Caleb è nato in Italia. Frequenta la scuola italiana da quando aveva sei anni. Nella sua classe, nell'anno scolastico appena terminato, è stato uno dei migliori. Ma non è cittadino italiano. Lo sarà quando avrà compiuto il diciottesimo anno di età. Ecco, io questa cosa non l'ho capita e probabilmente non la capirò mai.
“Le sale insegnanti non sono tutte uguali: in alcune [...] si parla di tutto, ci si confronta e nascono ottime collaborazioni [...]." #Sala Docenti vuole puntare nuovamente sulla collaborazione, suggerita da Diego, incontrato da studente, oggi docente, e condivisa da Cristina, collega di vecchia data, già preziosa collaboratrice di "Sala Docenti", da Erica, giovane ed entusiasta insegnante, e da Lina, collega ispiratrice di lezioni ed emozioni. Perché solo insieme si cresce davvero.
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lunedì 2 luglio 2018
Diritto di cittadinanza
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lunedì 25 giugno 2018
Allo stato brado
Sempre più frequentemente capita di vedere bambini dall'età variabile tra i due e i dieci anni che al ritiro bagagli in aeroporto si piazzano davanti al nastro trasportatore costituendo un pericolo per sé e un disturbo per gli altri dato che il bagaglio, i bambini, non riescono a ritirarlo rischiando contemporaneamente di prendere in testa quello del passeggero che ritira il suo e non riesce a schivare il bimbo piazzato laddove non dovrebbe essere. In quest'ultimo malaugurato caso, nemmeno così improbabile, il genitore del bimbo colpito non fa che lamentarsi. "Che modi!", ripete, dando per scontato che il figlio, urlante, possa fare ciò che vuole, in sua presenza e anche in sua assenza.
Non si pensi ch'io non sia consapevole di quanto sia difficile educare.
E' difficile, per esempio, chiedere a un bambino di due/tre anni di restare seduto e composto a tavola per tutta la durata del pasto senza pretendere di avere con sé giochini vari, di alzarsi ripetutamente, di gattonare, benché abbia già imparato a camminare da un po', sotto il tavolo ai piedi degli astanti.
Certo che è difficile!
Lo è al pari di chiedere a un tredicenne/quattordicenne di restare seduto al suo banco nel momento in cui gli è richiesto, senza girare per l'aula come un uccellino che si rifiuta di rientrare in gabbia.
Per l'adolescente riottoso, quando va bene, i primi tre mesi di scuola superiore possono bastare per trasmettergli l'idea che, sì, a scuola ci sono momenti in cui bisogna stare seduti.
Certo che è difficile!
Lo è al pari di chiedere a un tredicenne/quattordicenne di restare seduto al suo banco nel momento in cui gli è richiesto, senza girare per l'aula come un uccellino che si rifiuta di rientrare in gabbia.
Per l'adolescente riottoso, quando va bene, i primi tre mesi di scuola superiore possono bastare per trasmettergli l'idea che, sì, a scuola ci sono momenti in cui bisogna stare seduti.
Mi si dirà che sono altri tempi da quando frequentavo la scuola seduta dalla parte opposta alla cattedra.
Mi si dirà che i bambini, che gli adolescenti sono cambiati.
Non è così. Non sono cambiati i bambini, non sono cambiati gli adolescenti.
Come sostiene Daniele Novara, uno dei più noti pedagogisti italiani (http://osservatorio-cyberbullismo.blogautore.repubblica.it/2017/11/20/non-e-colpa-dei-bambini-bisogna-tornare-ad-educare-intervista-a-daniele-novara/), sono cambiati gli adulti.
Quegli adulti che, ritenendo di fare cosa buona e giusta, lasciano i bambini e gli adolescenti allo stato brado in nome di una libertà presunta da concedere a sé stessi e ai più giovani che vengono loro affidati.
Così quella libertà diventa licenza, diventa irresponsabilità, diventa incapacità di gestire sé stessi e gli altri.
Tutti allo stato brado, con buona pace delle necessarie regole di convivenza sociale e civile.
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martedì 19 giugno 2018
Siamo quello che siamo stati
"Siamo quello che siamo stati" è la frase che utilizzo ogni volta che apro il mio corso di storia all'inizio dell'anno scolastico.
