sabato 6 febbraio 2016

Folle passione

Non è follia la mia, sostiene l'amica del cuore, ma passione.
Passione ed amore per la vita, curiosità, interesse ed attenzione, desiderio. E' il bisogno di essere nelle cose e di non farsi travolgere dalle stesse. E' la voglia di vivere che sempre, anche nei momenti più oscuri, che pur necessariamente si attraversano, non manca mai e trova sempre un appiglio cui aggrapparsi, per ritrovarsi poi ad assaporare la bellezza e la gioia di essere, di esserci.

(Già pubblicato su altra piattaforma il 29 settembre 2011)

mercoledì 3 febbraio 2016

Uteri in affitto

Un tempo, quando le tecnologie non erano così sviluppate, le coppie che desideravano un figlio ma non riuscivano ad averne ricorrevano a una modalità che si potrebbe definire "utero in affitto" ante litteram, per quanto, più che di utero in affitto sarebbe più opportuno parlare di "coppia fecondante al servizio di coppia sterile".
La pratica, abbastanza diffusa anche se non sempre esplicitamente ammessa, consisteva nel generare, gratuitamente, s'intende, un figlio destinato a una coppia sterile che sarebbe diventata la coppia genitoriale del feto appositamente messo in cantiere. Solitamente uno dei membri della coppia sterile era un fratello o una sorella della coppia fertile, tanto fertile da potersi permettere una ricca prole da destinare poi ai meno fortunati.

Famiglia e società civile

La famiglia la si sostiene insegnando ad amarsi reciprocamente incondizionatamente, accettando, ciascuno dei componenti e comunque sia composta, di rispettare l'altro amandolo per come è e non per come si vorrebbe che fosse, accettando le sue scelte e il suo modo di essere sé stesso.
Il rispetto reciproco lo si impara in famiglia. Solo così potrà poi esistere all'interno delle altre strutture sociali e nella società stessa. Il resto sono solo parole, proclami, ideologie. Così credo che debba essere una famiglia. Così credo debba essere una società che si definisce civile.

A proposito di famiglia...

La famiglia si difende non con manifestazioni di piazza ma con politiche sociali assennate che prevedano asili nido e scuole materne pubbliche, che non richiedano rette improponibili.
La famiglia si sostiene con congedi di maternità e paternità, con asili presso le aziende e i posti di lavoro, con un'organizzazione sociale che non faccia della maternità e della paternità un'impresa riservata solo ai più audaci. Il resto sono solo parole (rivolgersi a Germania, Danimarca, Svezia, per esempio, per trarre ispirazione per una politica familiare accettabile).

giovedì 21 gennaio 2016

"Chissà se mi ritroverai"

Suonavano le note di questa canzone mentre la loro storia, iniziata poco meno di due mesi prima, finiva. Sembrava una storia importante così come appaiono, nell'entusiasmo dell'innamoramento adolescenziale, tutte le storie. O, almeno, lei credeva che fosse una storia importante.

Invece erano troppo diversi: per lei l'impegno veniva prima di ogni cosa. L'impegno verso ogni sua attività: prendeva tutto sul serio. Lui invece era più leggero, meno integralista, più possibilista. Continuarono a restare amici, tuttavia, per qualche tempo. Lui l'accompagnò, il pomeriggio del 31 dicembre di qualche anno dopo, in riva al mare, a distruggere, con un falò, i  tre diari-agenda su cui lei si era raccontata la sua vita degli ultimi tre anni. Un gesto simbolico per voltare pagina.

Del resto, anche lui continuava a raccomandarle di volersi più bene ed essere ancora più esigente con gli altri, piuttosto che con se stessa, di quanto già non lo fosse.

Dopo quella volta si videro solo sporadicamente e poi si persero di vista.





