Li vedi in tenuta da spiaggia (compresi i commissari) e poi capisci che
“Le sale insegnanti non sono tutte uguali: in alcune [...] si parla di tutto, ci si confronta e nascono ottime collaborazioni [...]." #Sala Docenti vuole puntare nuovamente sulla collaborazione, suggerita da Diego, incontrato da studente, oggi docente, e condivisa da Cristina, collega di vecchia data, già preziosa collaboratrice di "Sala Docenti", da Erica, giovane ed entusiasta insegnante, e da Lina, collega ispiratrice di lezioni ed emozioni. Perché solo insieme si cresce davvero.
giovedì 22 giugno 2017
#noncelapossofare
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venerdì 16 giugno 2017
Doveva essere una festa
"Quella per la finale doveva essere una festa, non immaginavamo di trovarci in mezzo alla bolgia. Io non avevo un'idea precisa di cosa avrei trovato in piazza ma non era quello che mi ero immaginato: era tutto disorganizzato, c'erano venditori abusivi, entrava chiunque senza controllo, c'erano bottiglie dappertutto... Siamo un Paese così, non abbiamo imparato nulla, bastava copiare quello che avevano fatto gli spagnoli con la proiezione dentro lo stadio. Invece qui è come se la sindaca avesse lasciato aperta la porta di casa sua senza rendersi conto che entravano trentamila persone. E quando il fattaccio ormai è accaduto dice "scusate, mi spiace, pensavo sarebbero venute solo due persone per un caffè". Ecco, "mi spiace" sono parole che non riusciamo a sentire". (cit. http://torino.repubblica.it/cronaca/2017/06/16/news/_siamo_stanchi_dei_mi_spiace_dovevano_pensarci_prima_e_adesso_erika_e_morta_-168232813/?ref=RHPPBT-BH-I0-C4-P2-S1.4-T2)
Le parole drammatiche di Fabio Martinoli, compagno di Erika Pioletti, la donna rimasta uccisa a seguito delle ferite riportate la sera del 3 giugno scorso, sono le stesse pronunciate da chi, quella sera, era in Piazza San Carlo, a Torino, e che mai avrebbe pensato di vivere in quella occasione una situazione tanto drammatica quanto assurda, soprattutto perché ai più è stato chiaro, prima ancora che scoppiasse il panico, che qualcosa, nell'organizzazione di quella serata, era mancato: i controlli di filtraggio per chi volesse accedere alla Piazza, riempita fino all'inverosimile; la vendita di alcolici che aveva reso ubriachi molti, prima ancora dell'inizio della partita; i cocci delle bottiglie di vetro che come un tappeto ricoprivano l'asfalto.
Di quella serata, nella mente di chi c'era, non resterà il ricordo di una partita che si sognava di vincere ma era stata malamente persa. Di quella serata resterà il ricordo di urla, spavento, vetri, sangue, corpi schiacciati, stretti quasi in una gabbia. Le scuse non bastano. Chi avrebbe dovuto garantire la sicurezza di chi pensava di partecipare a una festa, dovrà renderne conto. Amministrare significa assumersi delle responsabilità, farsene carico. Ammettere di aver sbagliato. E pagarne le conseguenze.
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martedì 30 maggio 2017
Collezione Primavera - Estate 2017
Con i primi caldi, può capitare di incontrare per strada chi sfoggia mise non esattamente eleganti e di buon gusto; abiti strettissimi che contengono a malapena corpi che si dimenano e tentano di sfuggire alla compressione imposta dai tessuti; manifestazioni pilifere che si mostrano in tutta la loro ricchezza, etc., etc.
Se è vero, tuttavia, che la libertà di espressione riguarda anche il modo di abbigliarsi, si può anche sorvolare su espressioni che, a volte, non sono esattamente indice di classe.
La questione diventa molto più seria ed importante quando i corridoi e le aule scolastiche si trasformano in vere e proprie succursali dei "Bagni Mariuccia" della Versilia. Si avrebbe voglia quasi di fornire a chi si ostina ad indossare capi indubbiamente adatti per il tempo libero (cosa che, pare, la scuola non è) secchiello, paletta ed eventuale salvagente perché non si può mai sapere...