C'è una continuità nelle storie individuali e nelle storie delle gruppi sociali.
Il presente è sempre il risultato del passato.
Circa una trentina di anni fa, qualcuno ha cominciato a irridere la cultura, proponendo al posto delle opinioni di studiosi e intellettuali stimati e riconosciuti quelli di starlette e gente diversa dello spettacolo che si sostituiva ai vari Enzo Biagi, Umberto Eco, Giorgio Bocca, Indro Montanelli, etc. etc., accantonati e ridicolizzati da chi, in nome della libertà di parola, esigeva il diritto di esprimere tutta la propria ignoranza.
"La nostra forza è l'ignoranza!": la ricordo ancora la scritta apparsa sul muro di fronte all'edificio scolastico dove all'epoca insegnavo (saranno stati gli inizi degli anni Novanta, più o meno) che mi inorridì.
Continuavo a sottolineare agli studenti delle classi che mi venivano assegnate quanta illusione si nascondesse dietro quelle parole: l'attacco alla cultura e alle istituzioni scolastiche che iniziava in quegli anni, l'illusione di strappare un titolo di studio senza aver mai aperto libro, i diplomifici, l'arroganza dell'ignoranza, tutto questo, sostenevo, serviva solo a far sì che le lotte che nei decenni passati erano state fatte per il diritto allo studio per tutti, venissero così completamente designificate.
"Vi vogliono ignoranti e lo fanno rendendo la scuola un centro sociale e un'istituzione superata e inutile." Qualcuno mi credeva; molti no.
Considerai un insulto alla mia professionalità la pubblicazione, nel 1992, di un libro dal titolo "Mai più bocciati - Come essere promossi senza studiare mai".
Con qualcuno ci riuscii, con molti no.
Sinceramente non mi stupisce affatto il clima di
individualismo becero e bieco in cui oggi viviamo.
Negli ultimi trent'anni i più giovani, ma anche i meno
giovani, si sono nutriti di superficialità, paura
dell'altro e del diverso, individualismo,
solitudine, egoismo, arroganza, ignoranza.
Siamo, ora, quello che siamo stati.
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domenica 17 giugno 2018
La valutazione scolastica spiegata agli studenti (e anche ai genitori)
In un mondo in cui, grazie alla diffusione della Rete e alla superficialità che regna sovrana, tutti pensano di sapere tutto, si finisce per crederlo davvero.
Da qui, forse, l'arroganza di chi pretende di dare lezioni, anche manesche, agli addetti ai lavori, qualunque sia la loro professione. Attualmente, vittime di linciaggio non solo verbale, almeno da quanto si legge e si sente raccontare, sono i docenti, rei di aver mal valutato studenti di varie fasce d'età.
Forse, una volta di più, sarebbe il caso di sottolineare che quando un insegnante assegna un voto o un giudizio, non sta valutando la persona ma sta semplicemente assegnando una valutazione rispetto a un obiettivo, una competenza, un'abilità, una conoscenza verificata attraverso una prestazione (prova scritta o orale, lavoro di gruppo, intervento pertinente durante una discussione e quant'altro).
Nella valutazione finale, inoltre, si tiene conto di una serie di indicazioni ministeriali, come quelle di seguito riportate:
"La valutazione dell’alunno scaturisce da una equilibrata analisi delle proposte di voto presentate dai singoli docenti e
sostenute da un giudizio scritto motivato.
Il Consiglio di Classe valuterà la situazione scolastica dell’alunno in relazione a:
1. obiettivi disciplinari
a. Grado di raggiungimento degli obiettivi disciplinari quale risulta dalle prove di verifica
effettuate nelle singole discipline
b. Progressione del grado di apprendimento della disciplina attribuibile a continuità nello studio
o alle strategie attuate
c. Disponibilità verso gli interventi di recupero proposti
d. Possibilità di allineamento al programma disciplinare della classe successiva
2. obiettivi formativi
a. Consapevolezza dell’esperienza scolastica
b. Disponibilità alla condivisione delle regole della comunità scolastica
c. Partecipazione alle attività scolastiche extracurricolari (integrative, di approfondimento)
3. situazioni personali
a. Condizioni di salute
b. Situazioni socio-familiari
c. Inserimento ad anno scolastico iniziato
d. Altro".