“Chissà se mi ritroverai” Gianni Togni (1980)


Amore com’era facile da dire
amore da solo non sapevo mai che fare
quando ogni giorno
aveva il tuo nome

Amore cercare sempre di cambiare insieme
amore chiedersi tutto senza aver pudore
ci siamo persi tra la gente
di te non so più niente

Chissà se mi ritroverai
ed io saprò farti capire
cosa sei stata amore
in qualche piccola stazione
in qualche posto senza cuore
con l’aria di chi sta lì per errore
chissà se mi troverai

Amore era la cosa più normale
amore e mi domando adesso che rimane
di quelle notti
delle nostre parole

Amore la realtà non mi fa più paura
amore nella mia testa non c’è confusione
niente da perdonare
né da dimenticare

Chissà se mi ritroverai
così per caso sulla strada
che strana questa vita
in una sera come tante
in un’estate già finita
di me allora che penserai
chissà se mi ritroverai

Chissà se mi ritroverai
se parleremo un po’ di noi
come buoni amici
in qualche piccola città
nascosti dentro qualche bar
con le tue incertezze con la mia età
chissà se mi ritroverai

(Già pubblicato su altra piattaforma l'11 maggio 2010)

mercoledì 20 gennaio 2016

Selezione dei docenti

Sono assolutamente contraria al concorso pubblico per l'abilitazione dei docenti: ritengo che la formazione e l'abilitazione dei docenti debbano passare attraverso un tirocinio in classe obbligatorio, in compresenza con un tutor formatore, cui far seguire gli esami finali (scritto e orale). Ritengo altresì che prima di questa procedura nessuno debba entrare in una classe come supplente: l'esperienza professionale (e/o l'abilitazione) non deve essere costruita sulla pelle degli studenti.

sabato 16 gennaio 2016

Credere

CREDO: IL MONOLOGO DI FRECCIA
(TRATTO DAL FILM “RADIOFRECCIA” DI LUCIANO LIGABUE – 1999)


“Oggi ho avuto una discussione con un amico. Lui è uno di quelli bravi. Bravi a credere a quello in cui gli dicono di credere. Lui dice che se uno non crede in certe cose non crede in niente. Be’, non è vero. Anch’io credo. Credo nelle rovesciate di Bonimba, e nei riff di Keith Richards. Credo al doppio suono di campanello del padrone di casa, che vuole l'affitto ogni primo del mese… Credo che ognuno di noi si meriterebbe un padre e una madre che siano decenti con lui almeno finché non si sta in piedi. Credo che un'Inter come quella di Corso, Mazzola e Suarez non ci sarà mai più, ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa.

Credo che non sia tutto qua, però prima di credere in qualcos'altro bisogna fare i conti con quello che c'è qua.
E allora mi sa che crederò prima o poi in qualche Dio. Credo che, se mai avrò una famiglia, sarà dura tirare avanti con trecento mila al mese, però credo anche che se non leccherò culi come fa il mio caporeparto,  difficilmente cambieranno le cose.

Credo che c'ho un buco grosso dentro, ma credo che il rock and roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro, le stronzate con gli amici… ogni tanto questo buco me lo riempiono. Credo che la voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso… e credo che da te stesso non ci scappi nemmeno se sei Eddie Merckx. Credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perché comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri.


Credo che per credere, certi momenti, ti serva molta energia.”


(Antonio Leotti - Luciano Ligabue: “Radiofreccia – La sceneggiatura, le foto, e altro ancora”, Fandango Libri, Roma, 1999, pgg. 57-58)




Luciano Ligabue                          (Tratto da Radiofreccia –  colonna sonora originale - 1998)


 HO PERSO LE PAROLE

HO PERSO LE PAROLE                                             
EPPURE CE LE AVEVO QUA UN ATTIMO FA                    
DOVEVO DIRE COSE                                          
COSE CHE SAI                                                    
CHE TI DOVEVO                                                   
CHE TI DOVREI
HO PERSO LE PAROLE
PUÒ DARSI CHE ABBIA PERSO SOLO LE MIE BUGIE
SI SON NASCOSTE BENE
FORSE PERÒ
SEMPLICEMENTE
NON ERAN MIE

