri sentimenti più veri in nome di un modello femminile che le vuole pazienti, dolci, delicate, altruiste, pronte a sacrificare sempre sé stesse  e i propri desideri per favorire quelli dei figli, dei partner, dei genitori e di chiunque altro si aspetta da loro che sì, lo faranno, perché è sempre stato così.
Sono vittime di violenza quando si sentono schiacciare dal senso di colpa ogni volta che si concedono una serata con le amiche o un paio d'ore di libertà per pensare solo ed esclusivamente a sé stesse, financo quando, per motivi di lavoro, devono trattenersi più a lungo in ufficio mentre a nessun uomo salterebbe in mente di sentirsi in colpa per una partita a calcetto con gli amici o per essersi trattenuto in ufficio più a lungo per motivi di lavoro.
Dietro il femminicidio c'è il retaggio di una cultura dura a morire, di una cultura che non accetta che le donne siano considerate persone che possono dire NO, ribellarsi, andarsene, cambiare idea e che, soprattutto, pensino innanzi tutto a sé stesse, a volersi bene, ad essere egoiste, di quel sano egoismo cui ciascun individuo ha diritto.
Ecco perché non basta un segno rosso sul viso in segno di solidarietà ed attenzione. Ecco perché non bastano cortei, manifestazioni e giornate dedicate.
Ecco perché c'è ancora tanto da fare.

domenica 11 novembre 2018

Sogni cancellati



Ci sono state alcune generazioni di giovani, quelli del '68 o degli anni successivi, che chiedevano per sé "l'impossibile", che difendevano "l'immaginazione al potere", che rovesciarono un sistema in nome di una libertà che esigevano per sé stessi, attaccando tutti i modelli sociali e familiari tradizionali.

In nome di quella libertà, molti, come l'aria, andavano, venivano, amavano, odiavano, mettevano al mondo figli di cui ugualmente rispettavano la libertà, tentando di evitare che provassero frustrazioni, dispiaceri e brutture della vita quotidiana.
Quei figli, cresciuti come Narciso, secondo la definizione di Gustavo Pietropolli Charmet (in "Fragile e spavaldo - Ritratto dell'adolescente di oggi", Editori Laterza, Roma - Bari, 2008) si ritrovavano poi adolescenti, ovvero in un'età per definizione critica e complessa, sprovveduti e dunque fragili in una realtà che non si sentivano, e non si sentono, in grado di affrontare, spaventati e impauriti, dato che nessuno aveva fornito loro gli strumenti adeguati per affrontarla.
Così, i docenti di Lettere delle scuole superiori, se una ventina di anni fa, assegnando come prova di produzione testuale un racconto d'invenzione, si ritrovavano a leggere storie simpatiche, piene di curiosità e di gusto per la vita, con solo qualche eccezione in cui la vicenda narrata si concludeva drammaticamente, attualmente, assegnando lo stesso tipo di prova, si ritrovano a leggere nella stragrande maggioranza dei casi, storie con un finale tragico in cui il/la protagonista, solitamente in età adolescenziale, soccombe suicidandosi, vittima di bullismo e cyberbullismo.

Quasi ci si trova a pensare che molti di quei giovani che volevano l'impossibile e che sognavano per  sé un futuro radioso, quello stesso futuro  lo hanno rubato ai loro figli, cancellando sogni, curiosità e fiducia nell'avvenire.

mercoledì 31 ottobre 2018

Il vizio della memoria - "Io so"

"Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
[...]
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. [...]
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
[...]
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
(Tratto da "Corriere della Sera", 14 novembre 1974 -
"Cos'è questo golpe? Io so"
di Pier Paolo Pasolini)


lunedì 29 ottobre 2018

Obiettori di coscienza e piccole storie ignobili

A chi si ostina a tuonare contro la 194, sarebbe opportuno ricordare che l'aborto è sempre esistito. La 194 del 1978 è stata solo (e finalmente, nonostante le sue imperfezioni) la legge che lo ha regolamentato, nel tentativo di evitare che le donne delle classi più povere o le minorenni morissero di setticemia sotto i ferri da calza delle mammane. Noi che c'eravamo ce lo ricordiamo e vorremmo che tutti ricordassero che tanti obiettori di coscienza erano in precedenza proprio coloro che, clandestinamente e compensati con ricche parcelle, praticavano gli aborti clandestini.
Quegli stessi aborti clandestini evocati da Francesco Guccini nel 1976 con "Piccola storia ignobile".



"E così ti sei trovata come a un tavolo di marmo desiderando quasi di morire,
presa come un animale macellato stavi urlando, ma quasi l'urlo non sapeva uscire
e così ti sei trovata fra paure e fra rimorsi davvero sola fra le mani altrui,
che pensavi nel sentire nella carne tua quei morsi
di tuo padre, di tua madre e anche di lui,
di tuo padre, di tua madre e anche di lui,
di tuo padre, di tua madre e anche di lui.

Ma che piccola storia ignobile sei venuta a raccontarmi, non vedo proprio cosa posso fare.
Dirti qualche frase usata per provare a consolarti o dirti: "è fatta ormai, non ci pensare".
E' una cosa che non serve a una canzone di successo e non vale due colonne su un giornale,
se tu te la sei voluta cosa vuoi mai farci adesso
e i politici han ben altro a cui pensare
e i politici han ben altro a cui pensare
e i politici han ben altro a cui pensare..."

sabato 27 ottobre 2018

"Libertà è partecipazione"

"La libertà non è star sopra un albero [...] libertà è partecipazione" cantava Giorgio Gaber nei primi anni Settanta.
Cosa significa "libertà è partecipazione"? Significa "essere nel gioco della vita", significa "mettersi in gioco" (citando testualmente le parole di due adolescenti cui è stato chiesto di spiegare il significato della frase).
Ma quanti, davvero, hanno voglia di farlo? Quanti hanno voglia di prendersi le responsabilità che il quotidiano vivere richiede, non solo tra i più giovani, ma anche, e soprattutto, tra gli adulti? 
E' tanto facile lasciarsi guidare, delegare, per poi attribuire le colpe di ciò che va male agli altri, alla società, questo insieme di individui non meglio identificati in cui ci si rifugia, come nel branco.
Ma la società è fatta da ognuno di noi. E se ciascuno di noi, come sostengono i due adolescenti precedentemente citati, si prendesse la responsabilità di mettersi in gioco, di essere nel gioco della vita, senza nascondersi dietro le scelte altrui, forse la società sarebbe migliore.

"Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come un uomo che ha bisogno
Di spaziare con la propria fantasia
E che trova questo spazio
Solamente nella sua democrazia.
Che ha il diritto di votare
E che passa la sua vita a delegare
E nel farsi comandare
Ha trovato la sua nuova libertà."
(Giorgio Gaber: "La libertà")