Gli studenti e i genitori che di fronte a una pagella o al tabellone degli esiti cominciano a fare confronti calcolando le medie matematiche o mettendo a confronto l'esito di uno studente con quello di un altro, non solo non hanno letto il PTOF e il patto formativo pubblicati da ogni Istituto scolastico e che essi hanno accettato e firmato all'inizio di ogni anno scolastico, ma ritengono che un Consiglio di Classe o il corpo docente sia formato da macchinari tecnologici e non da persone.
Se lo scrutinio dovesse essere il risultato di una mera media matematica, si potrebbe farlo fare al computer, al registro elettronico. Così i docenti eviterebbero anche di rischiare di essere insultati o picchiati da chi crede di sapere tutto.
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venerdì 8 giugno 2018
#sempreattuale
“E’
giunto il momento, piuttosto, di dire ai giovani che il loro modo di
acconciarsi è orribile, perché servile e volgare. Anzi, è giunto il momento che
essi stessi se ne accorgano, e si liberino da questa loro ansia colpevole di
attenersi all’ordine degradante dell’orda.” (Pier Paolo Pasolini: “7 gennaio
1973. Il <<Discorso>> dei capelli”, “Scritti corsari”, Garzanti,
1975, edizione Garzanti Novecento, Milano, 2009, pg. 11)
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"Una lezione alla scuola di Barbiana"
"Lezione ad un gruppo di ragazze della scuola media di Borgo S. Lorenzo salite a Barbiana nel Carnevale 1965
DON LORENZO
Ho sentito dire dall'Adele (nota: Adele, insegnante di lettere nella classe delle ragazze di Borgo S. Lorenzo e che nelle ore libere aiutava alla scuola di Barbiana) che voi vorreste in settimana ballonzolare a scuola. Un fatto simile mi ha talmente incuriosito che ho voluto seriamente discuterne insieme a voi, perchè o nel ballo c'è qualcosa di abbastanza utile alle bambine da poterlo fare nei luoghi sacri o è inutile, allora a scuola non si può fare.
La scuola è quel luogo dove si insegnano cose utili, quelle cose che il mondo non insegna, sennò non va bene.
Sicchè anche se il ballo è soltanto una cosa inutile, farlo a scuola è una cosa assolutamente indecente. Se il preside vi permette queste cose forse vede nel ballo qualcosa di utile, perchè una delle tre : o è utile, o è inutile, o è dannoso.
Se è inutile è immorale, se è dannoso è immorale e se è utile tocca a qualcuno dimostrarmelo.
Io son disposto ad ascoltare una documentazione seria e a cambiare idea da qui a un'ora, ma spero piuttosto che la cambierete voi! Io non sono in partenza deciso ad arrivare in fondo con la mia idea, a me interessa sapere qualcosa. Io sono un povero prete di montagna, queste cose non le so. Imparare fa sempre bene. [...]"
UNA RAGAZZINA
Ma se nel fare una cosa inutile non si fa male a nessuno, questo non è mica immorale?
DON LORENZO
[...] Se la vita è un bel dono di Dio non va buttata via e buttarla via è peccato. Se un'azione è inutile, è buttar via un bel dono di Dio. E' un peccato gravissimo, io lo chiamo bestemmia del tempo. E mi pare una cosa orribile perchè il tempo è poco, quando è passato non torna.
A me manca sempre e non so come a voi vi avanzi per buttarlo via. E vedo che anche ai miei ragazzi manca sempre. Noi facciamo scuola dalla mattina alla sera, lo sapete, compreso la domenica e l'estate e a ognuno di loro manca il tempo per leggere un libro; eppure avrebbero bisogno di leggere. Sicché non raccontiamo storie: alle persone normali il tempo manca, a quelle anormali invece avanza.
Se vi avanza il tempo siete anormali cari! Perché le persone normali che conosco io, sono alla disperata ricerca di un po' di tempo. Prendono un caffè la sera per stare svegli un'ora di più, si disperano perché non riescono a fare tutto quello che vorrebbero fare: leggere tutto quello che vorrebbero leggere, fare tutto il bene che vorrebbero fare, vedere certi importanti film che sarebbe il caso di vedere, compiere i doveri di tutti i giorni, campare la famiglia se uno ha da camparla, fare tutti gli studi di scuola se uno va a scuola. Insomma tutte le persone normali sono alla disperata ricerca di un po' di tempo di avanzo.
