martedì 5 aprile 2016

Non siete credibili!

Lo continuo a sentire, benché ormai non me lo dicano più da qualche anno.
"Non siete credibili!" continuavano a ripetere gli studenti della quinta decimata anche agli Esami di Stato.
Lo ripetevano, in particolare, il capo-coro, interista e fan di Materazzi, e il suo amico dal quaderno perfetto.
Sostenevano che noi adulti, docenti in particolare, continuassimo a minacciarli di punizioni che mai avrebbero ricevuto.
"Non lo vede, profe? Noi non abbiamo mai studiato, abbiamo sempre fatto ciò che ci pareva eppure siamo qui, in quinta. In cambio non abbiamo imparato nulla ma a noi, e anche a voi, ci sembra, non importa niente."
E continuavano elencando i disservizi di cui erano stati vittime all'interno del sistema scolastico, evidenziando con ferocia tutte le lacune degli insegnanti, o presunti tali, che avevano incontrato nel corso della loro carriera (chiamiamola così) scolastica.
Non riuscivano a spiegarsi perché mi disperassi al posto loro. "Andrà tutto bene, come è sempre stato. Questa scuola qui fa schifo, profe!".
Si sbagliavano, naturalmente. Ed a un certo punto il Consiglio di Classe decise di fare sul serio. Si unirono alla punizione anche i colleghi che con loro erano stati amiconi fino a quel momento.
Pagarono soprattutto i più fragili. Non che non se lo fossero meritato, per carità.
Sicuramente però, i 52 studenti che si erano iscritti in prima, ripartiti in due diverse classi, avevano altre aspettative: non pensavano certo che, cinque anni dopo, solo 10 di loro avrebbero superato l'Esame di Stato.
Con loro la scuola aveva fallito, mettendo in discussione la propria credibilità.

(Già pubblicato su altra piattaforma il 15 ottobre 2010)

sabato 2 aprile 2016

Il principe dorme qui

Era scritto proprio così su una mattonella decorativa di ceramica esposta nella vetrina di un negozio di souvenir di una località umbra: "Il principe dorme qui". Il tutto arricchito dall'immagine di un bambino immerso nel sonno. Destinata, presumo, la mattonella in questione, ad essere appesa all'esterno della porta della camera del "principe".
Povero principe, adorato, coccolato, ossequiato come una divinità, ancora prima di emettere il suo primo vagito. E, crescendo, ancora più coccolato e accusato, lui che mai ha imposto ad altri di essere in tal modo trattato, di tirannia. 
"In casa ormai comanda lui." affermano, quasi con orgoglio, quella madre, quel padre, quei nonni che al solo pensiero di doverlo accogliere nella loro casa, si sono resi schiavi del pargolo altrimenti detto "principe".
Così crescendo, il pargolo si è convinto che tutto gli sia dovuto. E, abituato ad avere tutto, egocentrico già di natura, non ha fatto altro che soddisfare il suo egocentrismo ritenendo che il mondo fosse ai suoi piedi. In fondo, gli adulti, con il loro comportamento, non hanno fatto altro che confermargli che sì, tutto gli era davvero dovuto.
A che serve dunque, cari genitori, lamentarsi ora che il frugoletto non è più tale ma è rimasto un vero tiranno? Chi gli ha insegnato che era un principe?

lunedì 28 marzo 2016

Donne e gonne

"Con lo scoppio della prima guerra mondiale, che ebbe tra le sue conseguenze la presenza sempre maggiore delle donne nel mondo del lavoro, gli abiti arrivarono al polpaccio, le linee divennero meno sinuose e più geometriche, appena addolcite dalla cosiddetta <<crinolina di guerra>>, una sottogonna di tulle.
Si può dire che il progressivo accorciarsi delle gonne coincise con altrettante tappe dell'emancipazione femminile.
La moda non è, insomma, qualcosa di frivolo o superficiale. La moda rispecchia e testimonia un'epoca, una società, una cultura. Le necessità economiche e le sovrimposizioni morali; la condizione dell'essere umano nel corso del tempo.
O, con le parole di Roland Barthes nel suo <<Il sistema della moda>>: <<Ogni nuova moda è rifiuto di ereditare, è sovvertimento contro l'oppressione della vecchia moda; la moda si vive come un diritto, il diritto naturale del presente sul passato>>." ( Maria Letizia Putti e Roberta Ricca: "La signora dei Baci Luisa Spagnoli", Graphofeel Edizioni, Roma, 2016, pagina 97)  