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sabato 27 maggio 2017
Sogni rubati
Ci sono state alcune generazioni di giovani, quelli del '68 o degli anni successivi, che chiedevano per sé "l'impossibile", che difendevano "l'immaginazione al potere", che rovesciarono un sistema in nome di una libertà che esigevano per sé stessi, attaccando tutti i modelli sociali e familiari tradizionali.
In nome di quella libertà, molti, come l'aria, andavano, venivano, amavano, odiavano, mettevano al mondo figli di cui ugualmente rispettavano la libertà, tentanto di evitare che provassero frustrazioni, dispiaceri e brutture della vita quotidiana.
Quei figli, cresciuti come Narciso, secondo la definizione di Gustavo Pietropolli Charmet (in "Fragile e spavaldo - Ritratto dell'adolescente di oggi", Editori Laterza, Roma - Bari, 2008) si ritrovavano poi adolescenti, ovvero in un'età per definizione critica e complessa, sprovveduti e dunque fragili in una realtà che non si sentivano, e non si sentono, in grado di affrontare, spaventati e impauriti, dato che nessuno aveva fornito loro gli strumenti adeguati per affrontarla.
Così, i docenti di Lettere delle scuole superiori, se una ventina di anni fa, assegnando come prova di produzione testuale un racconto d'invenzione, si ritrovavano a leggere storie simpatiche, piene di curiosità e di gusto per la vita, con solo qualche eccezione in cui la vicenda narrata si concludeva drammaticamente, attualmente, assegnando lo stesso tipo di prova, si ritrovano a leggere nella stragrande maggioranza dei casi, storie con un finale tragico in cui il/la protagonista, solitamente in età adolescenziale, soccombe suicidandosi, vittima di bullismo e cyberbullismo.
Quasi ci si trova a pensare che chi voleva per sé un futuro radioso, quei giovani, diventati adulti, che sognavano l'impossibile, lo hanno rubato ai loro figli, strappando sogni, curiosità e fiducia nell'avvenire.
P.S. Questo post è dedicato a tutti i miei studenti, anche del passato, in particolare a chi so che passa di qui per leggere ciò che scrivo. Grazie, di cuore!
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lunedì 22 maggio 2017
Bullismo e violazione del diritto di esistere
<<Il bullismo è terribile, ed è uno. Prende di mira persone a cui appiccica etichette diverse, ma parte da un unico terribile principio: la negazione del diritto all'esistenza di tutto quello che non viene considerato "normale", secondo parametri molto spesso non decisi dai ragazzi stessi, ma ritenuti indiscutibili, diffusi nella società, avvalorati dai discorsi degli adulti, dalle loro parole, sostenuti dalle rappresentazioni e dalle stigmatizzazioni che anche dal punto di vista politico si fanno di tutto ciò che è ritenuto - per vari motivi - differente dalla norma.>> (Ivan Cotroneo - Febbraio 2016 - "Un bacio - dal racconto al film" in Ivan Cotroneo: "Un bacio", Bompiani, 2016, pgg. 97 - 98)
giovedì 18 maggio 2017
Non è una malattia
Sentii parlare di omosessualità, per la prima volta, nel novembre del 1975. Intendo dire che ne sentii parlare in modo serio, senza risolini o battutacce, quelle che tanto piacciono agli uomini di tutte le età.
Il 2 novembre 1975 era stato ucciso Pier Paolo Pasolini e Pino Pelosi, "diciassettenne legato al mondo della prostituzione maschile" (come si legge su "L'Italia del '900 - 1972 - 1975" di Enzo Biagi in collaborazione con Loris Mazzetti, Rizzoli, Milano, 2007, pag. 219), aveva confessato di essere l'assassino.