Le persone anormali invece hanno del tempo di avanzo e tentano di buttarlo via. [...]"
Il brano citato è tratto da "Una lezione alla scuola di Barbiana" (Don Lorenzo Milani: "Una lezione alla scuola di Barbiana", a cura di Michele Gesualdi, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 2004, pgg.11-12,13).
domenica 6 maggio 2018
Collezione Primavera - Estate 2018 ("come l'anno scorso / come l'anno prima")
Con i primi caldi, può capitare di incontrare per strada chi sfoggia mise non esattamente eleganti e di buon gusto; abiti strettissimi che contengono a malapena corpi che si dimenano e tentano di sfuggire alla compressione imposta dai tessuti; manifestazioni pilifere che si mostrano in tutta la loro ricchezza, etc., etc.
Se è vero, tuttavia, che la libertà di espressione riguarda anche il modo di abbigliarsi, si può anche sorvolare su espressioni che, a volte, non sono esattamente indice di classe.
La questione diventa molto più seria ed importante quando i corridoi e le aule scolastiche si trasformano in vere e proprie succursali dei "Bagni Mariuccia" della Versilia. Si avrebbe voglia quasi di fornire a chi si ostina ad indossare capi indubbiamente adatti per il tempo libero (cosa che, pare, la scuola non è) secchiello, paletta ed eventuale salvagente perché non si può mai sapere...
venerdì 14 luglio 2017
Parlare di ombrelloni mentre arriva lo tsunami
Qualche anno fa, nel corso di un incontro tra docenti e imprenditori nell'ambito di un aggiornamento su progetti di "Alternanza Scuola - Lavoro", un imprenditore affermò che, a livello nazionale, non ci si stava rendendo conto, da parte degli amministratori locali e nazionali, che il mondo stava cambiando, che nuove erano le sfide che la società doveva essere in grado di affrontare, a tutti i livelli. Questo comportava la capacità di progettare a medio e a lungo termine un'organizzazione, anche del lavoro, completamente diversa, e richiedeva, allo stesso tempo, un investimento forte sulla formazione.
Completò il suo intervento con un'immagine estremamente efficace: "Qui è come se stessimo su una spiaggia e continuassimo a parlare del colore degli ombrelloni senza renderci conto che sta arrivando lo tsunami."
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giovedì 13 luglio 2017
Una laurea è per sempre (quasi o meglio di un diamante)
"Un diamante è per sempre" recitava lo slogan di una campagna pubblicitaria di qualche tempo fa.
Ma come e più di un diamante anche una laurea o un titolo di studio che corrisponda effettivamente al titolo stesso può avere un valore inestimabile.
Naturalmente, non si tratta qui del titolo di per sé stesso ma della preparazione, della competenza, della cultura, dell'apertura mentale che lo studio porta necessariamente con sé.
Chi ha studiato davvero sa che, alla fine del suo percorso di studi, si è ritrovato ad essere una persona completamente diversa da quella che inizialmente era. Studiare davvero significa, al di là delle discipline approfondite, acquisire consapevolezze, valori, idee, modalità di relazione che coloro che non hanno avuto la fortuna di studiare o che hanno considerato e considerano il titolo di studio unicamente il mezzo per trovare lavoro (cosa che, al momento, non è nemmeno più garantita) o un mero pezzo di carta, da ottenere nel modo più veloce o magari meno ortodosso possibile, non riescono nemmeno ad immaginare.
Un Paese che vuole crescere davvero, che vuole riconoscere la sovranità del suo popolo, deve dare al suo popolo la possibilità di studiare, studiare davvero, perché possa avvalersi dei suoi diritti e possa rispettare i suoi doveri.
Ma se un popolo si nega il diritto di scegliere, se ricorre ad imbrogli e compromessi, inseguendo il benessere individuale anziché riconoscere il benessere collettivo, è destinato a soccombere e merita il destino amaro che si è costruito.
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domenica 2 luglio 2017
A scuola si fa
A scuola si parla, si discute, si analizza, ci si confronta.
Ed è forse questo che ad alcuni non piace.
E, aggiungerei, fa paura.