giovedì 17 marzo 2016

Come in amore


Fu Antonella Landi, collega stimata, collaboratrice, tra l'altro, di varie testate giornalistiche, a scrivere in un suo articolo pubblicato sulle pagine fiorentine del "Corriere della Sera" dedicate a "I quaderni della Profe", la sua rubrica settimanale: "A scuola è come in amore: bisogna essere in due a voler far funzionare il giochino.".
Altrimenti, aggiunsi io qualche tempo dopo, in occasione di una delle più memorabili sfuriate che mi sia capitato di fare agli studenti, diventa masturbazione. Masturbazione intellettuale, ma sempre masturbazione è.
Loro, gli studenti, in quell'occasione, apprezzarono. Chiesero di scrivere la frase sulla lavagna.
Ci eravamo chiariti. Ci eravamo rappacificati.
Seguirono poi attentamente la lezione, prendendo diligentemente gli appunti per prepararsi alla prossima verifica scritta. E anch'io procedetti in modo spedito e preciso, attenta ad ogni dubbio o richiesta che provenisse da loro.
Ci eravamo chiesti reciprocamente scusa e sembrava che nulla, in precedenza, fosse accaduto.
Proprio come succede dopo un litigio tra innamorati.

La verità è che, come già Don Milani aveva affermato, il mestiere dell'insegnante va fatto con amore. Altrimenti è meglio non farlo.

sabato 27 febbraio 2016

Beata ignoranza

"Mai più bocciati - Come essere promossi senza studiare mai" di Arnoldo Mosca e Guglielmo Pezzino, pubblicato da Sperling & Kupfer nel 1992 fu uno dei segnali che proprio allora, agli inizi degli anni '90, cominciava a diffondersi ed a essere propagandata l'idea che la cultura non servisse proprio a nulla e che fosse molto più vantaggioso per tutti bearsi della propria ignoranza.
Avanzarono, grazie anche alle frequenti presenze nelle TV, commerciali e non, presunti e/o sedicenti intellettuali che pontificavano su tutto, anche, e a volte soprattutto, su quello che non conoscevano.
Il mestiere dell'insegnante apparve ai più assolutamente ridicolo e ridicolizzati erano sia i docenti sia gli intellettuali, quelli veri. Enzo Biagi, Giorgio Bocca, Umberto Eco, Nanni Moretti venivano continuamente scherniti in trasmissioni televisive di bassa lega.
Avanzava l'ignoranza, di cui i più si facevano vanto, e cominciarono a imperversare stili e modelli di vita volgari e meschini, che avevano un unico vero obiettivo: quello di una vita senza sacrifici, piena di soldi facili che permettevano anche, grazie a diplomifici e università per tutti, l'acquisizione di un pezzo di carta che, svuotato di ogni contenuto e di ogni merito, equivaleva sempre più a carta igienica.
E' andata così, per una ventina d'anni.
Come meravigliarsi, allora, se spesso, attualmente, ci si trova di fronte a incompetenti saccenti e presuntuosi che spesso non sono in grado di svolgere il lavoro che fanno?

Per giorni e giorni...

                                                              PER GIORNI E GIORNI
SENZA CHE NULLA ACCADESSE

Per giorni e giorni senza che nulla accadesse.
Il mare vuoto, vuota agitazione
di memorie e di membra senza attesa.
E un giorno tu compari sull'orizzonte.
Due punti che si guardano da lontano.
Quanto spiarsi, come cose immortali!

Vittorio Bodini, "Appunti di poesia", 1943 -1961
Pubblicato in: Vittorio Bodini: "Poesie (1939 -1970)", Congedo Editore, Galatina, 1980 su licenza Arnoldo Mondadori Editore, pgg. 5 -6.


venerdì 19 febbraio 2016

Chiedi di più

Ci prendevano in giro perché anziché (o oltre che) ascoltare Bob Marley o Patti Smith ascoltavamo Renato Zero, Umberto Tozzi e i Pooh.
Ci guardavano scambiarci "Tregua", "Gloria", "Boomerang" e i loro sguardi non nascondevano la loro riprovazione, come se stessimo commettendo chissà quale misfatto. Ma per le orecchie nobilissime dei ragazzi del nostro gruppo "quelli lì" erano improponibili.
Così noi ci incontravano in separata sede, a casa dell'una o dell'altra, e lì ascoltavamo canzoni d'amore che ci facevano sognare, meditare, a volte piangere perché troppo forte era la sofferenza d'amore che provavamo o pensavamo di provare.

CHIEDI DI PIÙ

Renato Zero > Tratto dall'Album "Tregua" (1980)