Io frequentavo la quarta ginnasio. La mia insegnante di lettere ce ne parlò e ci invitò a leggere quotidiani e riviste per documentarci sull'argomento. Già da allora emergevano forti dubbi e interrogativi su quello che potesse essere davvero accaduto. Tuttavia ciò che, soprattutto su certa stampa, si tendeva a mettere in evidenza, erano le abitudini sessuali di Pasolini. Non la sua lucidità e la sua perspicacia intellettuale.
Lo confesso. Io, all'epoca, non leggevo molto i quotidiani, se non la "Gazzetta " locale. Ugualmente, tra i settimanali, mi informavo su "Famiglia Cristiana", "Gente", "Oggi" e (mi vergogno un po' ad ammetterlo adesso, ma è così) "Bolero telefilm", ovvero i giornali che trovavo in casa mia.
Così, quando l'insegnante ci assegnò un tema di attualità sull'argomento ed io, alla luce delle mie fonti, scrissi che, in fondo, bisognava compatire Pasolini perché era malato di omosessualità, mi ritrovai con il compito corretto dall'insegnante che, a margine di tale affermazione, aveva scritto, in rosso e a caratteri cubitali: "Non è provato che l'omosessualità sia una malattia, può essere una libera scelta dell'individuo che asseconda una sua naturale tendenza!".
Restai confusa. Per qualche mese non mi interessai più della questione, anche se, studiando, scoprivo man mano che molti grandi personaggi della storia avevano questa malattia o tendenza, come affermava la mia insegnante: Leonardo da Vinci, Michelangelo, Alessandro Magno, ecc..
Non solo: nell'antichità greca e romana il rapporto più sublime e nobile era considerato proprio quello tra due uomini e non quello tra un uomo e una donna, che si accoppiavano spesso solo per procreare.
Accadde poi che qualche mese più tardi, era la primavera del 1976, il collettivo studentesco organizzò un incontro pomeridiano sull'omosessualità all'interno del nostro istituto. Oltre al preside e agli insegnanti, erano presenti esperti e si annunciava anche la presenza di chi avrebbe fornito la propria testimonianza in proposito.
Come molti, anch'io avevo in mente la macchietta tipica dell'omosessuale: una persona effeminata, volutamente provocatoria e anche un po' ridicola e patetica. Mi aspettavo fosse così la persona che avrebbe parlato della sua esperienza.
Con meraviglia invece scoprii che proprio il giovane uomo più bello e più "maschio", quello che tutte le ragazze avevano notato al suo ingresso, quello che pensavamo fosse un medico o uno psicologo appetibile (non aveva la fede!) era una "checca".
Esordì proprio così: "Salve, mi chiamo Mario e sono una checca."
Proseguì con il racconto della sua vita, quello di chi si sente rifiutato in primo luogo dai genitori ovvero da chi dovrebbe amarlo per quello che è e non per quello che vorrebbe che fosse. E poi una vita ai margini, con il terrore e l'angoscia di chi non riesce e non può essere sé stesso. E allora la frequentazione di certi ambienti marginali e squallidi diventa quasi una necessità, come se ci si volesse punire per la propria diversità, per la propria "malattia". Un dramma individuale, prima che un dramma sociale. Soprattutto perché non ci si sente compresi. Soprattutto perché c'è chi si ostina a dire che si può guarire. O che ci si deve tenere, senza ostentare o fingendo, la propria diversità. Come se la diversità fosse una colpa anziché una ricchezza, un'occasione di confronto per sfuggire all'omologazione.
Questo ho imparato in quel pomeriggio del 1976.
Ho imparato che rispettare gli altri significa rispettare la loro libertà. Un bene prezioso che tutti hanno il diritto di esercitare senza ledere la libertà altrui.
(Post già pubblicato il 6 febbraio 2009 sulla piattaforma Splinder, successivamente sul blog "La panchina in cima al monte" e su questo blog il 10 Gennaio 2016)
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sabato 13 maggio 2017
Le responsabilità degli adulti
Il Convegno Internazionale #Supereroi fragili.2017, svoltosi a Rimini il 5 e il 6 Maggio scorsi, ha evidenziato che le difficoltà degli adolescenti delle ultime generazioni sono dovute alle scelte educative adottate dagli adulti negli ultimi vent'anni.