E, aggiungerei, fa paura.
giovedì 22 giugno 2017
#noncelapossofare
Li vedi in tenuta da spiaggia (compresi i commissari) e poi capisci che
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martedì 30 maggio 2017
Collezione Primavera - Estate 2017
Con i primi caldi, può capitare di incontrare per strada chi sfoggia mise non esattamente eleganti e di buon gusto; abiti strettissimi che contengono a malapena corpi che si dimenano e tentano di sfuggire alla compressione imposta dai tessuti; manifestazioni pilifere che si mostrano in tutta la loro ricchezza, etc., etc.
Se è vero, tuttavia, che la libertà di espressione riguarda anche il modo di abbigliarsi, si può anche sorvolare su espressioni che, a volte, non sono esattamente indice di classe.
La questione diventa molto più seria ed importante quando i corridoi e le aule scolastiche si trasformano in vere e proprie succursali dei "Bagni Mariuccia" della Versilia. Si avrebbe voglia quasi di fornire a chi si ostina ad indossare capi indubbiamente adatti per il tempo libero (cosa che, pare, la scuola non è) secchiello, paletta ed eventuale salvagente perché non si può mai sapere...
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sabato 27 maggio 2017
Sogni rubati
Ci sono state alcune generazioni di giovani, quelli del '68 o degli anni successivi, che chiedevano per sé "l'impossibile", che difendevano "l'immaginazione al potere", che rovesciarono un sistema in nome di una libertà che esigevano per sé stessi, attaccando tutti i modelli sociali e familiari tradizionali.
In nome di quella libertà, molti, come l'aria, andavano, venivano, amavano, odiavano, mettevano al mondo figli di cui ugualmente rispettavano la libertà, tentanto di evitare che provassero frustrazioni, dispiaceri e brutture della vita quotidiana.
Quei figli, cresciuti come Narciso, secondo la definizione di Gustavo Pietropolli Charmet (in "Fragile e spavaldo - Ritratto dell'adolescente di oggi", Editori Laterza, Roma - Bari, 2008) si ritrovavano poi adolescenti, ovvero in un'età per definizione critica e complessa, sprovveduti e dunque fragili in una realtà che non si sentivano, e non si sentono, in grado di affrontare, spaventati e impauriti, dato che nessuno aveva fornito loro gli strumenti adeguati per affrontarla.
Così, i docenti di Lettere delle scuole superiori, se una ventina di anni fa, assegnando come prova di produzione testuale un racconto d'invenzione, si ritrovavano a leggere storie simpatiche, piene di curiosità e di gusto per la vita, con solo qualche eccezione in cui la vicenda narrata si concludeva drammaticamente, attualmente, assegnando lo stesso tipo di prova, si ritrovano a leggere nella stragrande maggioranza dei casi, storie con un finale tragico in cui il/la protagonista, solitamente in età adolescenziale, soccombe suicidandosi, vittima di bullismo e cyberbullismo.
Quasi ci si trova a pensare che chi voleva per sé un futuro radioso, quei giovani, diventati adulti, che sognavano l'impossibile, lo hanno rubato ai loro figli, strappando sogni, curiosità e fiducia nell'avvenire.
P.S. Questo post è dedicato a tutti i miei studenti, anche del passato, in particolare a chi so che passa di qui per leggere ciò che scrivo. Grazie, di cuore!
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giovedì 18 maggio 2017
Non è una malattia
Sentii parlare di omosessualità, per la prima volta, nel novembre del 1975. Intendo dire che ne sentii parlare in modo serio, senza risolini o battutacce, quelle che tanto piacciono agli uomini di tutte le età.
Il 2 novembre 1975 era stato ucciso Pier Paolo Pasolini e Pino Pelosi, "diciassettenne legato al mondo della prostituzione maschile" (come si legge su "L'Italia del '900 - 1972 - 1975" di Enzo Biagi in collaborazione con Loris Mazzetti, Rizzoli, Milano, 2007, pag. 219), aveva confessato di essere l'assassino.
Io frequentavo la quarta ginnasio. La mia insegnante di lettere ce ne parlò e ci invitò a leggere quotidiani e riviste per documentarci sull'argomento. Già da allora emergevano forti dubbi e interrogativi su quello che potesse essere davvero accaduto. Tuttavia ciò che, soprattutto su certa stampa, si tendeva a mettere in evidenza, erano le abitudini sessuali di Pasolini. Non la sua lucidità e la sua perspicacia intellettuale.