Se un amore muore, 
Una ragione ci sarà. 
Forse il coraggio sta morendo! 
Poche parole 
Una valigia, una bugia, 
Ma solo chi rimane 
Sa il buio cosa sia…! 
Allarga le tue braccia, 
A chi ti cercherà… 
A chi ti tenderà le braccia! 
A chi è pronto a sconfiggere 
La noia la dov’è. 
A chi di questo amore… 
Ha fame come me! 
Non voltarti indietro mai, 
Sarò felice se ce la farai! 
Se vedrai che dopo me, 
C’è ancora vita, 
Una speranza c’è! 
Malgrado tutto resteremo noi… 
Coi nostri dubbi dissipati mai! 
…Solo noi, ancora noi! 
No! 
A chi vorrà stupirti… 
No! 
A chi non sa accarezzarti… 
No! 
Non basterà una promessa… 
No! 
Se poi la fine è la stessa… 
Chiedi di più, 
Chiedi molto di più, ora…! 
Chiedi di più, 
Di un incontro qualunque 
Di un triste su e giù! 
Chissà che faccia avrà 
Chi mi sostituirà? 
Come saranno le sue mani! 
Basta che sappia darsi come ho fatto io! 
Che non sia solo un gioco, 
Solo un mestiere il suo! 
No! 
A chi gli basta sognarti… 
No! 
A chi vorrà violentarti… 
No! 
Se quel tuo istinto non sbaglia… 
No! 
Se l’anima tua si sveglia… 
Chiedi di più 
No! 
Perché non sei una puttana… 
No! 
Perché io ogni notte sto in pena… 
No! 
Forse non ero il migliore… 
No! 
Ma ti ho insegnato l’amore…

Profe, perché?

Me lo sono sentita chiedere qualche volta ma molto più spesso l'ho letto negli occhi dei miei studenti, di troppi studenti.
Profe, perché?
Perché non credete che a volte la nostra scarsa attenzione è dovuta al fatto che ci annoiamo, profondamente, perché non riusciamo a capire il senso di quello che facciamo, il fine per cui lo facciamo?
Perché non credete che i nostri malesseri, il continuo mal di testa, il continuo mal di pancia, non sono una scusa ma il sintomo di un nostro disagio causato da anni di frustrazioni accumulate sentendosi ritenuti o addirittura apostrofati come cretini, nonostante si sia cercato da parte nostra di fare tutto, di fare di più, senza ottenere alcun miglioramento e senza capire perché non vi sia stato alcun miglioramento?
Perché continuate a entrare in classe mostrando sul volto tutta la vostra indifferenza, tutto il vostro malessere, tutta la vostra insoddisfazione per un lavoro che non amate o non amate più come prima e che vi rende irritabili e scontrosi?
Profe, perché dobbiamo essere noi le vittime di un sistema scolastico che non funziona e che non ci garantisce quella crescita che pure viene offerta, all'atto dell'iscrizione, in tutti i piani formativi?

Profe, perché?

giovedì 18 febbraio 2016

Addii

Arriva, inevitabilmente, il momento di dire addio.
A chi si ama, a chi si è amato e non si ama più, a chi si ama ancora ma occorre lasciare per non soffocare l'anelito di libertà che c'è in ognuno di noi, per non continuare a farsi male perché a volte, pur amandosi, non si riesce a stare vicini.
Un addio fa male ma a volte è necessario.
Per non continuare a soffrire, per tornare ad essere vivi, per tornare ad essere sé stessi.

domenica 14 febbraio 2016

Ciò che non si poteva dire

A Taranto, come recita la mia carta d'identità, ci sono nata.
Vi ho vissuto poco, per fortuna, portata via già a due mesi in Liguria e poi tornata, durante l'adolescenza, in Puglia, sì, ma in quella Brindisi che attualmente vive il disagio di una città i cui amministratori comunali si sono dimessi in massa in seguito all'arresto del primo cittadino.
A Taranto, da bambina, tornavo d'estate e, da un po' di anni, a volte, solo d'inverno, un paio di giorni, in occasione delle vacanze natalizie o, come accaduto recentemente, delle vacanze di Carnevale.
Non ho mai amato Taranto. Mai. Ho sempre respirato a fatica la sua aria infetta, pesante, che lasciava, lo ricordo bene, un tappeto di polvere nera sul balcone della casa di mia nonna, dove sono nata e dove trascorrevo, a volte, le mie vacanze estive.
Erano gli anni '60 - '70.
Nel frattempo l'aria diventava sempre più irrespirabile. Un numero sempre maggiore di residenti (anche tra i miei parenti) si ammalava. Moriva.
Ma Taranto accettava. L'Italsider (come molti, fino a qualche tempo fa continuavano a chiamare l'attuale Ilva) dava lavoro ai tarantini della città e della provincia. Di fronte al lavoro si chiudeva un occhio. Anche due. Si ricorreva all'amico sindacalista, al parroco, a chi poteva garantire un'assunzione. Il sistema clientelare si autoalimentava creando l'illusione del benessere.
Certo, molti degli attuali lavoratori Ilva sono anche capaci e sono stati assunti per merito. Ma anche no.
Poi è accaduto qualcosa. E ho ammirato, spudoratamente, Patrizia Todisco, il magistrato che, finalmente, dopo cinquant'anni, ha sollevato il caso Ilva. Perché, da quel momento, si è cominciato a parlare di ciò che, almeno a Taranto, tutti sapevano ma nessuno aveva voglia di raccontare e raccontarsi.
Perché certe cose non si possono (e/o non si vogliono) dire.