Proprio quelle scelte che, in post pubblicato il 27 settembre 2007 e, successivamente, il 1° ottobre 2008, sul blog "Sala docenti", erano state da me stigmatizzate.
"Le responsabilità degli adulti"
Nei
Paesi occidentali, dalla metà degli anni Sessanta, per circa una decina d'anni,
i giovani rivendicarono per sé il diritto alla libertà e alla felicità.
Pensavano che potesse essere possibile costruire un mondo migliore, libero
dalle ipocrisie del mondo adulto tipiche della società borghese, parlavano di
fantasia al potere, scandivano slogan del tipo "Siamo realisti, vogliamo
l'impossibile", attaccavano duramente quelli che erano ritenuti i pilastri
della società borghese: lo Stato, la famiglia, la scuola.
Nel
frattempo crescevano, quei giovani, e in nome della libertà evocata per sé
mettevano su casa (o case) e famiglia (famiglie), mettevano al mondo figli che
venivano lasciati liberi di esprimere la propria creatività, fuori dalla
costrizione delle regole autoritarie del "sistema". E poi andavano,
venivano, liberi per il mondo perché la libertà è un bene primario. E anche la
scuola doveva essere libera: basta con il sapere rigido e codificato, basta con
la grammatica, meglio un corso di animismo o di cucina orientale.
Però...
Il
risultato, credo, sia sotto gli occhi di tutti.
Mi
limiterò ad effettuare un'analisi circoscritta a quello che quotidianamente,
come insegnante, vedo negli occhi dei miei studenti, senza moralismi e
pregiudizi.
I
nostri ragazzi sono soli, disorientati, disillusi.
Hanno
quindici anni e molti di loro ammettono di non avere né sogni, né speranze.
"Non
è più come ai suoi tempi!", ripetono spesso. "Lo vede, vanno avanti
solo i furbi!".
E
ancora: "Il vero amore non esiste", "Tutti vogliono
fregarti", "Non so cosa farò da grande e sinceramente non mi
interessa".
Appaiono
forti, tosti, ma sono fragilissimi, al punto che se trovano qualcuno disposti
ad ascoltarli gli rivelano tutti i loro dubbi, le loro paure, il loro senso di
inadeguatezza.
A
volte sono chiamati persino ad occuparsi delle vicende amorose di padri
farfalloni e di madri nevrotiche (o viceversa).
Dunque,
se sono così, è colpa loro o colpa di noi adulti che in nome della nostra
libertà abbiamo privato i nostri figli della libertà di crescere sereni ed
emotivamente equilibrati?
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Schiavi e signori
"IDEOLOGIE DEL
NOVECENTO"
"La cultura filosofica
del primo Novecento trovò in Friedrich Nietzsche (1844 -1900) il distruttore di
tutti i valori borghesi tradizionali, definiti vere e proprie schiavitù
psicologiche dell’individuo, e l’esaltatore di quella volontà di potenza che esprime le energie più vitali e profonde
dell’individuo, proiettandolo in una dimensione oltreumana, al di là degli
schemi conformistici e dei condizionamenti della cultura occidentale."
(Tratto da: Antonio Brancati: “Storia di popoli e di civiltà”, volume 3, La Nuova Italia , Firenze,
1995, pg. 14)
"LA CONFUSIONE MODERNA "
"Io non vedo che cosa si
voglia fare con l’operaio europeo. Egli sta troppo bene per non pretendere ora
un poco alla volta di più, per non pretendere con sempre maggiore
esasperazione: alla fine ha il numero dalla sua. E’ completamente finita la
speranza che si costituisca qui una specie d’uomo modesta e facilmente
contentabile di sé, una schiavitù nel senso più blando del termine, in breve
una classe, qualcosa che abbia immutabilità. Si è reso l’operaio militarmente
abile: gli si è dato il diritto di voto, il diritto di associazione: si è fatto
di tutto per corrompere quegli istinti sui quali si poteva fondare una
cineseria operaia: così che l’operaio già oggi sente e fa sentire la sua
esistenza come uno stato di bisogno (in termini morali come un’ingiustizia…)… Ma cosa vogliamo? Domandiamo ancora una volta. Se
si vuole uno scopo, è necessario volere i mezzi: se vogliamo schiavi, e occorrono! – non bisogna educarli da signori."