Lo confesso. Io, all'epoca, non leggevo molto i quotidiani, se non la "Gazzetta " locale. Ugualmente, tra i settimanali, mi informavo su "Famiglia Cristiana", "Gente", "Oggi" e (mi vergogno un po' ad ammetterlo adesso, ma è così) "Bolero telefilm", ovvero i giornali che trovavo in casa mia.
Così, quando l'insegnante ci assegnò un tema di attualità sull'argomento ed io, alla luce delle mie fonti, scrissi che, in fondo, bisognava compatire Pasolini perché era malato di omosessualità, mi ritrovai con il compito corretto dall'insegnante che, a margine di tale affermazione, aveva scritto, in rosso e a caratteri cubitali: "Non è provato che l'omosessualità sia una malattia, può essere una libera scelta dell'individuo che asseconda una sua naturale tendenza!".
Restai confusa. Per qualche mese non mi interessai più della questione, anche se, studiando, scoprivo man mano che molti grandi personaggi della storia avevano questa malattia o tendenza, come affermava la mia insegnante: Leonardo da Vinci, Michelangelo, Alessandro Magno, ecc..
Non solo: nell'antichità greca e romana il rapporto più sublime e nobile era considerato proprio quello tra due uomini e non quello tra un uomo e una donna, che si accoppiavano spesso solo per procreare.
Accadde poi che qualche mese più tardi, era la primavera del 1976, il collettivo studentesco organizzò un incontro pomeridiano sull'omosessualità all'interno del nostro istituto. Oltre al preside e agli insegnanti, erano presenti esperti e si annunciava anche la presenza di chi avrebbe fornito la propria testimonianza in proposito.
Come molti, anch'io avevo in mente la macchietta tipica dell'omosessuale: una persona effeminata, volutamente provocatoria e anche un po' ridicola e patetica. Mi aspettavo fosse così la persona che avrebbe parlato della sua esperienza.
Con meraviglia invece scoprii che proprio il giovane uomo più bello e più "maschio", quello che tutte le ragazze avevano notato al suo ingresso, quello che pensavamo fosse un medico o uno psicologo appetibile (non aveva la fede!) era una "checca".
Esordì proprio così: "Salve, mi chiamo Mario e sono una checca."
Proseguì con il racconto della sua vita, quello di chi si sente rifiutato in primo luogo dai genitori ovvero da chi dovrebbe amarlo per quello che è e non per quello che vorrebbe che fosse. E poi una vita ai margini, con il terrore e l'angoscia di chi non riesce e non può essere sé stesso. E allora la frequentazione di certi ambienti marginali e squallidi diventa quasi una necessità, come se ci si volesse punire per la propria diversità, per la propria "malattia". Un dramma individuale, prima che un dramma sociale. Soprattutto perché non ci si sente compresi. Soprattutto perché c'è chi si ostina a dire che si può guarire. O che ci si deve tenere, senza ostentare o fingendo, la propria diversità. Come se la diversità fosse una colpa anziché una ricchezza, un'occasione di confronto per sfuggire all'omologazione.
Questo ho imparato in quel pomeriggio del 1976.
Ho imparato che rispettare gli altri significa rispettare la loro libertà. Un bene prezioso che tutti hanno il diritto di esercitare senza ledere la libertà altrui.
(Post già pubblicato il 6 febbraio 2009 sulla piattaforma Splinder, successivamente sul blog "La panchina in cima al monte" e su questo blog il 10 Gennaio 2016)
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sabato 13 maggio 2017
Le responsabilità degli adulti
Il Convegno Internazionale #Supereroi fragili.2017, svoltosi a Rimini il 5 e il 6 Maggio scorsi, ha evidenziato che le difficoltà degli adolescenti delle ultime generazioni sono dovute alle scelte educative adottate dagli adulti negli ultimi vent'anni.
Proprio quelle scelte che, in post pubblicato il 27 settembre 2007 e, successivamente, il 1° ottobre 2008, sul blog "Sala docenti", erano state da me stigmatizzate.
"Le responsabilità degli adulti"
Nei
Paesi occidentali, dalla metà degli anni Sessanta, per circa una decina d'anni,
i giovani rivendicarono per sé il diritto alla libertà e alla felicità.