CREDI
CREDICI UN PO’
METTI INSIEME UN CUORE E PROVA A SENTIRE E DOPO
CREDI
CREDICI UN PO’ DI PIÙ DI PIÙ
DAVVERO
SEI BELLA CHE FAI MALE
SEI BELLA CHE SI BALLA SOLO COME VUOI TU
NON SERVONO PAROLE
SO CHE LO SAI
LE MIE PAROLE NON SERVON PIÙ
MA HO PERSO LE PAROLE
E VORREI CHE TI BASTASSE SOLO QUELLO CHE HO
IO MI FARÒ CAPIRE
ANCHE DA TE
SE ASCOLTI BENE SE ASCOLTI UN PO’

CREDI
CREDICI UN PO’ SEI SU RADIOFRECCIA GUARDATI IN FACCIA E DOPO
CREDI
CREDICI UN PO’ DI PIÙ DI PIÙ
DAVVERO
HO PERSO LE PAROLE
OPPURE SONO LORO CHE PERDONO ME
IO SO CHE DOVREI DIRE
COSE CHE SAI
CHE TI DOVEVO, CHE TI DOVREI
MA HO PERSO LE PAROLE
CHE BELLO SE BASTASSE SOLO QUELLO CHE HO
MI POSSO FAR CAPIRE ANCHE DA TE SE ASCOLTI BENE SE ASCOLTI UN PO’

CREDI CREDICI UN PO’ METTI INSIEME UN CUORE E PROVA A SENTIRE E DOPO

CREDI CREDICI UN PO’ DI PIÙ DI PIÙ
DI PIÙ DAVVERO

CREDI CREDICI UN PO’ SEI SU RADIO FRECCIA GUARDATI IN FACCIA E DOPO CREDI


 https://www.youtube.com/watch?v=pLXBoRkPM7E

venerdì 15 gennaio 2016

"Libertà è partecipazione"

Indubbiamente è importante partecipare, manifestando magari anche in piazza per far valere ciò in cui si crede.
La vera rivoluzione, tuttavia, la si fa agendo quotidianamente secondo gli stessi principi per cui si è manifestato. 
E' la quotidianità individuale che legittima le scelte di ciascuno e dell'intero sistema di cui si fa parte.
Solo così si può affermare di aver davvero partecipato.
E di essere davvero liberi. Coerentemente liberi.

mercoledì 13 gennaio 2016

A scuola di felicità

Si può imparare la felicità? C'è chi sostiene che sì, che attraverso il Coaching ci si possa allenare alla felicità.
L'idea è quella di individuare proprio attraverso la tecnica del  Coaching il talento o i talenti di cui ciascuno di noi è naturalmente dotato. Successivamente il proprio talento dovrà essere sfruttato per poter arrivare a fare ciò che davvero ci piace.
Se è vero, infatti, che siamo felici quando facciamo ciò che ci piace, il segreto della felicità dovrebbe essere nella costruzione di una vita di relazioni in cui ciascuno possa esprimere sé stesso.
Occorrerà naturalmente essere in grado di fare i conti con il proprio passato e ciò potrà essere tanto più complicato quanto più avremo impostato false relazioni con chi ci circonda.
Nei rapporti umani il rischio è infatti quello di voler compiacere coloro cui si vuole bene (i genitori, gli amici, il partner, etc.) scegliendo non ciò che si desidera davvero per sè stessi ma ciò che altri giudicano più adatto a noi.
La costruzione  della propria vita è difficile e complicata ma occorre far sì che tale difficoltà non impedisca di guardarsi dentro a fondo per poter poi determinare le proprie scelte individuando gli obiettivi del proprio benessere in ciò che noi stessi potremmo realizzare. 
Ciò significa innanzi tutto imparare a star bene con sé stessi e non affidare la propria felicità a qualcosa/qualcuno esterno da noi. 
Gli altri potranno certamente arricchire la nostra vita ma se non saremmo noi stessi gli unici da cui dipendere per realizzare i nostri sogni non potremo mai essere felici.