(Tratto da: Friedrich W. Nietzsche: “La volontà di potenza”, in “L’Anticristo”,
“Crepuscolo degli idoli”, “Ecce homo”, “La volontà di potenza”, Grandi
Tascabili Economici, Newton, Roma, 1989, pg. 348)
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venerdì 12 maggio 2017
Gente comune
"Forse
passerà [...] una mattina, a salutare. Solo a salutare, niente di importante.
Non servirebbe a niente comunque, perché lei lo sa benissimo, lo sa bene quanto
lui che è l'amore, imperfetto e disordinato, a tenerli separati, proprio mentre
in qualche modo li unisce [...]."
La
citazione, tratta dal romanzo "Gente senza storia" di Judith Guest
(Traduzione di Masolino d'Amico, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1977, pg.
277), si riferisce alle difficoltà relazionali tra una madre e un figlio
coinvolti in una tragedia familiare, ovvero la morte del figlio primogenito,
amatissimo dalla madre e modello di riferimento per il fratello. Evidenzia la
necessità, in alcuni casi, di rimanere lontani, anche se ci si vuole bene,
perché restando vicini si soffrirebbe troppo.
E'
una situazione che può riguardare non solo le relazioni tra madri e figli,
ma tutte le tipologie di relazione, comprese quelle amicali.
L'amore
verso gli altri non è sempre lineare, chiaro, perfetto.
A
volte è complicato, doloroso, difficile. Al punto da richiedere una
separazione, per evitare di continuare a farsi del male.
martedì 9 maggio 2017
Anniversari
Ci
sono giorni tutti uguali.
Ci
sono giorni che segnano la storia di un Paese e restano per sempre nella
memoria collettiva.
Non
fu un giorno come tutti gli altri, quel 9 maggio del 1978.
Fu
il giorno dell'epilogo della vicenda iniziata 55 giorni prima, il 16 marzo, con
l'uccisione degli uomini della scorta e il rapimento, rivendicati dalle Brigate
Rosse, di Aldo Moro.
Il cui corpo venne ritrovato in Via Caetani, a Roma, proprio il 9 maggio
del 1978.
Nella
mattina di quello stesso giorno, il 9 maggio 1978, a Cinisi, in
provincia di Palermo, venne ritrovato il corpo (dilaniato da una carica di
tritolo sui binari della ferrovia Palermo-Trapani) di Giuseppe Impastato, detto
Peppino, la cui vicenda è stata rievocata nel film "I cento passi",
di Marco Tullio Giordana (2000).
"Scena
96 - Radio Aut [interno giorno]
Salvo:
"[...] Peppino non c'è più, Peppino è morto, si è suicidato. [...] Questo
leggerete sui giornali, questo vedrete alla televisione... Anzi non vedrete
proprio niente... [...] perché questa mattina giornali e televisione parleranno
di un fatto molto più importante... del ritrovamento a Roma dell'onorevole Aldo
Moro, ammazzato come un cane dalle Brigate rosse. E questa è una notizia che fa
impallidire tutto il resto, per cui: chi se ne frega del piccolo siciliano di
provincia! Chi se ne fotte di questo Peppino Impastato! Adesso spegnetela
questa radio, giratevi dall'altra parte. Tanto si sa come va a finire, si sa
che niente può cambiare.[...] E tu Peppino non sei stato altro che un povero
illuso, tu sei stato un ingenuo [...]" (Marco Tullio Giordana, Claudio
Fava, Monica Zapelli: "I cento passi", Universale Economica
Feltrinelli, Milano, 2001, pgg. 145, 146).
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