Pensavano che potesse essere possibile costruire un mondo migliore, libero
dalle ipocrisie del mondo adulto tipiche della società borghese, parlavano di
fantasia al potere, scandivano slogan del tipo "Siamo realisti, vogliamo
l'impossibile", attaccavano duramente quelli che erano ritenuti i pilastri
della società borghese: lo Stato, la famiglia, la scuola.
Nel
frattempo crescevano, quei giovani, e in nome della libertà evocata per sé
mettevano su casa (o case) e famiglia (famiglie), mettevano al mondo figli che
venivano lasciati liberi di esprimere la propria creatività, fuori dalla
costrizione delle regole autoritarie del "sistema". E poi andavano,
venivano, liberi per il mondo perché la libertà è un bene primario. E anche la
scuola doveva essere libera: basta con il sapere rigido e codificato, basta con
la grammatica, meglio un corso di animismo o di cucina orientale.
Però...
Il
risultato, credo, sia sotto gli occhi di tutti.
Mi
limiterò ad effettuare un'analisi circoscritta a quello che quotidianamente,
come insegnante, vedo negli occhi dei miei studenti, senza moralismi e
pregiudizi.
I
nostri ragazzi sono soli, disorientati, disillusi.
Hanno
quindici anni e molti di loro ammettono di non avere né sogni, né speranze.
"Non
è più come ai suoi tempi!", ripetono spesso. "Lo vede, vanno avanti
solo i furbi!".
E
ancora: "Il vero amore non esiste", "Tutti vogliono
fregarti", "Non so cosa farò da grande e sinceramente non mi
interessa".
Appaiono
forti, tosti, ma sono fragilissimi, al punto che se trovano qualcuno disposti
ad ascoltarli gli rivelano tutti i loro dubbi, le loro paure, il loro senso di
inadeguatezza.
A
volte sono chiamati persino ad occuparsi delle vicende amorose di padri
farfalloni e di madri nevrotiche (o viceversa).
Dunque,
se sono così, è colpa loro o colpa di noi adulti che in nome della nostra
libertà abbiamo privato i nostri figli della libertà di crescere sereni ed
emotivamente equilibrati?
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domenica 30 aprile 2017
Professione insegnante
Che tristezza imbattersi in un docente che non crede nel lavoro che svolge!
Che piacere, invece, incontrare insegnanti che amano il loro lavoro. Ci sono, questi insegnanti, e io ne conosco molti. Sono quelli che non hanno bisogno di mostrarsi necessariamente, sono quelli che credono nel lavoro che fanno e nell'alto compito educativo assegnato loro dalla società e dalle Istituzioni; sono quelli che non rivendicano quotidianamente un compenso economico per quanto fanno, nonostante tutto il loro tempo, anche quello non retribuito, dedicato all'attività che svolgono. Ci sono, questi insegnanti, e non c'è nulla di più importante di aver l'opportunità di incontrarne almeno uno durante il proprio percorso scolastico (come è capitato a tanti).
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mercoledì 26 aprile 2017
Lentamente muore
Lentamente muore chi diventa schiavo
dell’abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una
passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i” piuttosto che un
insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che
fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle
che fanno battere il cuore
davanti all’errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge
il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza
per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella
vita di fuggire ai
consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica, chi non trova grazia
in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge
l’amor proprio, chi non si lascia
aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o
della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un
progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non
conosce, chi non
risponde quando gli chiedono qualcosa che
conosce.
Evitiamo la morte a
piccole dosi,
ricordando sempre che essere
vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore
del semplice fatto
di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza porterà al
raggiungimento di una
splendida felicità.
" [...] Lentamente muore chi non
capovolge il tavolo [...]"
Ricordo che qualche anno fa alcuni dei miei
alunni erano rimasti particolarmente colpiti da questo verso tratto da
"Lentamente muore". Avevamo imbastito in proposito una lunga
discussione.
L'intera poesia era piaciuta molto. Una
poesia attribuita, sul loro manuale scolastico, a Pablo Neruda.
Quando, successivamente, ho comunicato agli
studenti che il testo della poesia non è stato scritto da Pablo Neruda
ma da Martha Medeiros, " E' comunque bella!" hanno commentato
alcuni mentre altri hanno sottolineato che:
a) anche i libri di testo possono contenere
degli errori;
b) tutte le conoscenze possono essere messe
in discussione;
c) "Lentamente muore [...] chi
preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" / piuttosto che un
insieme di emozioni [...]".