Le ragioni del cuore

"Se ne farà una ragione", gli aveva risposto, quando lui le aveva parlato di Marco, della sua sofferenza, della sua difficoltà ad accettare la loro separazione.
Marco era un suo collega e il suo migliore amico, gli dispiaceva non riuscire a far nulla per lui. E forse proprio per questo, quando l'aveva incontrata, le aveva parlato di lui.
Ora, di fronte a quella risposta, di fronte a quel "Se ne farà una ragione", era ammutolito e imbarazzato.
Ricordava di averli visti felici insieme, una coppia solida e complice che suscitava l'ammirazione (e a volte anche un po' di invidia) degli altri. E poi...
E poi tutto era finito. Senza nessun segnale. Improvvisamente. Come un uragano che aveva travolto la vita di coppia di Marco che, gli aveva raccontato, era convinto che lei fosse la donna della sua vita e con lei sarebbe rimasto per sempre. Gli aveva parlato di lei, dopo averla incontrata, proprio in questi termini: lei era la sua donna ideale, era una storia definitiva.
Ma in amore non esistono le definizioni. L'amore non si definisce. Ha bisogno di cure, quotidiane, costanti, continue. Altrimenti, come una pianta trascurata, muore.
Marco non aveva capito che quell'amore che credeva eterno si stava consumando nella noia quotidiana, nella certezza di una definizione. Aveva dato per scontato quell'amore.
Lei c'era, era lì per sempre. E, certo di questo, non aveva colto i segnali che lei, da un certo momento in poi, aveva cominciato a mandargli.
Usciva sempre più spesso, con un'amica. Con le amiche. Da sola. Comunque senza di lui.
A pensarci bene, a differenza del passato, non sembravano nemmeno più tanto solidi e complici.
Di quel periodo ricordava di averla incontrata qualche volta per caso. Da sola. O con qualche amica. Ricordava anche che, in un paio di quelle occasioni, lei si era lamentata dell'eccessivo carico di lavoro di Marco. "E' a casa, sta lavorando." oppure "Sai, lo vedi più tu di quanto non lo veda io."
Non aveva considerato quelle risposte fino a quando, una mattina di settembre, Marco era arrivato in ufficio in ritardo, scompigliato, trasandato, stravolto. "Mi ha lasciato." Gli aveva detto.
Erano passati cinque anni da allora. Quella coppia non esisteva più, almeno per l'anagrafe.
Tuttavia, nonostante fosse passato un po' di tempo, Marco non riusciva a farsene una ragione.
E come avrebbe potuto? Lui la amava. Di un amore definitivo. Che, una volta conquistato, non ha bisogno di cure. Lei c'era e ci sarebbe stata per sempre. Così aveva pensato lui, il giorno del loro matrimonio.
Tale era la sua convinzione. E questo, forse, gli aveva impedito di vedere negli occhi di lei un'ombra, quell'ombra che, a poco a poco, era diventato grigiore e noia.
Quella stessa convinzione gli aveva impedito di ascoltare i pianti notturni di lei, pianti soffocati per non farsi sentire da lui che, sereno come un angioletto, dormiva al suo fianco.
Era stato difficile per lei prendere atto di quanto stava accadendo. Ma i segnali c'erano. Tutti.
Non riusciva più a vedere negli occhi di Marco quelli del ragazzo che l'aveva incantata al primo sguardo, che l'aveva conquistata con la sua intelligenza e la sua creatività, che l'aveva fatta piangere di gioia e di timore che altre lo seducessero e glielo portassero via, che l'aveva avvolta magicamente e le aveva fatto credere di essere la più fortunata e la più felice di tutte le donne.
Lui la amava ancora. Era quello il suo modo di amare.  Ma lei non lo amava più. Aveva cercato di parlargliene ma lui non era stato capace di ascoltarla.
E quando, dopo aver meditato a lungo, aveva preso la sua decisione, una decisione irrevocabile, gliela aveva comunicata.
Era andata via.
"Se ne farà una ragione", aveva pensato.
Trascurando che, come aveva imparato leggendo "I pensieri" di Pascal, "il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce".
(Vecchio post già pubblicato sul blog "La panchina in cima al monte")