In queste situazioni gli studenti sono
straordinari...
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lunedì 10 aprile 2017
I semini della buona educazione.
In attesa che gli umani recuperino "la legge morale dentro di sé" di kantiana memoria, ci si potrebbe affidare alla tecnologia che, nel contempo, ha fatto passi da giganti: un microchip, inserito alla nascita in ciascun umano, che possa impedire gli attraversamenti con il rosso, l'invasione di piste ciclabili da parte di automobilisti frettolosi, bevute esagerate accompagnate da corse folli in auto, corruzione e collusi, etc., etc, etc.. Sarebbe un mondo asettico, non certo felice e, forse, nemmeno meno violento. E, allora, non ci rimane che sperare nei semini lasciati da una buona educazione.
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giovedì 6 aprile 2017
Parlare al cuore
Da tempo, ormai, psicologi e pedagogisti sostengono che, per favorire l'apprendimento degli studenti, in particolare degli adolescenti, occorre che il docente parli al loro cuore, sia in grado, cioè, di incuriosirli, di emozionarli, di appassionarli, trasmettendo loro non solo i contenuti della sua disciplina ma il suo amore per la disciplina e per i contenuti che insegna.
Ciascuno di noi ha sperimentato quanto sia importante che i docenti stabiliscano un clima di apprendimento sereno, che stimoli la motivazione e, che, soprattutto, sia in grado di appassionare gli studenti, quasi seducendoli con la propria passione.
Parlare al cuore può farlo solo chi parla col cuore.
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martedì 21 marzo 2017
La poesia del calcio
Sembra
che Umberto Saba, inizialmente, non amasse il calcio. Pare che non avesse
alcuna simpatia per i tifosi di cui non apprezzava l'entusiasmo o la
disperazione per un pallone entrato, o no, nella rete.
Poi,
un giorno, gli capitò di assistere a una partita, quella tra la potentissima Ambrosiana
e la vacillante
Triestina , che finì con un risultato esaltante per la
Triestina, uno zero a zero che valeva quanto una vittoria data la differenza
tra le forze in campo.
Il
clima esaltato dello stadio, l'entusiasmo delirante della folla contagiarono il
poeta, che vide nel gioco del calcio una delle espressioni simboliche della
vita, la possibilità di palpitare, di soffrire e di gioire insieme agli altri,
proprio come accade nella quotidianità.
Al
gioco del calcio Umberto Saba dedicò cinque poesie che inserì nel suo
"Canzoniere" e di cui riporto alcuni versi.
"[...]
Trepido seguo il vostro gioco.
Ignari
esprimete
con quello antiche cose
meravigliose
sopra
il verde tappeto, all'aria, ai chiari
soli
d'inverno.
Le
angosce,
che
imbiancano i capelli all'improvviso,
sono
da voi sì lontane! La gloria
vi
dà un sorriso
fugace:
il meglio onde disponga. Abbracci
corrono
tra di voi, gesti giulivi. [...]
[...]
V'ama
anche
per questo il poeta, dagli altri
diversamente
- ugualmente commosso.
(Umberto
Saba: "Squadra paesana")
"Di
corsa usciti a mezzo il campo, date
prima
il saluto alle tribune. Poi,
quello
che nasce poi
che
all'altra parte vi volgete, a quella
che
più nera s'accalca, non è cosa
da
dirsi, non è cosa ch'abbia un nome. [...]
Festa
è nell'aria, festa in ogni via.
Se
per poco, che importa? [...]
La
vostra gloria, undici ragazzi,
come
un fiume d'amore orna Trieste.
(Umberto
Saba: "Tre momenti")
"[...]
La folla - unita ebbrezza- par trabocchi
nel
campo. Intorno al vincitore stanno,
al
suo collo si gettano i fratelli.
Pochi
momenti come questo belli,
a
quanti l'odio consuma e l'amore,
è
dato, sotto il cielo, di vedere. [...]
(Umberto
Saba, "Goal")
I
brani citati sono tratti da: "Umberto Saba: "Il Canzoniere",
Scelta e annotazione di Folco Portinari, Einaudi Scuola, Milano, 1990, pgg.
165, 167, 172.
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